Con l’apposizione del sigillo da parte della Lega di Matteo Salvini e di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni è stata ufficializzata la candidatura al Quirinale dell’improponibile Silvio Berlusconi. Indipendentemente da come andrà a finire, i due leader del centrodestra hanno ritenuto idoneo ad assumere la più alta carica dello Stato il bugiardo più sincero che ci sia, il primo a credere alle proprie menzogne, ciò che lo rende così pericoloso, come lo definì non un cattivo comunista ma Indro Montanelli nel corso di un’intervista rilasciata a Enzo Biagi: «Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. Berlusconi è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L’immunità che si ottiene col vaccino».
Una maledizione, quella di Montanelli, in parte avveratasi che potrebbe ora avverarsi del tutto. Prima, però, occorre che l’ex Cavaliere sciolga la riserva, un particolare da copione d’avanspettacolo, ridicolo se non tragicamente simile a quello di una sceneggiata. Intanto, il duo Salvini-Meloni gioca come di consueto le due carte per avere, nel caso di fallimento, potere contrattuale con il resto dell’attuale ammucchiata di governo, proprio come l’ercolino sempre in piedi dei tempi che furono.
Che l’uomo condannato per frode fiscale a quattro anni – di cui tre condonati per effetto dell’indulto – faccia il suo gioco non meraviglia nessuno se non un gregge di creduloni ancora affascinati dal suo perverso carisma. Ma ciò che dovrebbe scuotere le coscienze di quanti hanno a cuore la destra e i suoi legittimi valori, seppur discutibili, è la complicità a un sistema immorale che ritiene normale il solo pensare di eleggere Capo dello Stato chi ha beffato e usato la legge a proprio uso e consumo, trasformando anche qualche sede istituzionale in un ritrovo di allegri e contestabili personaggi e comportandosi da irresponsabile giocherellone in consessi internazionali che hanno sprofondato il Paese nel ridicolo.
È un gioco sporco quello del duo Salvini-Meloni, costretti a coprire ancora l’arroganza di un uomo che negli anni al potere ha utilizzato le istituzioni come mai nessuno dal dopoguerra a oggi, una sfacciataggine che neanche esponenti del peggiore passato hanno osato, avallata da una parte dell’elettorato che è la rappresentazione più fedele di un modo di intendere la politica, quella della difesa dei propri interessi, del proprio orto alla faccia del bene comune e degli interessi della collettività.
Anche se il sostegno alla candidatura dell’improponibile fosse semplicemente un atto formale di gratitudine, per poi giocarsi la carta della condivisione con altre forze politiche e andare subito dopo alle elezioni, resterebbe comunque nella storia di questo sventurato Paese l’atto più becero che le future generazioni potranno ricordare, come se non fossero già bastati gli anni di governo di un centrodestra incapace di riforme radicali, che hanno relegato il Paese sull’orlo del baratro e della più disastrosa stagione economica della storia recente, causando anche il declino sul piano sociale e morale.
Proporre il peggio per barattare poi un esponente di quella parte politica, riesumando anche qualche vecchia cariatide e giocando sulla scarsa memoria degli italiani: da Amato a Casini, da Pera a chissà chi altro, magari avanzando la candidatura della seconda carica dello Stato, fedele all’ex Cavaliere al punto da giurare sulla parentela di Ruby con Mubarak.
L’accoppiata Salvini-Meloni e lo stesso improponibile guardano di certo al vasto bacino del gruppo misto con particolare riferimento agli ex pentastellati senza capo né coda, pronti a fare il contrario dei colleghi del vecchio schieramento di riferimento e sensibili al canto delle sirene proveniente dall’uomo di Arcore, abile nelle campagne acquisti cui questa volta, come non mai, non porrà alcun limite. Da non sottovalutare, poi, la schiera di rappresentanti delle Regioni – in maggioranza di centrodestra – e qualche atipico uomo delle istituzioni, pronto a togliersi qualche macigno dalla scarpa dopo lo schiaffo subito dallo sceriffo campano.
E se in casa Salvini-Meloni la strategia appare abbastanza chiara, in quella pentastellata si brancola ancora nel buio, nonostante la proposta scaturita da un primo approccio davvero tutto da ridere: la richiesta di un bis a Mattarella per il quale il Di Maio di prima maniera riteneva occorresse l’impeachment. Ma tutto si perdona al politico per tutte le stagioni.
In maniera sparsa, la sinistra gioca a proporre nomi, mentre Letta da navigato politico resta per ora alla finestra limitandosi a definire la candidatura dell’ex Cavaliere divisiva, come se l’onorato curriculum dell’uomo venerato dal potente zio Gianni avesse come unico neo la divisibilità e null’altro. Un’altra fallimentare segreteria del Partito Democratico, destinato a celebrare l’ennesimo Te Deum.
I prossimi giorni saranno decisivi, anche se colpi di scena potrebbero richiedere un rimescolamento delle carte e – da non escludere – la necessità di turarsi il naso.
Nemmeno la scomparsa di David Sassoli è bastata a placare gli animi e a orientare la politica nel senso di quella pacificazione tanto cara al Presidente della UE, dell’interesse primario a favore dei più deboli, di quegli emarginati che Giorgio La Pira – in maniera blasfema più volte evocato dal Matteo Renzi a capo del governo – riteneva dovessero essere la priorità di chi ha responsabilità nelle istituzioni, nei fatti risolvendo i problemi reali e le più elementari necessità di vita.