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FCA chiede aiuto all’Italia dalle sue sedi all’estero. Torni e se ne potrà riparlare

Alessandro Campaiola di Alessandro Campaiola
19 Maggio 2020
in Il Fatto
Tempo di lettura: 3 minuti
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I grandi gruppi aziendali, originari italiani, alla prima buona occasione valicano i confini del nostro Paese verso regimi fiscali più morbidi, più favorevoli ai propri bilanci, facendo attenzione, però, a restare in contatto con la stampa locale, assicurandosene i servizi. È un’analisi certamente semplicistica la nostra, tuttavia, non così distante dalla realtà, soprattutto per ciò che riguarda il caso FCA, tornato agli onori delle cronache – quelle da loro ancora non controllate – per il prestito chiesto a Roma di oltre 6 miliardi di euro.

Abbiamo dato notizia, lo scorso 27 aprile, dell’acquisizione da parte del duo Agnelli-Elkann del gruppo editoriale GEDI, comprendente i quotidiani cartacei e online de la Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, riviste come L’Espresso e National Geographic e stazioni radio quali DeeJay, Capital e m2o. Un’egemonia esercitata sul mondo dell’informazione – già ridotto al controllo di poche, ricchissime famiglie – che, in questi giorni, ha già mostrato i primi frutti di cui è e sarà capace.

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All’utente medio del nostro giornale suonerà strano trovare come riferimento dell’analisi in merito all’argomento in oggetto un tweet di Carlo Calenda – Repubblica che fino a ieri sosteneva la linea Landini vs Fiat (sbagliata) da quando è stata comprata da Elkann dipinge FCA come una onlus –, tuttavia il gancio destro dell’ex Ministro dello Sviluppo Economico dei governi Renzi e Gentiloni, con il cinguettio precedente indirizzato proprio a Matteo Renzi, per quanto poco elegante, scrive un vero e proprio editoriale in sole due frasi (siete talmente appecoronati ai grandi gruppi che non riuscite neanche a fare un negoziato come Dio comanda).

Ma proviamo a fare ordine. Sabato scorso, FCA (l’ex Fiat) annunciava di aver chiesto di  aderire al piano di aiuti previsti per la crisi coronavirus disposto dal governo italiano, attraverso un prestito di Banca Intesa San Paolo di 6.3 miliardi di euro, al fine di sostenere le attività produttive della controllata della società, attiva in Italia, trovando grande disponibilità sia nel Premier Giuseppe Conte – «[…]a prescindere dalla sede fiscale del gruppo, gran parte delle attività riguardano lavoratori italiani» –, quindi in Matteo Renzi – «È una buona notizia per l’Italia. Evocare i poteri forti e i padroni è ridicolo» –, e persino Matteo Salvini.

E se il riferimento al neo-leader di Azione, Carlo Calenda, non basta a convincere i nostri lettori più radicali di quanto la richiesta di FCA non abbia ragione d’essere accolta, lo sdegno del democratico Andrea Orlando chiarisce – ancora meglio – un pensiero che sposiamo nella sua totalità: «Senza imbarcarci in discussioni su che cosa è un paradiso fiscale credo si possa dire con chiarezza una cosa: un’impresa che chiede ingenti finanziamenti allo Stato italiano riporta la sede in Italia».

FCA, infatti, dal 2014 ha sede legale in Olanda e domicilio fiscale a Londra, che tradotto in termini economici significa che la famiglia Agnelli-Elkann non versa nelle casse dello Stato italiano le tasse sui dividendi che dipendono dagli utili generati dalle sue controllate, tra cui anche quella che opera sul territorio nazionale. Dunque, a quali garanzie il nostro Paese farebbe capo nel caso in cui FCA Italy non dovesse essere in grado di restituire l’ingente importo richiesto? 

È proprio questa domanda che fa cadere dubbi sulle motivazioni espresse dal gruppo, ossia salvare posti di lavoro di quanti sono impiegati negli stabilimenti presenti nelle diverse regioni dello Stivale. Operare negli interessi esclusivamente dei lavoratori è sacrosanto, ma siamo sicuri che tutto sia così chiaro e limpido come i giornali governati dagli stessi proprietari di FCA ed Exor intendono dipingere, attaccando chi – come Andrea Orlando – critica l’iniziativa?

Secondo il direttore del quotidiano La Stampa, Giannini – anch’essa al soldo del duo torinese –, il Vice di Zingaretti contribuirebbe con i suoi dubbi a mettere in circolo quel virus fra politica e giornali, un fetido venticello della calunnia sparata a caso e un tanto al chilo che finisce per avvelenare tutti i pozzi, coerentemente alla linea offerta dagli altri giornali del gruppo GEDI e, a nostro avviso, utilizzando invece un messaggio – questo sì – pericoloso e aggressivo, ossia l’idea che il dissenso sia da stigmatizzare.

Per un prestito miliardario dai criteri poco chiari, sembra essersi invece palesato l’attuarsi dei dubbi che esprimevamo su queste pagine appena qualche settimana fa: la Repubblica rischia di cedere definitivamente il passo allo stile Juventus, cancellando anni di storia pluridecennale fatta di editorialisti ruggenti e disturbanti. Non saremo efficaci come l’ex PD, ma quantomeno un po’ asserviti alle logiche del grande mercato i rappresentanti del governo italiano rischiano di sembrarlo. E, no, FCA non è decisamente una onlus.

Prec.

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