La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum per rendere l’eutanasia legale. In caso di approvazione della relativa legge, ha precisato in una nota l’ufficio stampa della Consulta, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili. Quelle stesse persone deboli e vulnerabili che più di un milione di italiani pensava invece di tutelare quando ha partecipato alla raccolta firme per la presentazione del referendum, manifestando così un interesse non più trascurabile sul tema.
Una pronuncia di cui al momento si sa ancora poco, ma che lascia comunque perplessi tutti coloro che invece ci avevano sperato, per tutelare non solo la vita umana, ma soprattutto la dignità della stessa e la necessità di affermare forte e chiaro che una vita è dignitosa solo fino a quando chi la vive – e dunque dovrebbe possederla – la reputa tale.
L’abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice Penale – cui il quesito referendario mirava – avrebbe permesso di escludere la punibilità di colui che fornisca assistenza al suicidio, il cui proposito si sia liberamente formato da parte di una persona del tutto cosciente e consenziente, e avrebbe permesso la legalizzazione dell’eutanasia cosiddetta attiva, in cui il medico partecipa attivamente alla dipartita del soggetto coinvolto, colpito da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze psicologiche e fisiche insopportabili.
Attendiamo la decisione integrale della Consulta per comprendere al meglio quanto stabilito, ma rimane fin da ora una grande delusione, che non fa che confermare la disattenzione e l’indifferenza rispetto alle sorti di chi porta avanti, ormai da troppo tempo, una vita di sofferenze e dolore inaccettabili. Un disinteresse che avevamo già colto, nella mancanza di una legge sul suicidio assistito, nell’impossibilità di raggiungere un accordo sul tema tra le forze politiche, nelle proposte di legge mai discusse. Eppure ci era sembrato di avere un barlume di speranza, dopo la soddisfacente raccolta firme per il referendum e dopo che, pochi giorni fa, il Comitato Tecnico Multidisciplinare dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche aveva finalmente dato un segnale in tema di suicidio assistito, il primo in Italia, per cui sono stati stabiliti il farmaco e le modalità di somministrazione. Una decisione che era stata definita dall’Associazione Luca Coscioni – che ha subito dichiarato che non interromperà per alcun motivo la sua battaglia – una svolta storica, attraverso cui Mario avrebbe potuto porre fine alle sue sofferenze, dopo più di un anno e mezzo di attesa e una vicenda controversa e macchinosa.
Ricordiamo, infatti, che l’uomo, quarantaquattrenne tetraplegico da oltre dieci anni a causa di un incidente, si era visto riconoscere dall’Asur Marche la sussistenza dei requisiti fissati dalla Corte Costituzionale nel 2019 per l’accesso al suicidio assistito pur senza individuare le modalità attraverso cui procedere. Si era così creata una vera e propria trappola burocratica, con un rimpallo di competenze dovuto essenzialmente alla mancanza di una legge in materia. Intanto, anche Antonio, un altro uomo marchigiano tetraplegico, aveva dovuto rivolgersi al Tribunale per vedere riconosciuto il suo diritto alla verifica, da parte dell’Asur, delle condizioni per l’accesso al suicidio assistito, che sono state dichiarate sussistenti dopo ulteriori controversie legali e una diffida, dell’Associazione Luca Coscioni, al Governo e all’Asur.
Quest’ultima era stata anche denunciata da Mario, nei mesi scorsi, per tortura e omissione d’atti di ufficio. L’ostruzionismo e l’indifferenza nei confronti di tali richieste rappresentano infatti delle reiterate violazioni di diritti costituzionali sulla pelle di chi conduce, oramai da anni, una vita fatta di sofferenza e dolore. Solo i tempi per procedere al suicidio assistito rimangono incerti, ma quello di Mario potrà rappresentare un precedente anche per casi simili, per abbandonare un’inaccettabile stasi in cui l’Italia è bloccata da sempre a causa dell’indifferenza della classe politica.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 242 del 2019, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 580 del Codice Penale nella parte in cui, nello stabilire la punibilità di chi determini l’altrui suicidio, ne rafforzi il proposito o ne agevoli l’esecuzione, non la esclude per chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputi intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano verificate da una struttura del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
Innumerevoli sono stati i disegni di legge succedutesi negli anni, ma è al momento al vaglio del Parlamento un testo – su cui manca un accordo tra le forze politiche – che l’Associazione Coscioni ha definito insufficiente, paradossalmente peggiorativo delle condizioni stabilite dalla Consulta, rispetto alle quali ci saremmo invece augurati uno sviluppo.
Se infatti venisse approvata nella sua formulazione attuale, la legge, pur riproponendo quanto affermato dalla Corte Costituzionale nel 2019, finirebbe per escludere quei malati, che sebbene affetti da patologie irreversibili e portatrici di sofferenze intollerabili, non siano collegati a macchinari di sostegno vitale. Si tratterebbe quindi di una discriminazione inaccettabile e irrazionale, se il fine di tale intervento legislativo deve essere quello di porre fine a un dolore che priva di qualsiasi dignità. Risulterebbe inoltre escluso chi ha perso qualsiasi autonomia fisica e possibilità di mobilità poiché questi non potrebbero compiere alcun movimento per somministrarsi il farmaco, non essendo invece ammessa l’eutanasia attiva che prevede l’intervento del sanitario competente.
Perplessità suscita anche la stessa procedura descritta dal testo di legge poiché risulta macchinosa ed eccessivamente lunga per chi, come sottolineato anche dall’Associazione Coscioni, tempo non ha. A seguito della sua richiesta, infatti, il paziente coinvolto dovrebbe essere inserito in un ciclo di cure palliative – che risulterebbero un trattamento sanitario obbligatorio – e, solo dopo averle rifiutate, il medico potrebbe relazionare al Comitato etico territoriale sulle condizioni e le motivazioni della richiesta. Sono previste poi ulteriori fasi di accertamento delle condizioni fisiche e psicologiche del paziente di competenza della Direzione Asl territoriale.
Se è innegabile la necessità di compiere attente valutazioni, d’altro canto si rischia di perdersi nel moltiplicarsi di fasi procedurali e controversie legali, negando di fatto l’accesso al suicidio assistito in tempi ragionevoli. A ciò si aggiunga che il testo di legge prevede attualmente la possibilità di un’obiezione di coscienza dei sanitari, che rischierebbe così di vanificare la procedura stessa. Una proposta arcaica che non risponde alle necessità della società civile e in particolare di coloro che vivono sulla propria pelle, o su quella dei propri cari, tale dolore. Una proposta irragionevole che manifesta, ancora una volta, la mancanza di volontà politica di agire riguardo al tema. Una proposta che, seppur inaccettabile, oggi, dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, ci appare un miraggio.
Anche stavolta abbiamo perso l’occasione di dimostrarci una società civile. Siamo invece una società che non è in grado di garantire diritti civili e libertà di scelta, fino alla fine. Che non ha il coraggio di gridare che la vita è mia e decido io.