Ascoltando anche solo un telegiornale sembra che gli umani, “queste creature belliche e bellicose”, siano caduti in un altro ennesimo girone infernale. Dopo la morte di Giulia Cecchettin, abbiamo assistito ad altri femminicidi e il clima internazionale delle due guerre a noi più vicine sta rendendo drammatico e ineluttabile il destino violento della nostra tossica e intossicata “civiltà”.
È in discussione il ridicolo progetto dell’ora a settimana di “educazione alle relazioni” nelle scuole superiori con incontri per tre mesi all’anno e un totale di dodici sessioni, idea presentata dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara con la Ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità Eugenia Roccella al Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. La proposta prevede anche l’intervento di influencer, cantanti e attori per ridurre le distanze con i giovani.
Secondo questo ardimentoso progetto, gli studenti, guidati da un docente/moderatore, parleranno di sessualità, di affettività e di sentimenti. Si prevede anche l’introduzione del supporto occasionale di psicologi, avvocati, assistenti sociali e di organizzazioni contro la violenza di genere, per una più ampia sensibilizzazione che coinvolge anche i dicasteri dei ministri coinvolti. Un aspetto chiave sarà la diffusione del numero verde antiviolenza 1522, con la partecipazione del mondo dello sport per far conoscere questo strumento a una vasta platea.
La critica generale al progetto da parte degli addetti ai lavori è la delega “oraria” all’esperto “occasionale” per rafforzare magicamente una competenza essenziale e trasversale in ogni apprendimento. Sarebbe bene rendersi conto da parte delle istituzioni che l’educazione affettiva/emotiva è una dimensione che attraversano ogni giorno tutti gli educatori e gli adulti di riferimento durante il percorso di insegnamento/apprendimento dei bambini e dei ragazzi. Ne consegue che ogni adulto ha questa delicata responsabilità, deve quindi farsi delle domande sulle credenze copionali di genere che ha introiettato e porre in essere delle esperienze educative coerenti e congruenti, durante tutto il processo di comunicazione e di insegnamento in aula.
Tali interrogativi e tali propositi sono propedeutici per educare al rispetto reciproco tra i sessi, alla gestione dei conflitti, alla capacità di elaborare emozioni positive e negative. In tal senso ci sono pratiche già realizzate che hanno dato esiti soddisfacenti e non dobbiamo vanificare il lavoro svolto da formatori competenti, che proprio con i docenti hanno costruito edificanti percorsi di autoeducazione permanente.
I ragazzi cambiano di generazione in generazione. Non solo le discipline vanno aggiornate ma anche la didattica e la pedagogia, le strategie con cui si insegnano le materie curricolari. Il volume Legami slegati, pubblicato nel 2020 con i fondi regionali della Campania, racconta con estrema precisione l’esperienza del laboratorio didattico contro la violenza di genere ideato da Laura Capobianco, collaboratrice della Consulta Regionale, Ambretta Occhiuzzi, collaboratrice sul Web del Laboratorio, e Dario Aquilina, psicologo e psicoterapeuta, progetto che ha coinvolto sei licei statali napoletani (Boccioni, Palizzi, Mazzini, Genovesi, Villari, Margherita di Savoia), con il patrocinio della Consulta Regionale per la condizione della donna. Un’esperienza vincente che ha dato vita a dei percorsi didattici e culturali di grande potenza espressiva e educativa.
Proprio da questo intervento nelle scuole e da tanti altre iniziativi simili, risulta evidente come l’educazione all’affettività non si possa risolvere con le pillole settimanali, ma deve essere una strategia complessa e condivisa, prevista all’interno di ogni apprendimento. Molte le presenze di docenti, dirigenti e educatori scolastici che, insieme alle risorse già coinvolte in questo progetto, si sono incontrate il 15 dicembre nella sede del liceo Mazzini per riflettere e affrontare con sensibilità proposte organizzative sulla questione formativa.
Il focus della discussione rimane quello di esercitare gli adulti, i bambini e i ragazzi al confronto, alla capacità di esprimere emozioni e di reggere le frustrazioni e la perdita del legame. Al fare esperienza della non proprietà dell’altro nella relazione d’amore. Necessaria e urgente è la presenza adulta, maschile e femminile, come riferimento esemplare, attraverso il percorso di rispecchiamento e modellamento superando stereotipi di genere che ingabbiano i maschi in una falsa e rigida indipendenza, nella cancellazione delle loro emozioni di fragilità, e le donne in un ossessivo slancio di cura e di dedizione oblativa fino a perdere contatti con i propri bisogni di individuazione esistenziale.
