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#portichiusi e #cuoriaperti: il nuovo hashtag di Matteo Salvini

Mariaconsiglia Flavia Fedele di Mariaconsiglia Flavia Fedele
18 Luglio 2018
in Il Fatto
Tempo di lettura: 4 minuti
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#portichiusi e #cuoriaperti: sembra una barzelletta, eppure ha avuto il coraggio di scriverlo il Ministro dell’Interno Matteo Salvini. Lui che per darsi un tono più serio deve per forza rispondere a quel bisogno urgente di postare con maggiore frequenza di mamma Ferragni, nemmeno ieri, dinanzi all’ennesima immagine di morte, ha preferito tacere, risparmiandoci bile e cattivo gusto. Non ce l’ha fatta, purtroppo, neanche stavolta, a non prendere il cellulare dalla tasca, a non digitare l’ormai solita filastrocca imparata a memoria. Non ce l’ha fatta a ricordarsi del ruolo che ora, ahinoi, ricopre con arroganza, mosso, come sempre, da quell’ansia di protagonismo, di sciacallaggio e di virilità da ribadire a ogni occasione, lui che da papà nemmeno si commuove.

Nello specifico, il Ministro ha voluto rispondere, sui social, alla pesante accusa lanciata dall’ONG spagnola Open Arms al governo italiano, reo, secondo il fondatore Oscar Camps, di arruolare assassini per uccidere chi sceglie di lasciare il proprio Paese natio attraversando il grosso cimitero che è diventato il mare che bagna le nostre coste. Parole dure, quelle dell’operatore umanitario, che hanno fatto seguito all’ennesimo intervento del suo equipaggio in occasione dell’ultimo naufragio libico. Proprio ieri, difatti, l’Organizzazione Non Governativa ha salvato la vita di una donna dispersa da più di quarantotto ore nelle acque del Mediterraneo, trovata aggrappata a una tavola di legno, resto dell’imbarcazione sulla quale era a bordo. Al suo fianco, un’altra donna e un bambino di appena cinque anni per cui, purtroppo, non c’è stato nulla da fare. Unica sopravvissuta, Josephine – questo il suo nome – avrebbe rifiutato, insieme alle due vittime ritrovate con lei, di salire a bordo della motovedetta della Guardia Costiera libica che aveva raggiunto i migranti in cerca di un futuro.

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La Guardia Costiera libica ha detto di aver intercettato una barca con 158 persone fornendo assistenza medica e umanitaria – ha scritto il fondatore di Open Arms – ma non hanno detto che hanno lasciato due donne e un bambino a bordo e hanno fatto affondare la barca perché non volevano salire sulle motovedette. Non abbiamo potuto fare nulla per recuperare l’altra donna e il bambino, che a quanto pare è morto poche ore prima che li trovassimo. Per quanto tempo avremo a che fare con gli assassini arruolati dal governo italiano per uccidere?

Non si è fatta attendere, come facilmente prevedibile, la risposta di Salvini: Bugie e insulti di qualche ONG straniera confermano che siamo nel giusto: ridurre partenze e sbarchi significa ridurre i morti, e ridurre il guadagno di chi specula sull’immigrazione clandestina. Io tengo duro. #portichiusi e #cuoriaperti. Il leader della Lega, però, ha volutamente ignorato che, anche questa volta, la lista di chi non ce l’ha fatta si è allungata ancora un po’ e che i morti di cui parla non sono mancati, accumulandosi ai 1443 che da inizio gennaio al 15 luglio scorso hanno visto il proprio corpo abbandonarsi al blu.

A dare particolarmente fastidio, tuttavia, nel tweet del Ministro, non è stato il solito hashtag di accompagnamento ai suoi cinguettii, quanto quello nuovo, quel #cuoriaperti che sa più di applauso facile delle folle che lo incitano e necessitano di sentirsi a posto con la coscienza che di sentimento e accoglienza sincera. Come una preghiera recitata da un malavitoso. Nei nostri occhi ancora persistono le immagini dell’Acquarius, per giorni abbandonata a se stessa mentre l’Europa e l’Italia facevano a braccio di ferro. Con che coraggio, dunque, si fa riferimento al senso di umanità se i porti restano chiusi e le persone in mare? Con che coraggio si parla di cuore se gli occhi sgranati, spauriti, persi, di Josephine non hanno mosso nulla? A quando i commenti dei seguaci pentaleghisti in merito ai cadaveri che le hanno fatto compagnia? Anche quelli photoshoppati? Con che coraggio apostrofare la Libia come un porto sicuro? Se così fosse, perché le migliaia di vittime che hanno perso la vita – ma anche le fortuitamente sopravvissute – avrebbero preferito lasciarsi andare alla deriva piuttosto che farvi ritorno? Immaginate, anche solo per un attimo, cosa sarebbe successo se gli europei avessero riconsegnato gli ebrei scappati dai campi di concentramento ai tedeschi. Cosa avreste detto in quel caso? Avreste celebrato comunque la Giornata della Memoria? E, soprattutto, da quel giorno cosa imparate ogni anno? Troppo buonisti coloro che hanno pensato di mettere fine all’Olocausto rischiando se stessi?

Chissà cosa ne pensa il Ministro popolare quanto un influencer di successo, impegnato a tenere duro principalmente il cuore. Chissà cosa sarà di Josephine. Perché mentre noi siamo qua a discutere, a rimproverarci sui social, a indossare magliette rosse, a condividere le immagini del naufragio sperando di sensibilizzare o godendone come ricci, da quello sguardo niente potrà cancellare la paura della morte, il ricordo di due amici, forse parenti, magari sconosciuti, rimasti attaccati alla vita finché questa non è fuggita via dalle loro dita stremata. Chissà come starà adesso Javier Filgueira, il giovane venticinquenne che si è tuffato in acqua sperando di portare la donna al sicuro, quel volontario che ha lucrato sulla pelle di una migrante insieme a bordo del suo taxi del mare, invece di lasciarla giacere in acqua risparmiando 35 euro al giorno.

#portichiusi e #cuoriaperti ha scritto Matteo Salvini. In effetti, pretenderli entrambi sarebbe stato davvero troppo, soprattutto da uno come lui. Intanto, il Premier italiano – quello vero, si suppone – continua a latitare.

Prec.

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