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Il Decadentismo e gli eredi “maledetti” di Baudelaire

Francesca Testa di Francesca Testa
27 Marzo 2017
in Lapis
Tempo di lettura: 3 minuti
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Nell’ambito del Decadentismo, vi è una specifica linea di sviluppo che va sotto il nome di Simbolismo. Tale tendenza accompagna le trasformazioni della letteratura tardo ottocentesca dal momento in cui vengono meno i fondamenti della poetica naturalistica, e si passa da un’idea di realtà fenomenica e superficiale a un concetto del reale più complesso, ambiguo e difficilmente decifrabile.

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, il Simbolismo diventa un orientamento letterario sempre più consapevole e deciso, fino a costituire il fondamento stesso di questo linguaggio. Il punto di partenza si rinviene per convenzione ne I Fiori del male di Charles Baudelaire. In particolar modo, il sonetto Corrispondenze si può considerare come il manifesto di una nuova poetica:

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La Natura è un tempio dove viventi colonne / lasciano talvolta uscire confuse parole; / l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli / che l’osservano con sguardi familiari. // Come lunghi echi che di lontano si confondono / in una tenebrosa e profonda unità, / vasta come la notte e come la chiarità, / i profumi, i colori e i suoni si rispondono.

Uno stato d’animo diffuso, un senso di disfacimento, l’idea di un crollo, di un imminente cataclisma epocale, un voluttuoso compiacimento autodistruttivo. Idee appartenenti a circoli d’avanguardia, contrapposte alla mentalità borghese e benpensante,  che ostentano atteggiamenti bohémien e idee deliberatamente provocatorie, ispirate proprio al modello “maledetto” di Baudelaire.

Si irradia un irrazionalismo misticheggiante che riprende fino all’esasperazione posizioni presenti nella cultura romantica. Il “decadente” ritiene che ragione e scienza non possano dare la vera conoscenza del reale, perché la realtà non è altro che qualcosa di misterioso ed enigmatico. Attingere all’ignoto, quindi, è possibile soltanto rinunciando alla razionalità.

Tutti gli aspetti dell’Essere sono legati tra loro da arcane analogie che sfuggono alla ratio e possono essere colte solo in un abbandono di empatia irrazionale. Ogni forma visibile è un simbolo di qualcosa di più profondo che sta al di là di essa e si collega con infinite altre dimensioni.

Il termine “decadente”, usato per la prima volta in Francia nel 1880, è un’espressione originariamente associata al gruppo di poeti considerati gli “eredi” di Charles Baudelaire, i quali sentono l’ebbrezza della rovina e la coscienza del tramonto: Stephane Mallarmé, Paul Verlaine e Arthur Rimbaud.

Una definizione che diviene l’emblema dell’epoca, un vero e proprio vanto, tanto da far intitolare Le Décadent la rivista dove essi pubblicano i loro scritti. “Je suis l’empire à la fin de la décadence” (“Sono l’impero alla fine della decadenza”) ama dire Verlaine.

Egli stesso definirà questi scrittori anticonformisti, ribelli e amanti di ciò che la cultura ufficiale considera corruzione. In questo senso, “maledetti”.

Un esempio straordinario di trascrizione della realtà in chiave simbolica è costituito dal Battello ebbro di Rimbaud, dove il battello diventa l’elemento integrante di una natura trasfigurata e animata.

Con Mallarmé, invece, si arriva al procedimento compiuto e perfettamente definito: dal Meriggio di un fauno, dove le figurazioni mitologiche diventano simboli del desiderio e del sogno, fino ai risultati supremi di Un colpo di dadi non abolirà mai il caso. Il Simbolismo ontologico-esistenziale del testo segna una svolta decisiva nella poesia novecentesca e il valore metaforico si trasferisce decisamente dalla natura alla parola stessa, che estrinseca la contraddizione fra la sua contingente precarietà e l’aspirazione a una forma di conoscenza assoluta, scontrandosi con i limiti invalicabili dell’inesprimibile e del silenzio. Mallarmé trasforma la poetica baudelairiana delle “corrispondenze” in un linguaggio di puri rapporti verbali, nell’astrazione di una nuda magia evocativa.

Conseguenza diretta del Decadentismo è il rifiuto del poeta di farsi banditore di idealità morali e civili: l’arte rifugge la rappresentazione della realtà storica e sociale e si chiude in una squisita celebrazione di se stessa, depurandosi di tutti gli intenti pratici e utilitaristici. Diventa, quindi, un’arte pura, una poesia pura. Alle immagini nitide e distinte si sostituisce l’impreciso, il vago, l’indefinito, che, solo, è capace di evocare sensi ulteriori e misteriosi.

È necessario poi che tu non scelga / le tue parole senza qualche svista: / nulla più caro della canzone grigia / dove l’incerto si unisce al preciso. – Paul Verlaine, Arte poetica

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