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Donna morta a Ischia: qual è l’anatomia di una caduta?

Milena Dobellini di Milena Dobellini
22 Luglio 2024
in Viola
Tempo di lettura: 4 minuti
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Marta Maria Ohryzko, una donna ucraina di circa trent’anni, è morta dopo essere caduta in un dirupo e aver ripetutamente e disperatamente chiesto aiuto al compagno che ha ignorato ogni richiesta, consegnandola con terribile incuria e spaventosa indifferenza alla morte, in una notte di luglio a Barano d’Ischia.

Secondo l’autopsia, Marta potrebbe essere morta per soffocamento causato da una forte crisi epilettica insorta dopo essere caduta, forse accidentalmente, ed essersi fratturata una caviglia. Il padre e la sorella della donna, ascoltati dagli inquirenti, hanno spiegato la situazione a loro già nota di fortissimo disagio di Marta, vittima a quanto pare reiteratamente e da molto tempo degli abusi, dei soprusi e delle violenze del compagno mai denunciato per paura di ripercussioni su di sé e sulla sua famiglia. Marta inoltre, sostenuta dalla sorella, era in cura presso il centro di igiene mentale dell’isola d’Ischia.

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Dai tabulati telefonici del giorno prima della sua morte, pare che la donna avesse litigato con il compagno e implorato il suo perdono. Poi, caduta nel dirupo, gli avrebbe chiesto disperatamente aiuto. Prima attraverso messaggi, poi con una telefonata. La chiamata è durata circa cinque minuti. L’uomo ha raggiunto la compagna, ma non le ha prestato alcun tipo di soccorso né ha allertato chi di dovere. Ha scelto di non provare ad aiutarla. Di non salvarla. L’ha lasciata sola, in un’agonia raggelante, e se n’è andato. Il mattino seguente è ritornato da lei e l’ha trovata esanime. Senza più vita, senza più voce.

Ma la sua voce spaventata e flebile, come quella di tante donne costrette a vivere in analoghe situazioni, prima della morte era stata mai ascoltata veramente da qualcuno che poteva proteggerla? Cosa faccio io, cosa fai tu lettore, cosa fa ogni singolo individuo quando la sofferenza sembra distante da sé e vicino a qualcun altro? Scappa. È una triste, inammissibile, spaventosa realtà.

L’equilibrio, si sa, è complesso per ogni essere umano, ma qual è l’anatomia di una caduta? Da cosa è composta, quali sono le sue conformazioni e strutture? Quando, come, perché la tutela e la salvaguardia delle vite umane hanno smesso di essere la priorità assoluta e immutabile per tutti? Quante donne dovranno ancora morire per la violenza, l’incuria, il disamore, la disumanità degli uomini che hanno disgraziatamente accanto?

Centoventi donne l’anno non sono ancora abbastanza per richiedere, pretendere, implorare protezione e sorveglianza? Marta viveva con il suo compagno in una roulotte e aveva problemi psichici. Il male profondo nidifica nell’incuria. Basterebbe provare a prendersi cura degli altri. Un essere umano, una comunità che non vede più, che non contempla più, non ha alcun rispetto per l’altro, né per se stessa.

In gergo medico si utilizza l’espressione “presa in carico”. Un medico, quando prende in carico un paziente, si assume la responsabilità di adempiere al compito della sua cura. Perché lo Stato, le forze dell’ordine e i sanitari non provano ad assumersi seriamente le responsabilità di provare a debellare un male che spaventa e annichilisce le donne che subiscono togliendo loro la capacità di provare a difendersi? Perché non provano a prenderle in carico con costanza e ostinazione?

Quante donne ancora dovranno morire prima che qualcuno provi a cercare soluzioni efficaci per un problema di grande complessità? Dove e come possiamo guardare dentro e attraverso il male, il livore, la furia, il disamore, la disumanità e il bisogno degli uomini di annientare, cancellare, sfigurare i volti e le vite delle donne?

E se parte del male risiedesse anche nello sfrenato e incontenibile impulso dell’assurda competizione per cui tutti sono gli uni contro gli altri e nessuno è più con e accanto a qualcuno? Il male cos’è? Come si dilata? Come si restringe? Come si insinua? Come si alimenta? Come si distrugge? Sono domande grandi, immense, difficili. Ma c’è un grande bisogno di porsele e di porle. È necessario pensarci e ripensarci.

Ne La banalità del male Hannah Arendt scriveva: Quel che ora penso veramente è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso ‘sfida’ come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale.

Ilia Batrakov, il compagno di Marta Maria, è in carcere con l’accusa di maltrattamenti in famiglia aggravati dalla crudeltà ai danni di una donna con problemi psichici. Che la voce di questa donna e di tutte le donne sole, abbandonate, violentate, abusate come lei possano tormentarci e toglierci il sonno, fin quando non ci sarà più alcuna Marta Maria morta per l’orrore e la disumanità dell’uomo che ha scelto di avere accanto.

Piangiamo, tutte, insieme per la morte di Marta Maria che potrebbe essere la nostra. C’è bisogno di piangere, quando serve. Altrimenti nessun sorriso avrà mai più senso. E la vita stessa perderà senso. Ma se una donna agonizzante chiede aiuto al suo compagno e viene lasciata sola e priva di soccorsi, la vita il senso l’ha già perduto.

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