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“The Menu”: un satirico horror culinario da non perdere

Alessandra Trifari di Alessandra Trifari
28 Novembre 2022
in Cinema
Tempo di lettura: 4 minuti
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Un connubio tra MasterChef e Saw – L’enigmista? Sì, è possibile, grazie a The Menu, folle thriller/horror culinario del 2022 diretto da Mark Mylod, presentato al Toronto Film Festival e in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma. Attualmente in sala, vi stregherà, sorprenderà e allo stesso tempo farà riflettere, specialmente se siete amanti di quegli horror (in realtà più un thriller con alcune tinte horror) non convenzionali, sagaci e a tratti quasi grotteschi, che celano ma neanche poi tanto una potente critica sociale.

Anya Taylor-Joy e Nicholas Hoult sono Margot e Tyler, una coppia che sta per salire su una barca assieme a un gruppo di ambigui personaggi: una nota critica culinaria, potenti imprenditori, star televisive, anziani ricconi. Tutti selezionati per una cena di lusso su un’isola semi-deserta, dov’è collocato il ristorante del prestigioso e pluripremiato chef Julian Slowik (Ralph Fiennes), specializzato in gastronomia molecolare. Lo specifica da subito: loro sono i prescelti per la sua più grande, perfetta, opera d’arte culinaria.

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Se il logorroico e spocchioso Tyler pare ritenere un capolavoro ogni portata solo perché firmata Slowik, Margot si dimostra invece perplessa nei confronti di un ambiente che non le appartiene e di una cucina gourmet che non riesce a comprendere né ad apprezzare. Le cose si complicheranno notevolmente quando quella che sembrava essere una cena per pochi eletti si trasforma in un violento, strano gioco al massacro.

È piuttosto riduttivo, oggi, parlare di horror e basta. Abbiamo infatti ben compreso come tale genere si stia via via sempre più ibridando, alla ricerca di linguaggi espressivi meno convenzionali, nuovi, indipendenti e socialmente o politicamente impegnati. Registi quali Yorgos Lanthimos, Jordan Peele, Ari Aster hanno portato alla luce audaci pellicole in grado di fondere tensione e satira, in un certo senso desiderosi di svecchiare un genere che non necessariamente prevede soltanto sangue, budella e jumpscares. E con un target di riferimento senza dubbio più ampio.

Mark Mylod (pochi prodotti all’attivo, film come Ali G o The Big White e alcuni episodi di Game of Thrones) ci ha provato e ha fatto centro, con un film che sa intrattenere, cinico e contraddistinto da un sapiente black humor. L’atmosfera cupa ma decisamente fine, elegante, minimalista fa da cornice a una pesante critica nei confronti della società moderna.

The Menu utilizza la metafora culinaria per parlare di arte e capitalismo, di quel consumismo esasperato, di un mondo dove ogni cosa viene fagocitata senza alcun rispetto, amore o valore, desiderandone sempre di più. Strizza l’occhio a tutti quei programmi televisivi o reality show di cucina, nei quali gli chef sono ormai al pari delle star di Hollywood, che fanno a gara a chi grida più forte e dà più spettacolo a discapito di quello che deve essere il vero protagonista, il cibo. Ricevute da capogiro perché si è pagato il nome, non la cucina, perché l’umile pizza è in realtà quella di Briatore o di Cracco. Per criticare ma dimostrare di essere comunque stati lì. Una ricerca esasperata dell’avanguardia, piatti destrutturati che seguono le mode del momento, dove poco importa se siano o meno buoni. Ciò che conta è che siano esclusivi.

Così facendo, ogni personaggio rappresenta una falla della società che viene messa alle strette dal sistema che lui stesso ha contribuito a creare. Dall’esperta critica, le cui recensioni con arzigogolati paroloni hanno decretato l’ascesa o il fallimento di tanti ristoranti, al riccone a cui non interessa sapere neppure cosa stia mangiando, all’ossessionato Tyler che non può fare a meno di fotografare ogni singola portata sebbene gli sia stato espressamente chiesto di non farlo.

Non possiamo non lodare Hoult per questo fastidiosissimo ruolo, talentuoso dai tempi di About a Boy per poi emergere in Skins e Mad Max: Fury Road. Qui rappresenta la malata consapevolezza di essere parte del sistema e il crogiolarsi in essa perdendo del tutto il contatto con la realtà.

Ma a spiccare sullo schermo è, nemmeno a dirlo, lei, Anya Taylor-Joy. Dopo La regina degli scacchi è praticamente inarrestabile e lo sta dimostrando in ogni singolo ruolo assegnatole. Presenza scenica, espressività e fascino senza pari, il suo personaggio è la nota stonata, ciò che non era previsto all’interno del piano. Lei non dovrebbe essere qui continua a ripetere lo chef Slowik e ha ragione. Ma, a proposito dello chef… Ralph Fiennes, volto noto di cult quali Shindler’s List o Harry Potter, porta senza ombra di dubbio le redini della pellicola, interpretando un personaggio assolutamente sopra le righe eppure intrigante, carismatico, a tratti inquietante, a tratti quasi comico. Sappiamo poco della sua storia, o almeno ne intuiamo alcuni dettagli e non riusciamo né a condannarlo né a giustificarlo. Un particolare da tener presente: non sorride mai. Il rapporto di stima-sfida tra lui e Margot è forse ciò che tiene maggiormente lo spettatore incollato allo schermo, in un crescendo di tensione culminante nel finale, chiaro, simbolico, dove tutto torna.

È il caso di dirlo, vi invitiamo a degustare The Menu in sala, non tanto per la regia, pulita ma nella norma, quanto per le interpretazioni e un particolare montaggio che richiama i tipici programmi culinari dove le portate vengono presentate in maniera esteticamente impeccabile, minimal, con tanto di didascalia. Non mancheranno i momenti di ilarità, un grottesco ben calibrato e forse non è una coincidenza che tra i produttori ci sia Adam McKay, lo stesso regista di Don’t Look Up. Nonostante non sia un film perfetto – qualcosa rasenta la sospensione dell’incredulità ma va bene così, non è quello il punto – The Menu sarà capace di intrattenere, divertire e condurre, purtroppo, a riflessioni piuttosto agrodolci.

Prec.

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Alessandra Trifari

Classe 1991. Dottoressa in storia dell'arte e disegnatrice. Scrive da sempre e la sua mente viaggia tra arte, cinema, musica e parità di genere. Dei due sentieri, sceglierà sempre il meno battuto.

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