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Plastica assassina: poco tempo per salvarci

Fabiana Stornaiuolo di Fabiana Stornaiuolo
15 Luglio 2021
in Rubriche
Tempo di lettura: 3 minuti
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È una bella giornata, la prua apre un dolce varco nell’acqua limpida. Ridono spensierati quando qualcuno avvista una tartaruga. Sorrisi e occhi accesi ammirano l’animale dal carapace brillante nuotare fiero. La gioia lascia però presto spazio alla curiosità. La tartaruga si trascina dietro qualcosa di strano. Sembra un filo, cos’è? I ragazzi si avvicinano, riescono a rintracciarla e la salgono a bordo.

Un palloncino donato al cielo è ricaduto in mare. La tartaruga, affamata, ne ha approfittato, ma il palloncino ora è incastrato e fatica a uscire. I ragazzi riescono ad aiutarla e tra gli applausi la liberano, sperando non ricapiti.

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Su un’altra barca, un gruppo diverso lascia ai pesci i resti del proprio pranzo: piatti, posate, un bicchiere volato via. Il vento porta con sé una busta vuota. Le buste in mare fluttuano come meduse, tra le pietanze più succulente nel menù delle tartarughe.

Il Lampedusa Turtle Rescue, centro di soccorso per tartarughe marine, lancia l’allarme: gli stomaci degli esemplari raccolti sono tutti pieni di plastica. Rifiuti che l’intestino non sempre riesce a espellere. Ami, lenze, mascherine abbandonate e reti da pesca sono solo alcuni tra i pericoli da schivare. Eppure, gli episodi di disattenzione e inciviltà dovuti a chi solca il mare coprono solo il 20% dei rifiuti presenti in acqua. Il restante 80% viene dal suolo.

Provate a passeggiare sulla banchina, in queste belle giornate di sole. Quattro passi sul litorale adriatico, lungo le bianche spiagge salentine o calpestando la sabbia bagnata dal Tirreno. Ai vostri piedi, contatele: vedete più conchiglie o immondizia? Onda dopo onda, nuove bustine, tappi, bottiglie tornano alla terra su altre rive.

Alcune ONLUS provano a dare il contributo che possono. Greenpeace fa partire il Plastic Radar, mettendo a disposizione un numero di telefono WhatsApp per segnalare i rifiuti incontrati d’estate. Una misura per valutare il peso della plastica in mare e scoprire, grazie alle etichette, quali aziende e quali prodotti “pesano” di più.  Plastic Free, associazione nata nel luglio del 2019, colleziona i rifiuti trovati in spiaggia e per le strade. Fino a ora, il lavoro di oltre 900 referenti e il supporto di innumerevoli volontari da ogni parte d’Italia ha svuotato lo Stivale di quasi un milione di chili di plastica. Altre città provano a limitare l’usa e getta non riciclabile. Così l’isola di Procida sposa il progetto e, già Capitale della Cultura 2022, si propone come capitale delle buone idee: dopo aver vietato l’utilizzo del monouso in plastica, pone il veto anche sulle shoppers.

Raccogliere le tracce visibili ed evitare di produrre ulteriori rifiuti è una misura indispensabile per non aggravare ulteriormente una situazione già tragica. Ma il vero dramma di un inquinamento costante e serrato è la plastica che non si vede. E non è solo quella depositata sul fondo.

Un misero sacchetto impiega dai dieci ai trent’anni per disgregarsi in mare, se prima non viene mangiato da una tartaruga. A una bottiglia serve un millennio. Ma se da integri rappresentano trappole mortali per pesci, crostacei, mammiferi e uccelli, giunti alla scadenza del loro lunghissimo viaggio continuano a fare danni.

Disgregarsi, infatti, non significa sparire. Non conosciamo ancora bene tutti i danni cui condurrà la microplastica, un pericolo non solo per la fauna marina. Minuscoli pezzettini sospesi finiscono nella dieta dei pesci che noi stessi mangiamo. Così come le onde riportano a riva i rifiuti provenienti dalla terraferma, i pesci finiti in tavola riportano la plastica ai proprietari.

Abbiamo chiuso il 2020 con la notizia di microplastica ritrovata nella placenta umana. Sappiamo di non poter tornare indietro nel tempo, ma possiamo andare avanti nelle intenzioni. Che direzione scegliamo di dare al 2022?

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