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“Perdersi”: le relazioni tossiche di Elizabeth Jane Howard

Marina Finaldi di Marina Finaldi
9 Novembre 2020
in Billy
Tempo di lettura: 6 minuti
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Elizabeth Jane Howard è nota in Italia per l’amatissima saga familiare dei Cazalet. A ottobre, Fazi Editore ha arricchito l’opera di pubblicazione dei suoi testi di un nuovo titolo, Perdersi, in una traduzione di Sabina Terziani e Manuela Francescon. Il romanzo è un raffinato gioco di spiragli sul tema delle relazioni a due. Due sono i protagonisti, due i punti di vista e i narratori.

Henry è un uomo attempato, ancora piacente, straripante di libido. Con lui facciamo conoscenza subito, intento a riversare sul lettore parole quasi di diario. Confida alle pagine il suo desiderio ribollente per il genere femminile e confessa, senza modestia, di essere una rarità tra gli uomini: piace alle donne e riesce a sedurle tutte perché le capisce. A conoscerle ha imparato leggendo i romanzi delle grandi scrittrici inglesi: Austen, Woolf, Eliot. Tuttavia, l’accozzaglia di stereotipi e le frasi fatte sul romanticismo che trascrive su ogni pagina lasciano interdetti. Le sue generalizzazioni, le vanterie, tradiscono immediatamente qualcosa di molto diverso dall’amore e dalla premura che l’uomo millanta. Una certa insensibilità alla vita e alle cause altrui (soprattutto le donne) comincia a far capolino fra le righe, come un’erbaccia che divora piano piano un prato ben curato.

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Henry si dice ebbro di passione, ma sulla pagina compare lentamente il ritratto di un uomo freddo, manipolatore, paziente e determinato come un ragno che tesse la tela in attesa della preda. Nel giro di qualche capitolo in sua compagnia, benché non succeda molto, benché non abbiamo fatto altro che leggere le memorie e le elucubrazioni di un vecchio in rovina, siamo completamente avviluppati dall’inquietudine. Presagiamo che davanti ai nostri occhi di impotenti lettori il grosso ragno intrappolerà la preda di passaggio e se ne nutrirà fino a saziarsi.

Poco lontano da dove è ormeggiata la barca in cui dimora, si stabilisce Daisy. Nel bagagliaio della sua auto lussuosa porta i fantasmi di due matrimoni falliti a causa del tradimento. Ha acquistato un cottage in campagna per godersi la quiete dei suoi sessant’anni e lavorare alle sue sceneggiature in giardino, interrotta solo dal ronzio degli insetti e il cinguettare degli uccelli. Henry, che ha lavorato come giardiniere per gran parte della sua vita, si offre di aiutarla a sistemarlo e piantare per lei dei fiori. Daisy, diffidente, accetta. Il piano di lui è subito chiaro: insinuarsi poco alla volta nella vita della donna, rendersi indispensabile attraverso il sesso e spingerla al matrimonio per godere dei frutti del suo lavoro. Eppure, agli occhi di lei, Henry continua a essere un valido aiuto, un premuroso e galante signore per il quale la vita non ha avuto clemenza. Per motivi professionali, Daisy riparte quasi subito ma, nel corso di una breve vacanza in Messico, cade e si rompe una gamba. Costretta a letto, rimugina sulle macerie delle sue relazioni, le lettere del giardiniere gentile, per lei, diventano l’unico balsamo.

Le cadute, all’interno del romanzo, sono importanti. Il titolo originale, infatti, era Falling, cadere. Cadere nel senso di perdere l’equilibrio e riportare materialmente una frattura, come succede a Daisy, ma anche cadere nel senso di cascarci, di lasciarsi andare verso l’ignoto di una nuova relazione dando piena fiducia a chi ci sta di fronte. La caduta è il motore scatenante degli eventi del romanzo e del piano di Henry, la caduta è anche il suo trascinarsi sempre più in basso in una spirale di alcool e miseria per raggiungere lo scopo agognato.

