Dove eravamo rimasti? Che vogliamo provare a fare un film, che vogliamo fare cinema insieme, e vogliamo partecipare a un concorso con un bel premio in palio.
Per fare un film ci serve una sceneggiatura, ma dove si trovano gli spunti per costruirne una? Senza un’idea di partenza non esiste nessuna storia da scrivere, anche se questo non è del tutto vero. Ci sono molti casi di film completamente improvvisati. Nati “in macchina” giorno dopo giorno, col regista che si sveglia la mattina e inizia a girare improvvisando, senza sapere bene cosa succederà in seguito. Si tratta di film importanti, non di cortometraggi sperimentali. Dans la Ville Blanche di Alain Tanner, che vinse l’Orso d’Oro a Berlino, è nato esattamente così, ad esempio. Ma sono casi isolati.
Di solito, serve un’idea da sviluppare e trasformare in una sceneggiatura, serve un “progetto di carta”, qualcosa di ben chiaro, preciso e definito sul quale lavorare, per presentarlo a un eventuale sponsor o agli attori che dovranno interpretarlo, allo scenografo che progetterà le scene o al disegnatore che realizzerà il fumetto.
Come si trova un’idea? Potrebbe essere qualcosa che ci è successa o che ci hanno raccontato, una cosa semplice tipo: Non puoi immaginare cosa ho dovuto fare per trovare un passaggio da Berlino, oppure una sorta di poema epico come durante la guerra mio nonno era nel Golfo di Napoli, fu ferito, e abbandonato mezzo morto tra la polvere dei vicoli. A causa della ferita perse la memoria e dopo mesi di peripezie riuscì a tornare a casa da mia nonna, ma trovò la città sotto un drammatico bombardamento…
Vanno bene scampoli di storie fantastiche o una situazione anomala che ci viene la voglia di esplorare: cosa succederebbe se scoprissi di essere figlio di un attore girovago che mi ha dato in adozione ai miei genitori? Oppure: E se io e mia figlia ci fossimo trovati ai lati opposti del centro di Genova senza conoscere la città, durante gli scontri del G8 del 2001? Come avremmo fatto a non farci coinvolgere dalla violenza del confronto dei manifestanti con la polizia, ritrovarci e tornare a casa sani e salvi?
Sapendolo guardare, il mondo scoppia di storie meravigliose, personaggi drammatici, conflitti, misteri e idee affascinanti da sviluppare. Lo sceneggiatore deve dedicare una parte della sua vita alla raccolta di indizi, suggerimenti, spunti per sceneggiature, storie familiari, articoli di giornale (anche le bufale di Facebook vanno benissimo, anzi spesso offrono spunti micidiali), piccole o immense trame che potranno diventare ottime basi per scrivere una grande sceneggiatura.
Ma una grande quantità di spunti è inutile senza un metodo per fare ordine. La sceneggiatura è proprio questo: il passaggio dal caos all’ordine. È quasi impossibile che un’idea per una sceneggiatura arrivi già completa: a volte si tratta di una scintilla, una sequenza di immagini, stimoli e sensazioni che si accavallano a dialoghi e scene slegate tra loro. Le idee hanno bisogno di essere ordinate; si può decidere di tenerle in testa per un po’, giocarci, masticarle, ma sarà fondamentale scriverle. E al più presto. Scrivere è importante per molte ragioni: per non perdere nel nulla lo spunto per la sceneggiatura, per decidere che direzione prendere, per liberare spazio e permettere ad altre idee di emergere.
Giuseppe Tornatore una volta ha raccontato che, molto prima di dirigere Nuovo Cinema Paradiso, girava con le tasche piene di foglietti di carta. Ci scriveva sopra, a matita, idee per un film. Aveva quindici anni, viveva nella Sicilia più profonda, e sognava il cinema. Magari, un giorno, arriverò anche all’Oscar, avrà pensato. Inutile dire che sembrava perfettamente impossibile, nella Bagheria degli anni Settanta, che un ragazzino con le tasche piene di carta straccia potesse arrivare all’Oscar. Ci è arrivato. E quei fogliettini che teneva in tasca, quegli appunti che scriveva, frettoloso, ogni volta che gli veniva in mente qualcosa, gli sono serviti anche a distanza di anni. Non è importante il supporto utilizzato, può essere un quaderno, il telefonino, un registratore vocale, ma il concetto è lo stesso: le idee devono essere messe da parte. E vanno anche ordinate.
