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Rachel Carson e la nascita della “coscienza verde”

Vincenzo Villarosa di Vincenzo Villarosa
9 Novembre 2021
in Lapis
Tempo di lettura: 3 minuti
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Poco più di cinquanta anni fa, nel 1962, Rachel Louise Carson, biologa e zoologa americana, riuscì a pubblicare Silent Spring (Primavera silenziosa). Quella data viene indicata come anno di nascita dell’ambientalismo moderno e della coscienza verde, che riguarda una più ampia consapevolezza del fatto che l’azione degli uomini danneggia in maniera progressiva l’ambiente naturale nel quale si svolge la storia degli esseri viventi e, in particolare, delle comunità umane.

La Carson nacque a Springdale, in Pennsylvania, nel 1907. Diventò biologa e insegnò sia presso la John Hopkins University sia presso l’Università del Maryland, praticando anche il lavoro di ricercatrice in un laboratorio di biologia marina nello Stato del Massachusetts. Alla metà degli anni Quaranta, iniziò la sua indagine scientifica sull’uso dei nuovi pesticidi, in modo particolare del famigerato DDT, scoprendone gli effetti deleteri sulla catena alimentare e biologica. L’uscita del suo capolavoro saggistico Silent Spring, dove sono raccolti i risultati delle ricerche svolte in tanti anni, fu un vero e proprio grido d’allarme sugli effetti dannosi e spesso irreversibili dei pesticidi sull’ambiente naturale. Emblematico, tra gli altri narrati, è l’episodio accaduto nel distretto di Clear Lake in California, dove per diversi anni una vasta zona fu trattata con grandi quantità di DDT, per liberarla dalle zanzare. Più avanti nel tempo, alcuni ricercatori scoprirono che nel plancton e nel pesce della zona la concentrazione della sostanza chimica era diventata rispettivamente di centinaia e migliaia di volte superiore a quella presente nell’acqua. E negli uccelli che mangiavano pesci la concentrazione era aumentata perfino di decine di migliaia di volte. Il drammatico risultato fu che gli animali non si riprodussero più e, come ci ricorda in maniera poetica quanto malinconica il titolo del libro della pioniera dell’ambientalismo, la primavera diventò silenziosa.

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La denuncia della studiosa statunitense, di conseguenza, fu vista come un attacco ai forti interessi delle potenti multinazionali che producono i prodotti chimici che, usati in modo irresponsabile e senza gli opportuni controlli nel corso del tempo, provocano l’inquinamento delle terre e delle acque e il conseguente degrado dell’ambiente naturale, umano e sociale. La coraggiosa ricercatrice dovette affrontare molti attacchi pubblici, che tentarono di mettere in discussione le personali competenze e i risultati delle sue ricerche scientifiche. Per fortuna e contemporaneamente, la sua testimonianza diventò un best seller della letteratura scientifica mondiale e non mancarono, in seguito, i riconoscimenti da parte del mondo accademico. La Carson, purtroppo, si ammalò di cancro e morì all’età di 56 anni, nel 1964. Soltanto molto tempo dopo vi fu la messa al bando del DDT e di altri prodotti chimici pericolosi e il definitivo, anche se postumo riconoscimento ufficiale del valore delle attività a cui la studiosa aveva dedicato la sua esistenza, con la Medaglia Presidenziale della Libertà nel 1980.

Nonostante il progresso degli studi, delle ricerche e delle azioni politiche degli attivisti del movimento ambientalista, comunque, la crisi ecologica è una delle emergenze più gravi della scena sociale, politica ed economica dei nostri tempi. Dal global warming, il surriscaldamento globale, e l’effetto serra prodotto dalle eccessive emissioni di CO2 dovute alle attività inquinanti della produzione industriale, all’inquinamento delle terre e delle acque fino all’enorme produzione di rifiuti, purtroppo anche tossici, la tutela della salute umana e quella dell’intero globo terracqueo vengono messe in pericolo dall’azione di quei gruppi industriali locali e transnazionali che producono, pensando al solo profitto del loro “business”, prodotti e pratiche economiche che avvelenano l’ambiente naturale.

L’insensato sfruttamento infinito di un pianeta dalle risorse grandi ma finite fa parte ormai dello “stile di vita” occidentale, che è diventato il modello sociale ed economico mondiale per il raggiungimento del benessere materiale. E le pratiche della green economy, che cercano un nuovo equilibrio tra economia, ecologia ed equità sociale, nel rispetto delle diverse culture umane all’insegna di uno sviluppo ecosostenibile rispettoso dell’ambiente naturale, spesso non vengono attuate, se non addirittura ostacolate, dalle governance politico-istituzionali di un sistema mondiale dominato dall’ideologia produttivistica e consumistica dell’affarismo globale. L’opera e la coraggiosa sfida di persone come Rachel Carson, insomma, non sembrano bastare per contrastare quello che ormai viene percepito come il modo “naturale” di produrre, consumare e vivere, che mette in pericolo sempre di più il presente e forse la stessa sopravvivenza futura degli esseri umani e di tutte le specie viventi del pianeta Terra.

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