Anche di Daisy viene offerto il punto di vista, ma in una modalità molto diversa da come conosciamo Henry. La protagonista ci viene raccontata dall’alternanza di un narratore onnisciente in terza persona e di testimonianze tratte dal diario di Daisy stessa. Al contrario, Henry è architetto della sua trama perché decide cosa raccontare e cosa tacere, in quale luce mettere gli eventi della sua vita di modo che possa trarre giovamento dal racconto. Lo strumento della narrazione in prima persona, che a un’incipiente e superficiale analisi dovrebbe servire a metterlo a nudo e disvelarne i segreti, diventa nelle sue mani uno strumento di affabulazione, un modo per plasmare la realtà oggettiva senza che il lettore abbia modo di confutarla. L’utilizzo della terza persona nelle parti che riguardano Daisy, invece, potrebbe inizialmente dare un’impressione di distacco, di algida lontananza ma diventa ben presto il parametro attraverso il quale chi legge riesce a soppesare le verità che gli vengono raccontate.

Il personaggio di Daisy, vulnerabile e onesto, suscita un sentimento di protezione che sfocia in un’impossibilità materiale di mettere giù il libro. Potente alchimista, Elizabeth Jane Howard mescola gli ingredienti del suo romanzo in modo da rendere il lettore a tratti spettatore inerme e a tratti custode del dramma di una relazione di coppia tossica. L’istinto è quello di scuotere Daisy dall’idillio come si fa con un bocciolo per liberarlo dalle gocce di rugiada che ne appesantiscono la corolla, l’istinto ci spingerebbe a voler entrare nel libro e liberarla, smascherare Henry come impostore. Comportarsi da amici.

Sull’importanza di avere degli amici, delle persone cui confidare senza paura del giudizio i dettagli più difficili della propria vita, il romanzo indugia molto. Elizabeth Jane Howard traccia un parallelo tra i rapporti mai facili di Daisy con sua figlia, sempre un po’ troppo frivoli con Anthony, in bilico in ambito lavorativo con Anna, eppure tenuti insieme dalla colla dell’amore e della stima disinteressati, e il legame morboso che la donna instaura con Henry, fatto invece di squilibri di potere e love-bombing. Le raffinate tecniche seduttorie di lui, le trame della sua tela, consistono in un certosino intreccio di bugie e gaslighting, di sesso punitivo. L’uomo cerca di mettere Daisy contro gli amici, di isolarla, di rinchiuderla in una bolla. Maschera il suo cinismo dietro l’amore per la letteratura e la competenza botanica.

Si tende a pensare che chi ami i libri, la poesia e la natura sia d’animo gentile. Henry nei libri si rifugia per vivere una vita da romanzo. Si perde nel labirinto dei dettagli più avventurosi, lima e adatta a sé le vite dei personaggi di Dickens, Austen, Brönte. Si smarrisce in un limbo di fantasie per lui reali, e diventa scopo della sua vita rendere concrete quelle fantasie. L’amore per i giardini è l’unico retaggio vero della sua infanzia: il padre era giardiniere e gli ha insegnato il mestiere. Più che il contatto con la terra, ama progettare giardini. Anche qui, Henry vuole piegare la natura al suo volere, modellarla a suo piacimento, avere il potere di decidere il cosa, il come e il perché. Con il giardino si comporta come con le donne: le premure e le cure iniziali servono solo allo scopo di ricavare per sé il dolce frutto del godimento.

Elizabeth Jane Howard è qui pienamente erede di Jane Austen. Anche nell’opera austeniana il giardino rappresenta spesso la cartina tornasole dell’animo dei personaggi e del loro status. Nei suoi romanzi gli incontri tra amanti, le proposte di matrimonio, le scoperte scabrose vi hanno spesso luogo. In Perdersi, Howard pone il giardino al centro del rapporto tra Daisy (che fra l’altro vuol dire margherita) e Henry, ma anche tra Henry e le sue molteplici amanti.

Nel ricordare la scomparsa di Elizabeth Jane Howard (avvenuta nel 2014 all’età di novant’anni), l’impeccabile Hilary Mantel individuava in lei proprio la più degna erede di Austen. Solamente, scriveva Mantel con una punta di amarezza che ci sentiamo di condividere, Austen è stata beatificata dopo la morte perché aveva avuto l’accortezza di morire giovane e di condurre una vita tranquilla. Le opere di Elizabeth Jane Howard, invece, pagano ancora lo scotto di essere state partorite da un’autrice dalla vita travagliata, turbolenta. Dal fatto che portasse le cicatrici delle sue relazioni passate senza la vergogna che ci si aspetta da una donna. Dal fatto che il suo atteggiamento felino somigliasse più a quello di una tigre che non a quello di un’innocua gattina. Una donna potente che ha dedicato cinquant’anni della sua vita a scrivere, senza mai perdersi.

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