Per iniziare a fare ordine bisogna sapere quali sono gli elementi che compongono una sceneggiatura, le “cartelle” nelle quali raccogliere il materiale che genera le storie. Eccoli:
– trama
– personaggi
– idea di base
– immagini
– dialoghi
Ognuno di questi elementi determina lo svolgimento che avrà la sceneggiatura. Può trattarsi delle persone, e l’inizio coinciderà con un personaggio conosciuto o immaginato, lasciando che sia lui a far evolvere la storia a seconda delle decisioni e delle azioni che verrà naturale scrivere per lui. Oppure l’esaltazione scatterà per una storia e sarà appassionante far accadere cose e spingere i personaggi in un intreccio emozionante, oppure l’interesse potrà riguardare l’esplorazione di un tema particolarmente caro, come l’amore, la sete di potere che corrompe le persone o il razzismo degli schiavi della Louisiana nel secolo scorso.
Si può anche partire da un dialogo ascoltato in treno, una chat o uno scambio di battute che occupano la testa e da quella scena andare avanti. Indipendentemente da dove si vuole iniziare, alla fine tutti questi elementi dovranno incontrarsi nella sceneggiatura. E dato che sono tutti collegati non si può sviluppare un dialogo senza che emerga un personaggio o una storia. O viceversa.
Perciò quello che serve immediatamente è un metodo per collegare le idee mentre scorrono fluide prima che si affloscino. Serve lo spazio per trasformare gli spunti per una storia in una vera idea per la sceneggiatura, cambiarla e trasformarla in qualcosa di totalmente diverso. Qualcosa che funziona. Provo a fare un esempio: qualche giorno fa ero seduto sotto l’ombrellone, vedo passare una ragazza di colore carica di collanine, tiene per mano il suo bambino. Ha il passo lento e si ferma di tanto in tanto a proporre i suoi monili. Da questo fotogramma è nato il plot seguente.
Fadel ha cinque anni, viene dal Senegal, e ogni giorno accompagna la mamma che vende collanine camminando avanti e indietro sulla spiaggia.
Fadel aspetta pazientemente che la mamma mostri il suo piccolo campionario, dopo averlo disteso sul lettino delle signore con il costume sgargiante.
Intanto Fadel guarda verso il mare, dove un altro bambino, suo coetaneo, gioca ad aspettare le onde che si spengono sulla sabbia cavalcando un grande coccodrillo gonfiabile di plastica verde, che sembra vero.
La signora non ha comprato nulla; Fadel riprende la mano della mamma e insieme continuano a camminare silenziosi verso altri ombrelloni.
Al ritorno, rifacendo lo stesso percorso, Fadel vede il bambino che piange disperato vicino al suo grande coccodrillo verde.
Il mattino successivo gli alberi vicino alla spiaggia sono tappezzati di fogli con la fotografia di un coccodrillo di plastica verde e il messaggio seguente: “Il mio bambino non trova più il suo coccodrillo: se qualcuno lo ha visto per favore lo riporti all’ombrellone 249. Grazie”.
Pomeriggio, Fadel tiene la mano della mamma che cammina sul bagnasciuga, e tiene sottobraccio il grande coccodrillo di plastica verde.
Il bambino dell’ombrellone 249 lo vede avvicinarsi e gli va incontro.
Fadel lascia la mano della mamma e porge il coccodrillo al suo coetaneo; insieme vanno vicino all’acqua.
Fadel indica con un dito al bambino il punto dove, con due cerotti applicati a croce, ha riparato la foratura del coccodrillo.
Giocano insieme per qualche minuto.
Poi Fadel torna dalla mamma, insieme, in silenzio, ricominciano il giro degli ombrelloni.
Per trasformare questo plot in un video serve una sceneggiatura, rigorosa (anche se, a dire il vero, io ho già diviso in scene il video che ho in testa). E poi serve l’attrezzatura che, per partecipare al nostro concorso, dovrà essere limitata a uno smartphone.
Di questo e di tutte le specifiche tecniche per ripresa e montaggio parleremo nel prossimo articolo, dal titolo “C” come cellulare.
Contributo a cura di Ernesto Aufiero (Contame)