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Un nuovo tempo: il post pandemia come opportunità

Antonio Salzano di Antonio Salzano
21 Gennaio 2024
in AZETA di Antonio Salzano
Tempo di lettura: 4 minuti
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La settimana appena trascorsa, quella del liberi tutti, è iniziata per la Campania con la notizia enfatizzata dall’informazione locale sulla mancata firma da parte del Presidente De Luca dell’intesa con il governo. Una notizia subito smentita dal Ministro Boccia che ha opportunamente ricordato che alcuna firma è prevista trattandosi di un parere fornito dalla Conferenza delle Regioni. La Lombardia, intanto, ha proseguito con gli aggiornamenti del suo quotidiano bollettino di guerra, anche se con dati appena più incoraggianti, ma pur sempre con quasi 16mila vittime. Decessi ancora non sufficienti a convincere la Giunta regionale e il suo Governatore a rassegnare le dimissioni per un massacro tutto da spiegare, tranne a qualche strenuo difensore, quale – come riportato da Il Fatto Quotidiano – Raffaele Cantone che ha paventato un sentimento anti lombardo, tra l’altro liquidando la domanda sulle morti al Pio Albergo Trivulzio con un quel luogo è purtroppo sfortunato e si è caricato di simboli.

Una settimana che ha visto in bilico la tenuta del governo minacciato e poi salvato da quel partito del 2%, accontentatosi per ora di due commissioni, con un Renzi che, citando il Giudice Di Matteo, ha rivolto il suo pensiero all’ex Capo dello Stato, pensiero che, per decenza, forse avrebbe fatto bene a evitare. Ma la mina vagante della politica italiana, Presidente del Consiglio per 1024 giorni, oggi Senatore della Repubblica, è fatta così: per ora spara a salve per poi colpire a fondo, sempre con la sua risicata percentuale tendente al ribasso.

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Nel frattempo, in tutto il Paese, le serrande sono in maggioranza alzate nella speranza di riprendere fiato e in attesa di una ripresa difficile a concretizzarsi in tempi brevi. Definitivamente chiuse, invece, per quanti già in crisi prima della pandemia, impossibilitati a sostenere ancora il peso dei debiti con banche e usurai. Anche i Comuni, sull’orlo del baratro per mancanza di risorse da parte dello Stato, con molta probabilità saranno costretti a sospendere i servizi essenziali pur avendo assicurato, come nel caso di Napoli, un sostegno a circa 130mila indigenti in questo lungo periodo di fermo forzato.

Le cifre dei milioni di euro da distribuire o già erogati a pioggia hanno sostituito quei numeri impazziti di vite umane spezzate che hanno accompagnato le nostre giornate, nel dubbio atroce che troppi ne abbiano approfittato a scapito dei lavoratori che finora hanno goduto unicamente della solidarietà concreta di molta gente, volontari e associazioni, per avere la possibilità di mettere un piatto a tavola.

La confusione tra Stato e Regioni non ha contribuito di certo a dare segnali chiari e inequivocabili, le convenienze politiche hanno troppe volte messo in secondo piano le esigenze di trasparenza da parte dei cittadini chiamati al solo rispetto delle regole, seppur sacrosante, tra  dichiarazioni e autocertificazioni viste, riviste e corrette in un contesto di un coacervo di decreti, convenzioni e allegati. Una situazione emergenziale di un fenomeno imprevisto di portata eccezionale che ha messo in evidenza anomalie e rapporti istituzionali che esigono più di un chiarimento, oltre che di una coraggiosa riforma costituzionale che ridiscuta tutto il sistema regionale, compreso quello a statuto autonomo – sino a ipotizzarne l’eventuale soppressione –, dando maggiore risalto ai Comuni e, non ultimo, una completa rivisitazione della gestione della sanità pubblica.

Le prese di distanza di qualche Presidente di Regione dal governo centrale – quasi a voler simulare prove generali di autonomia – per poi seguirne fedelmente le direttive al momento del degenerare di una situazione sin da subito apparsa drammatica, sono risultate a dir poco grottesche e politicamente riprovevoli mettendo in piena luce la sorprendente incapacità di gestire un’emergenza nell’emergenza che, come accennato in apertura, richiederà un’attenta analisi e un chiarimento che non sembra rientrare nelle intenzioni del capo politico della forza di maggioranza della Giunta lombarda fino a ora impegnato a esaltarne il nulla.

In attesa di una delucidazione che si spera non giunga assieme all’ultima rata del mutuo per la restituzione dei 49 milioni, però, è bene che ci si interroghi sul come rimettere in moto il Paese, su quali basi e con quali prospettive. Ripetere ancora la solita cantilena della necessità di rifondazione di tutti i settori dello Stato? Sì, si necessitano riforme strutturali, dalla giustizia alla scuola all’università; dal fisco, che non continui a penalizzare i contribuenti favorendo gli evasori, a uno snellimento della macchina burocratica mettendo fine allo scarico di responsabilità tra i poteri dello Stato. Senza una stagione di riforme che non duri il tempo di una vita, continueremo a fare l’elenco dei disastri fin quando la barca riuscirà a stare a galla e non sarà più possibile aggiungere toppe su toppe.

Questa pandemia, seppur seminando morte e dolore, sembra aver  chiuso il sipario annunciando la fine di un tempo e l’inizio di un altro, nuovo se riusciamo a coglierne i segnali, peggiore se pensiamo sia un ritorno a quella normalità anomala nella quale ci siamo beati e fatti trasportare a lungo come in un’orgia impazzita, fantastica per pochi, un disastro per molti, senza prospettiva alcuna, in particolare per la generazione di quei giovani ancora utenti di un parcheggio senza uscite la cui unica alternativa è scappare all’estero, ovunque, per qualsiasi lavoro, ma lontano da questo Paese nel quale tante porte si sono chiuse alle spalle, incapace com’è di trattenere energie indispensabili per la rifondazione del suo tessuto sociale e politico.

Non occorre porsi passivamente in attesa di un processo lungo e non facile, è necessario che la Politica esca allo scoperto ed eserciti il suo ruolo di servizio, di approfondimento, di studio dei temi che interessano alla gente. Una Politica che formi una classe dirigente preparata e adeguata ai tempi. Non è più possibile catapultare in Parlamento chiunque, senza un minimo di esperienza amministrativa, pescato dalla società civile come fosse un titolo di merito. L’unica riforma che il nuovo è riuscito a proporci è la riduzione del numero dei parlamentari, come se significasse un grande traguardo democratico la diminuzione della rappresentanza.

Vivere questo tempo di post pandemia – augurandoci che duri – in un’ottica di rifondazione anche esistenziale contribuirà certamente a rivedere un modello di vita possibile, più umano, con la consapevolezza non solo di essere tutti sulla stessa barca, come ebbe a dire di recente Papa Bergoglio, ma che ci si salva tutti o nessuno.

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