Come ogni anno, giugno si tinge dei colori dell’arcobaleno grazie al Pride Month, il mese dell’orgoglio LGBTQIA+, il mese che, a seguito dei Moti di Stonewall, celebra gli ideali, la cultura e le battaglie delle persone omosessuali, lesbiche, bisessuali, transessuali e non binarie in genere. Una ricorrenza internazionale e ormai sdoganata grazie alle tradizionali parate pride, istituite in varie città del mondo per onorare e ricordare non solo tutti i traguardi raggiunti nel corso della storia ma anche, e soprattutto, le lotte per i diritti ancora in corso e che ancora, sfortunatamente, sollevano innumerevoli polemiche. Buffo come la libertà di essere se stessi e senza nulla togliere a nessun altro possa generare polemiche.
Intanto, qui non ci si arrende e si prova a rendere omaggio ad alcune delle personalità storiche che hanno contribuito al cambiamento, al progresso, in favore della cultura queer. Una di esse è senza dubbio Mariasilvia Spolato. Doppia minoranza, perché donna e perché lesbica in una società, quella dell’Italia degli anni Settanta, non ancora in grado di comprendere (non che adesso lo sia). Attivista e pioniera del movimento per i diritti LGBTQIA+, viene ricordata per un primato non indifferente: si tratta della prima donna lesbica italiana a dichiarare pubblicamente la propria omosessualità. Ed essere se stessi, oggi come allora, può avere un prezzo davvero alto.
Grandi occhi scuri e sorriso eloquente, Mariasilvia Spolato nacque a Padova il 26 giugno del 1935, da una famiglia medio-borghese – suo padre era ragioniere, la madre casalinga – negli anni bui delle politiche razziali della dittatura fascista e delle persecuzioni nei confronti delle persone omosessuali. Dopo il secondo conflitto mondiale, nella nuova Italia repubblicana e democratica, Mariasilvia dimostrò la sua forte propensione per gli studi scientifici, laureandosi alla facoltà di Scienze matematiche. Era l’inizio degli anni Sessanta.
Nella mentalità dell’epoca, le donne erano ancora relegate ai ruoli tradizionali di madri e mogli e la loro frequentazione alle università era vista quasi unicamente per diventare maestre o addirittura come passatempo in attesa del matrimonio e della gravidanza. Per non parlare del concetto di omosessualità, dove quella femminile nemmeno veniva menzionata e l’omosessuale, maschio, era identificato come ridicolo, effeminato. In un clima ancora così reazionario riguardo i diritti delle donne e degli omosessuali – vuoi la grande influenza cattolica – Mariasilvia si trasferì a Milano per lavorare come impiegata presso il settore Gomma – Direzione Studi Pneumatici della Pirelli, e dopo al Gruppo Brevetti.
La svolta avvenne dal 1967, con un concorso pubblico che la abilitò all’insegnamento nelle scuole secondarie e la pubblicazione con l’editore Zanichelli di un manuale di insiemistica per studenti delle scuole superiori. Ma la società stava mutando e Mariasilvia se ne accorgeva interessandosi sempre di più alle varie contestazioni studentesche e rivendicazioni femministe, che ponevano finalmente l’accento sul tema dei diritti omosessuali, da sempre ignorato dai media. Partecipò quindi alle piazze del 1972 e si rese essenziale per la fondazione del primo movimento di liberazione omosessuale, il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (FUORI), dal respiro internazionale e un’interessante formazione mista tra uomini e donne. Mariasilvia si concentrò sulla costruzione di una rete europea di relazioni e raccolse documenti pubblicati in seguito nell’antologia I movimenti omosessuali di liberazione.
Fu in particolare durante una contestazione dell’8 marzo del ’72 che la Spolato apparve a Campo de’ Fiori con uno striscione sulla liberazione omosessuale. Le fu scattata una foto e quella finì sul settimanale Panorama, a corredo di un’intervista a Simone de Beauvoir. Era la prima volta che una donna lesbica riceveva una visibilità pubblica così forte. Nello stesso anno, partecipò inoltre alla manifestazione di protesta per il primo Congresso internazionale di Sessuologia del CIS, a Sanremo, identificandosi fieramente di fronte alle telecamere di una troupe televisiva.
Forse proprio per tutta questa visibilità e interessi ritenuti così “pericolosi”, Mariasilvia fu demansionata e ritenuta non più “idonea all’insegnamento”, provvedimento che suscitò la protesta della Camera del lavoro locale. Sulla rivista Fuori!, co-fondata con Angelo Pezzana, raccontò:
Entrai nel bar. Subito tutti gli sguardi degli uomini si posarono su di me. […] Si avvicinò Peppe: – Se non facciamo lo zoo, facciamo un campo per omosessuali. Io: – Bene, così vi inculeremo tutti. […] Alle mie parole tutti nel bar si misero a ridere. Poi cadde il silenzio. Un giovane reagì: – Siete tutti dei poveri malati. […] Arrivai alla mia automobile. Guardai i parafanghi: erano tutti e due ammaccati, non a causa di incidenti o da urti: da martellate.
Raccontava non solo di violenze fisiche e psicologiche ma anche delle difficoltà delle lesbiche all’interno del movimento, contestando la possibilità di ricondurre l’esperienza omosessuale maschile a quella femminile. Una frattura inevitabile e complessa. Lentamente, la Spolato uscì dall’organizzazione e, il 27 e 28 aprile del 1974, fu la principale fautrice del primo Congresso internazionale delle donne omosessuali, purtroppo ignorate dal FUORI.
Sebbene le notizie sulla sua vita siano spesso riportate ancora oggi in maniera dubbia e lacunosa, pare certo che Mariasilvia perse molto a causa del suo attivismo: il lavoro, la compagna e parte della famiglia. Finì a girovagare per le città italiane senza fissa dimora, in difficoltà economiche. Un’infezione alla gamba la costrinse a un ricovero in un ospedale di Bolzano, cosa che non accettò mai di buon grado. Si spense il 31 ottobre del 2018.
E così oggi, giugno 2024, ci ritroviamo a celebrare un orgoglio e gridare una voce della coscienza che ancora sembra faticare a essere interiorizzata. A lottare tra di noi, uomini e donne, fratelli e sorelle, alzando muri invece di costruire ponti. A celebrare personalità come Mariasilvia Spolato neanche fossero supereroi, quando invece erano persone comuni. Persone come tante, la cui unica volontà era quella di essere riconosciute come esseri umani con pari dignità di chiunque, a prescindere dall’orientamento sessuale. E qualcosa cambia, davvero molto lentamente. Dal 2000 al 2013, paesi come Olanda, Belgio, Spagna, Norvegia, Svezia, Islanda, Danimarca e per ultima la Francia, hanno finalmente legalizzato i matrimoni e le adozioni tra coppie omosessuali.
La necessità di manifestare, di ricordare, di discutere, però, non è affatto superata poiché, sembra assurdo, in ben 64 paesi al mondo è ancora illegale far parte della comunità LGBTQIA+. In 14 è contro la legge essere transgender. In 12, per chi intrattiene rapporti intimi tra persone dello stesso sesso, è prevista la pena di morte. Morire per voler amare. Morire per essere liberi. Arriverà il giorno in cui ci si accorgerà che non è un crimine essere se stessi, nel rispetto e nell’amore reciproco. Nel frattempo, ci vediamo al Pride.