La pratica delle relazioni, il partire da sé, deve confluire in un laboratorio permanente di autoformazione degli adulti/educatori, aumentando la capacità di mettersi in gioco, di mettersi in discussione, decodificando e migliorando il proprio stile comunicativo, libero da pregiudizi sessisti e patriarcali. Il coinvolgimento delle famiglie è necessario per decostruire i comportamenti di elevata tossicità: lesivi e violenti, sadico-masochistici, iperdipendenti e simbiotici.
La formazione dei docenti incrocia fortemente la trasmissione delle discipline e la rimozione delle stereotipie di genere. Per educare a pari dignità e relazioni sane, basate sul rispetto reciproco e sulla capacità sana di amare ed essere amati, bisogna ripensare alle forme e ai contenuti di ogni materia, a come vengono insegnati e trasmessi. Essere empatici è un obiettivo della dimensione adulta perché vuol dire essere capaci di mettersi nei panni dell’altro/altra, superando quegli atteggiamenti narcisistico-infantili che portano a utilizzare il compagno e la compagna come un oggetto di proprietà, detentore assoluto del proprio egoico benessere psicofisico.
L’empatia è strettamente connessa alla sospensione del giudizio, produce cambiamenti e porta a una maggiore auto-accettazione delle proprie fragilità. È necessaria per la riformulazione linguistica nel confronto anche conflittuale. Diventa ingrediente nel problem solving, per analizzare il problema dai vari punti di vista. Ogni narrazione in classe (storica, artistica, letteraria, scientifica…) può essere utile per smontare alcune credenze sessiste e misogine, maschiliste e patriarcali. Nelle aule universitarie e nella formazione concorsuale, i docenti non sono stati preparati per comprendere come e quanto passi di stereotipato e antiquato, di lesivo per la dignità delle donne nella trasmissione culturale della loro materia. Viene dato ancora come elemento inossidabile l’assenza di donne nei manuali disciplinari. La relazione di coppia in Italia ancora risente di una serie infinita di stereotipie di genere.
Bisogna partire da se stessi per capire cosa abbiamo assimilato passivamente della cultura patriarcale e come possiamo evolvere verso un’educazione che dia pari dignità a entrambi i sessi. Come può un’ora alla settimana riuscire a risolvere una questione così permeabile? Come può modificare una sensibilità sessista fatta di sguardi, di piccoli gesti, di posture precise e analogiche oltre che di frasi fatte ripetute da generazioni? Non è possibile modificare questo dato culturale senza il massimo coinvolgimento di tutti e quindi senza una formazione degli adulti.
Lo diceva bene Donata Francescato, più di venti anni fa, nel suo saggio Star bene insieme a scuola. Strategie per una educazione socio-affettiva dalla materna alle medie inferiori, che il cambiamento avviene in classe e in famiglia, durante l’intera giornata scolastica, durante la gestione del tempo libero in casa. Abbiamo perso più di venti anni, non interessandoci della relazione formativa nella scuola, dando spazio solo alla tecnologia, all’informatica, al digitale e così abbiamo formato solo dei bravissimi consumatori digitali, non persone capaci di parlare, di esprimere sentimenti e di accettare i no che la vita ci pone.
Il berlusconismo è stato una “mala educazione” che ha rafforzato i modelli commerciali/mercantili, dove solo i soldi sono l’unità di misura del successo, svuotando la formazione dei ragazzi di quel sistema valoriale che prima li proteggeva dal cannibalismo affettivo. Proprio questa povertà interiore crea dipendenza e violenza e sono i più fragili e confusi a diventare dei mostri della porta accanto. Bisogna recuperare il tempo perduto, riqualificare ogni intervento culturale perché sia pedagogicamente corretto. Bisogna insegnare a insegnare tenendo conto delle potenzialità identitarie di ogni materia e comprendere che solo un grosso e proficuo lavoro di squadra potrà spezzare questo vortice di violenza che sta caratterizzando drammaticamente la vita familiare italiana.