Vent’anni fa, mentre andava morendo, mia madre raccoglieva ricette. Dalle sue carte e dai libri (all’epoca Google non c’era) si spargeva per casa il sapore immaginato – con l’odore – dell’omelette di Tabucchi, del pane all’uvetta di Maupassant, dei krapfen di E.M. Forster. Stanava pietanze da romanzi, memoriali, racconti. Aveva il progetto, mia madre, di un matrimonio; ossia di sposare letteratura e cucina. Mentre moriva.
Questa è la storia di Oretta Bongarzoni e Davide Orecchio. La storia di una madre e di un figlio, che ancora la cerca. È sua, infatti, la postfazione alla nuova edizione di quello che lei chiamava libro-sfizio, un ricettario oggi edito minimum fax, impreziosito dalle illustrazioni di Agnese Paglierini. Il suo nome è Pranzi d’autore, un incontro-testamento di prelibatezze, sinestesie e ricordi, di ricette e letteratura.
È curiosando tra le pagine dei grandi autori del passato, infatti, che la giornalista di Paese Sera, scomparsa nel 1995, volle mettere insieme un elenco di squisitezze senza tempo mentre quel tempo tentava di sfuggirle.
Mia madre. Mentre andava morendo. Componeva l’indice dei piatti che non avrebbe mangiato né cucinato. Aveva nel mediàstino il veto al cibo. Un ospite senza invito. La fine dei capelli castani e il regno della parrucca al colore di nutria. Lei, che non poteva mangiare, scriveva ricette. Si votava al libro dei Pranzi d’autore.
Prendeva piccole dosi di cibo. Bocconi di pasta scotta. Verdure. Minestre. Tre settimane su quattro mia madre negoziava col mediàstino il cibo. Poi strappava il consenso allo stomaco. Per la pasta scotta, per verdure e minestre.
La marmellata di lamponi di Anna Karenina. La fricassea di Madame Bovary. La torta di frutta secca di Oblomov. Le melanzane all’amore di Gabriel García Márquez. La torta di mele di Wharton. Il soufflé al rum di Mansfield. Il Christmas pudding di James Joyce. La Sicilia di Montalbano. Le omelette di Sostiene Pereira.
A seconda dei casi e degli autori – diceva Bongarzoni – la presenza del cibo nei libri è una forma del tempo e dello spazio, un piacere sostitutivo o complementare del piacere amoroso, un ricordo, un’allusione, un gesto dimostrativo; una delle tante funzioni del ritmo narrativo. Oppure: un dettaglio di vita quotidiana come tanti altri, un codice sociale, un segno (bello o brutto) del carattere dei personaggi, una dedizione, un’impazienza, una libertà, una banalità. Una lettura diversa, la sua, di quel grande progetto chiamato letteratura. I classici che non smettono mai di insegnare e tramandare, di nutrire l’anima… e il corpo.
Il cibo, però, è anche ricordo. Ricordo di un figlio che cerca sua madre. E di una madre che non vuole lasciare suo figlio. È sempre sorprendente il modo in cui i sensi scatenano la memoria. Come alcuni ingredienti presi separatamente non dicano nulla e, invece, messi insieme, secondo una precisa combinazione, possano generare odori e sapori capaci di riportarci istantaneamente all’infanzia, in un altro luogo e in un altro tempo. Si chiama memoria relazionale, ed è il processo che avviene nell’ippocampo, quello dove si formano le connessioni neurali.
Il racconto di Davide Orecchio, il suo dono a noi delle ricette a cura di Oretta Bongarzoni, non se ne discosta molto. Anche se quelli che ripropone insieme a sua madre non sono i piatti della sua infanzia, mi piace pensare che siano quelli che, in qualche modo, costituiscano un ricordo felice. Che, ancora, lo tengano con lei. E che sua madre, che mentre moriva, viveva, torni alla sua scrivania ogni qualvolta qualcuno scelga di proporli in tavola.
Mentre mia madre andava morendo, vent’anni fa, si cibava di poco. Ma sposava letteratura e cucina. Ma si votava al libro dei Pranzi d’autore.
[…] questo è il mio omaggio per lei. Entrano le ricette nel vostro dominio (anche se non so chi voi siate, sono per voi). Magari qualcuno adesso le legge. Magari a qualcuno capiterà di volerle applicare. S’accenderanno uno, due, tre fornelli. Forse un forno. Una griglia. Forse qualcuno mi dirà che sapore hanno le creazioni di queste ricette, che mia madre andava scrivendo mentre andava morendo.
Vent’anni fa, ero appena una bambina, anche mia madre raccoglieva ricette. Scriveva, su un vecchio quaderno a malapena rilegato, gli ingredienti della sua infanzia. A pagine alterne, un’altra grafia. Anche sua madre, mia nonna, faceva lo stesso. Dosava ricordi. Non c’è cucina, nelle nostre case dal sapore antico, che non custodisca i segreti di famiglia, manicaretti di un tempo da rendere eterno. Non c’è odore che non ci riporti a quegli attimi di insieme. Penso al giorno prima di Pasqua, al sabato santo che sforna tradizione. Alla tavola imbandita della domenica.
Ho ancora il ricordo del profumo di casatiello che suonava la sveglia al mattino presto. Mamma e nonna, donne fiere e innamorate, lo vegliavano dalla sera del venerdì, per tutta la notte a fasi alterne. Lo scopo era accertarsi che non crescesse troppo per infornarlo mentre il sole ancora portava i segni del cuscino sul viso. Erano altri tempi, io appena bambina, il casatiello nemmeno mi piaceva. Credo sia stato l’odore a farmelo amare. O, forse, il loro modo di prendersene cura. A distanza di anni, ogni sabato prima di Pasqua, continuo a sentirlo tra le narici, a sperare che l’olfatto faccia capolino nel nuovo giorno prima degli altri sensi. Un po’ come Oretta Bongarzoni faceva rivivere il Gattopardo con il suo timballo di maccheroni.
Aveva nel mediàstino il veto al cibo. Un ospite senza invito. La fine dei capelli castani e il regno della parrucca al colore di nutria. Per quanti è ancora così. Per quanti, ancora bambini, non ci sono sapori. Soltanto piccole dosi di cibo. Ricordi tutti da scrivere. Per questo, in occasione della ripubblicazione di Pranzi d’autore, minimum fax ha scelto di avvalersi dell’importante collaborazione con AIRC: acquistando il libro attraverso questo link si contribuirà a sostenere la ricerca sui tumori pediatrici, oggi – grazie a essa – sempre più curabili.
Pranzi d’autore è la storia di Oretta Bongarzoni e Davide Orecchio. La storia di una madre e di un figlio, che ancora la cerca. Ma è anche la storia di tante madri e di tanti figli. La storia di chi vuole restare.