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Guerra in Ucraina: come (e perché) l’Italia e l’Europa rispondono a Putin

Alessandro Campaiola di Alessandro Campaiola
28 Febbraio 2022
in Il Fatto
Tempo di lettura: 4 minuti
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Prosegue ormai da cinque giorni la guerra mossa da Putin contro l’Ucraina, avanza il conflitto che mina alla stabilità e alla pace dell’Europa e del mondo intero. Da giovedì scorso, immagini strazianti di bombe che piovono sul suolo di Kyiv, di persone nascoste nei tunnel della metropolitana e famiglie distrutte dalle fughe verso l’Occidente, continuano a interessare le nostre giornate, a interrompere i nostri programmi e prendersi la scena delle TV.

Ogni ora che passa potrebbe cambiare il destino del Paese dell’eroico Presidente Zelens’kyj, strettosi alla sua gente senza mai lasciare la capitale, dimostrando che un comico – come molti giornali, non si sa perché, hanno tenuto a ricordare – con la sua intelligenza può fare politica, mentre i politici dovrebbero evitare di fare i comici. Ogni ora che passa, il volto del pianeta cambia irrimediabilmente e il domani è una pagina di storia tutta da scrivere.

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Attraverso l’articolo di venerdì scorso, abbiamo provato a ricostruire lo scenario che ha interessato il confine russo-ucraino negli ultimi anni, in particolar modo dal 2014, e così anche le motivazioni (in quanto spiegazione dei fatti, non certo una giustificazione alla follia criminale di Putin) che hanno portato all’invasione di Kyiv, soffermandoci sul discorso con cui il Capo del Cremlino aveva dato il via ai bombardamenti. 

Abbiamo raccontato la trasformazione dell’Europa dal termine della Guerra Fredda a oggi e collegato le parole di Putin al dispiegamento di forze che la NATO ha adoperato sul continente. Poi, ci siamo interrogati su come, e in che tempi, l’Europa avesse intenzione di correre in aiuto della sua gente. Le sanzioni, lo ribadiamo, da sole non bastano, non nella misura in cui sono già state emanate.

Ciò che Bruxelles – fino al pomeriggio di ieri – ha proposto non è sufficiente a mettere Mosca nella condizione di cessare il fuoco. Le sanzioni, da sole, non bastano perché il gas e il petrolio da cui dipendono tutte le nazioni europee costringono gli alleati a non intervenire con sufficiente fermezza nei riguardi del Cremlino. La gente di Kyiv aspetta. La gente di Kyiv, intanto, combatte e resiste.

Come si è arrivati a questo punto è un connubio di inefficienza e corruzione, il risultato di oltre vent’anni a ignorare un problema pensando fosse solo di qualcun altro, come in qualsiasi parte del mondo verso cui ci si muove quando c’è da raccogliere oro nero e diamanti. La guerra in Cecenia, in Siria, poi in Georgia e Ucraina nel 2014: la politica di Putin non è mai cambiata. Chi, oggi, ripercorre la storia dell’ex ufficiale del KGB e ne associa l’azione a quella di Hitler negli anni Trenta del secolo scorso non dice che Putin, a differenza dell’ex dittatore tedesco, ha sempre fatto tutto alla luce del sole, nell’omertà dei beneficiari dei suoi finanziamenti.

I soldi russi sono entrati – e ne determinano le sorti – nella politica di tutto il mondo, da quella americana a quella europea, nello sport, nelle grandi aziende. La corruzione che New York, quanto Londra, Roma o Berlino pagano a Mosca è il vero ricatto che tiene il mondo occidentale con le mani legate verso Putin, e il blocco ancora parziale del sistema bancario SWIFT nei confronti della Russia né è la prova. Nessuno, in realtà, crede alle sue promesse di volersi fermare alla liberazione dell’Ucraina, ma tutti sono costretti a far sì con la testa e aspettare gli eventi.

Certo, sarebbe tutt’altra cosa se Putin si spingesse ancora più in là, minacciando direttamente uno Stato coinvolto nella NATO, come l’Estonia, la Polonia o la Lituania (in quel caso l’intervento militare degli alleati sarebbe inevitabile), eppure le intenzioni del Cremlino non sono mai state velate. Che l’Ucraina facesse parte dei piani di Mosca è cosa nota da sempre, che Putin non riconoscesse la sovranità di Kyiv non è mai stato nascosto. Eppure, fino a meno di una settimana fa, il mondo ha atteso il muoversi dei cingolati sul suolo del Paese.

A proposito di interessi di parte, l’Italia – con il suo Parlamento governato da tutte le forze politiche contemporaneamente – si rivolge ai fatti di questi giorni con una doppia strategia che lascia, sinceramente, sgomenti. Da un lato, il Premier Draghi si allinea alle soluzioni proposte dalla UE, tra cui quella di inviare armi in Ucraina; dall’altro Salvini, in diretta TV, non solo evita di prendere posizione ma invoca incredibilmente l’intercedere del buon Dio nei rapporti diplomatici tra le forze avversarie. Roba da far impazzire anche chi ne è strenuo tifoso, anche chi si ostina alla cecità di fronte ai rapporti occulti con la Russia proprio del partito leghista.

Come anticipato, infine, la Presidente Ursula von der Leyen ha annunciato l’invio di armi e munizioni a Kyiv, che non sarà come spiegare direttamente i soldati, ma poco differisce dal sembrare, comunque, una dichiarazione di guerra. Certo, la soluzione non può e non deve essere abbandonare gli ucraini a loro stessi e alla loro ammirevole resistenza, ma evitare di affogare gli affari russi armando chi oggi è costretto a combatterli è sinonimo di come gli interessi economici, e quella corruzione di cui sopra, siano i veri aghi della bilancia di questo folle conflitto che rischia di trasformare le vite di ognuno di noi in un quotidiano fatto di sirene, spari, fame e paura.

In conclusione, nello scrivere articoli come questo ci teniamo a sottolineare una cosa: nessuno di noi ha la verità, le analisi che proponiamo si basano su fatti che potrebbero essere smentiti nei giorni a venire, appoggiare una decisione, domani, potrebbe avere risvolti non previsti ora. Questo non vuol dire essere stupidi, incapaci di leggere fatti e situazioni. È la guerra, e non ha nulla – o poco – di logico. Per questo chiediamo attenzione e senso di responsabilità anche a chi, come noi, ha l’onere di parlare a tante persone e indirizzarne il pensare.

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