Siamo a Napoli, è la mattina del 29 dicembre e Rocco e Sara, rispettivamente di nove e cinque anni, sono sotto il letto. La notte di Natale lui e lei, all’insaputa dei loro genitori, hanno vissuto avvenimenti tanto straordinari che adesso Sara nega siano realmente accaduti. Inizia così la storia che, sotto forma di romanzo e film d’animazione, prende il nome di Opopomoz.
Un titolo buffo, apparentemente insensato, che sulla copertina della versione cartacea di Einaudi Ragazzi si staglia su un cielo blu stellato che fa da sfondo a tre simpatici diavoletti svolazzanti, in cima all’immagine di una donna che tiene tra le braccia la sua bambina. I loro volti sorridenti sono assuefatti da una visione che nell’illustrazione resta occulta.
Dalla data con cui si apre il libro, con un flashback, l’autore Furio Scarpelli trasporta il lettore indietro nel tempo, fino a qualche giorno prima della vigilia di Natale, che nel napoletano comincia la vigilia della vigilia della vigilia della vigilia di Natale. Quella sera il cielo è colmo di stelle e il centro è gremito di passanti, indaffarati nella corsa alle ultime compere. Ma, mentre gli abitanti sono presi dalla routine dell’acquisto di regali e cibi tradizionali, qualcosa di straordinario accade in cima al celebre vulcano partenopeo.
Dal buco nero del cratere, spento da mezzo secolo, venne su un sommesso raspare, e poi tre starnuti. Dopo di che il Vesuvio eruttò tre… tre che cosa? Tre scomposti esseruncoli di colorito nero-verdognolo, naso paonazzo, occhi a chicco di pepe, corna in cima alla capoccia e code in fondo alla schiena. Tre diavolastri veri e sputati, con tanto di nome: Astarotte, Farfaricchio e Scarapino. […] Avevano avuto l’ordine di contattare una certa persona per l’attuazione di un piano sciagurato.
Il bersaglio dei tre diavoletti è Rocco, a causa della sua gelosia nei confronti del fratellino, la cui nascita è prevista esattamente il 25 dicembre. Colui che domina il Sottosuolo della Terra e dell’animo umano, infatti, ha deciso che sarà proprio lui la persona che dovrà impedire l’evento della Santa Natività, in cambio della mancata nascita del piccolo.
A Rocco basterà pronunciare quella bizzarra parola, Opopomoz, e incredibilmente si troverà catapultato nel presepio di famiglia, dove dovrà ostacolare l’arrivo di Giuseppe e Maria a Betlemme. Così, l’ambientazione si sposta in un piccolo villaggio costruito e decorato secondo la tradizione napoletana, con contadini di terracotta, cani, pecorelle e maiali, sotto un cielo azzurro punteggiato da stelle di carta d’argento.
Il giovane protagonista si imbatte in mandolinisti dai visi rosei, percorre le colline di cartone verde e osserva il panorama blu, miseramente illuminato da una luna elettrica.
Due ombre percorrevano quella grande notte. Erano Giuseppe e Maria […]
– Ancora un giorno di cammino e saremo a Betlemme – disse Giuseppe. – Vuoi che parli o vuoi dormire?
– Voglio dormire – disse Maria, distendendosi e chiudendo gli occhi.
– Buonanotte – Disse Giuseppe, e si distese anche lui.
Tutt’intorno silenzio. Un silenzio troppo fondo. Maria aprì gli occhi:
– Beppe?
Giuseppe aprì gli occhi:
– Sì?
E Maria:
– Parla.
Parole, quelle di Furio Scarpelli, che sanno dipingere le emozioni di personaggi che da sempre sono al centro dei religiosi racconti natalizi e che qui, filtrati da occhi di bambino, acquistano un’anima, con le debolezze e i timori di persone comuni. Il percorso della coppia prescelta viene seguito di volta in volta dalle illustrazioni di Michel Fuzellier che, con quelle che sembrano pennellate dai confini indefiniti e colori accesi, ci presenta la sua versione della storia più famosa al mondo, vissuta in un villaggio presepistico che, al Sud, diviene il vero simbolo del Natale.
I piccoli ritratti che adornano le pagine ricreano una Napoli magica, spesso notturna, con stradine e case illuminate che si arrestano di fronte al Vesuvio blu e verdognolo, delimitate da un mare azzurrino in un tramonto tra sfumature di rosa e arancione. Non può mancare il lungo e affollato viale di San Gregorio Armeno, con presepi e statuette di ogni preferenza, nel contrasto tra le luci delle vetrine e il buio della sera, sormontati dal campanile dell’imponente chiesa locale.
Il linguaggio affilato e ironico, spesso tendente al dialetto, riproduce le atmosfere e la quotidianità di una città che custodisce tesori culturali inestimabili, dalle canzoni e filastrocche partenopee all’artigianato più caratteristico.
La nonna sorrise […] e si mise a canterellare allegramente una filastrocca che né Rocco né Sara avevano mai sentito:
Sciò sciò sparparacchiò
Sale e pepe sul comò
Se lo piglia Sant’Antonio
E lo tira a lu Demonio
Che scornato se ne va
E se poi vole turnà
Coda e cuorna perderà
Comme vermine acciaccato
Resterà spaparacchiato
Sciò sciò sparparacchiò
Sale e pepe sul comò.
Opopomoz è la storia magica di due bambini che si inserisce armoniosamente in quella vera di un’intera collettività, dalle usanze, credenze e scaramanzie alle storie popolari che noi tutti conosciamo bene o, almeno, così crediamo.
