Erano le 10:25 del 2 agosto 1980 quando il tempo, alla stazione di Bologna, si fermò per sempre. Ottantacinque persone persero la vita, altre duecento rimasero ferite, le bombe innescate dalle mani terroriste di Luigi Ciavardini, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro distrussero l’ala ovest dell’edificio e il futuro di tanti, tantissimi cittadini del capoluogo emiliano.
Un attentato di matrice neofascista. Lo ha definito così la magistratura, la storia, persino il Presidente della Repubblica Mattarella appena pochi giorni fa. Non è parso bastare, tuttavia, per impedire a Marcello de Angelis, attuale responsabile della comunicazione istituzionale della Regione Lazio – già cognato di quel Luigi Ciavardini – di scrivere un delirante (e grave, gravissimo) post social che vale la pena riproporre in versione quasi integrale:
Il 2 agosto è un giorno molto difficile per chiunque conosca la verità e ami la giustizia, che ogni anno vengono conculcate persino dalle massime autorità dello Stato. […] Intendo proclamare al mondo che Cristo NON è morto di freddo e nessuno potrà mai costringermi a accettare il contrario. Così come so per certo che con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Non è un’opinione: io lo so con assoluta certezza. E in realtà lo sanno tutti: giornalisti, magistrati e “cariche istituzionali”. E se io dico la verità, loro – ahimè – mentono. […] Posso dimostrare a chiunque abbia un’intelligenza media e un minimo di onestà intellettuale che Fioravanti, Mambro e Ciavardini non c’entrano nulla con la strage. Dire chi è responsabile non spetta a me […]. Mi limito a dire che chi, ogni anno e con toni da crociata, grida al sacrilegio se qualcuno chiede approfondimenti sulla questioneha SICURAMENTE qualcosa da nascondere. […] Non riusciranno a farmi rinunciare a proclamare la verità. Costi quel che costi […] altrimenti hanno vinto loro, gli apostoli della menzogna…
Loro, cioè noi. Giornalisti, magistrati, cariche istituzionali. Cittadini tutti che, stando alle parole di de Angelis, non valiamo niente. Non siamo persone d’onore. Lui, invece, che conosce la verità, che sa chi è stato e lo sa con assoluta certezza, lo scrive su Facebook. Non va nelle sedi opportune, non denuncia, non fa nomi e cognomi. Allude, a buon intenditor… Addirittura accusa il Presidente della Repubblica, ma dire la verità no, non spetta a lui. E, allora, che senso ha questo messaggio affidato all’etere, ai social, dove tutto si cancella e tutto resta?
Quello di de Angelis è solo l’ultimo degli innumerevoli contributi al depistaggio dell’opinione pubblica che si sta consumando in questi anni, un tentativo decisamente maldestro di riscrivere la storia recente del Paese che persino i sussidiari scolastici ignorano e che finirà nel dimenticatoio, là dove pure un giorno verranno a prendere e mistificare i nostri non-ricordi. L’obiettivo è chiaro e non è inedito. A Bologna, intanto, sono ancora le 10:25.
Dopo il post, la polemica si accende presto, le opposizioni chiedono le dimissioni, l’intervento del Presidente della Regione Lazio Rocca o, in alternativa, quello di Giorgia Meloni – che nel giorno della commemorazione ha parlato di terrorismo, mica di fascismo. Magari la Premier commenterà i fatti tra qualche ora e, quando lo farà, spegnerà il fuoco senza dire niente di scomodo agli occhi dei suoi. Sarebbe inopportuno visti i trascorsi. Nel frattempo, anche quella che è una certezza assoluta di Marcello de Angelis comincia a vacillare. Anche stavolta, vale la pena riportare le sue parole:
Come ogni libero cittadino di questa Nazione, ho esercitato il diritto di esprimere la mia opinione su un evento solstiziale della nostra storia, fondata su decenni di inchiesta svolta come giornalista e parlamentare. E certo, non lo nego, animato dalla passione di chi ha avuto un fratello morto, vittima di uno degli accertati depistaggi orditi per impedire l’accertamento della verità. […] Ho detto quello che penso senza timore delle conseguenze. Se dovrò pagare per questo e andare sul rogo come Giordano Bruno per aver violato il dogma, ne sono orgoglioso.
Quella di Bologna è, ancora adesso, la strage di matrice terroristica più atroce dal dopoguerra. Uno squarcio troppo profondo che, soltanto molte ore dopo il post, costringe Francesco Rocca ad annunciare che valuterà le dichiarazioni fatte a titolo personale dal suo portavoce, mosso da una storia familiare che lo ha segnato profondamente. E qual è questa storia che dovrebbe farci empatizzare?
Marcello de Angelis – si accennava in apertura – è cognato di Luigi Ciavardini, accusato con sentenza definitiva per i fatti di Bologna ed esponente di spicco dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari). Nasce militante del Fronte della Gioventù e poi di Terza Posizione, movimento neofascista eversivo costola di Lotta Studentesca. È nei primi anni di attivismo che muore il fratello Nazzareno, Nanni, nel carcere di Rebibbia. I motivi sono ancora dubbi ed è a questa vicenda che fanno riferimento de Angelis e Rocca. Ma non finisce qui: il portavoce è anche un ex detenuto del carcere di massima sicurezza di Brixton (sei mesi di reclusione) e poi qui in Italia, dove riporta una condanna a cinque anni e sei mesi per associazione sovversiva e banda armata.
Da allora, la sua carriera politica colleziona diversi traguardi: senatore nel 2006 con Alleanza Nazionale, membro di diverse commissioni anche di inchiesta (come quella sull’uranio impoverito), poi deputato nel 2008 con il Popolo della Libertà, membro della Commissione Bilancio, della Commissione Difesa e della vigilanza RAI, e oggi alla Regione Lazio guidata da Fratelli d’Italia. E chi sennò.
Come della strage di Bologna, dunque, non è difficile capire la matrice di de Angelis e nemmeno comprendere le ragioni del suo negazionismo. Il punto, qui, non è che una figura con il suo passato e le sue nostalgie rivendichi la propria verità, ma che lo faccia in quei termini, pubblicamente, attaccando le istituzioni che, però, ha rappresentato e rappresenta. È il rovescio della medaglia, la libertà di cui gode grazie a chi quelli come lui li ha combattuti, consegnandoli alla storia per ciò che erano e sono sempre stati: fascisti, liberticidi, violenti. Fascisti, liberticidi, violenti a cui questo Paese offre ancora nuove opportunità, incarichi di rilievo, la possibilità di insinuare, alludere, far capire che.
Oggi, più che mai, la memoria ha bisogno di nuova voce, ora che le destre hanno vergognosamente ripreso piede in tutto lo Stivale, fino a varcare la soglia dei Palazzi in cui non credono. Oggi, più che mai, insiste la necessità di ricordare alla gente chi è che ha sempre negato la speranza adoperando la via della violenza, del sangue e della repressione.
Oggi, più che mai, occorre fermare gli orologi alle 10:25 del 2 agosto 1980 e restare in silenzio. Ascoltare il fragore di una e più bombe. Il rumore di ottantacinque vite spezzate, duecento feriti, quarantatré anni di una verità e mille illazioni. Poi bisogna tornare a parlare. Per non smettere di tramandare giustizia, di raccontare come sono andate le cose, di sentire il dolore bruciare la pelle. Per non smettere di rifiutare ogni tipo di fascismo, vecchio e nuovo. Che poi è sempre lo stesso. Altrimenti hanno vinto loro, gli apostoli della menzogna.