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“A Marechiaro ce sta ‘na fenesta, ‘a passiona mia ce tuzzuléa”

Alessandro Campaiola di Alessandro Campaiola
4 Giugno 2021
in Viaggi
Tempo di lettura: 3 minuti
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Ce tuzzuléano passione e poesia a Marechiaro, dolci come le onde del mare. A Napoli, nel cuore del quartiere Posillipo, una piccola finestra affacciata sul golfo è un quadro che immortala la città partenopea nella sua cornice più romantica.

Marechiaro è un gentile borgo abbracciato dal blu, una cartolina che eterna tutta la bellezza che la città è in grado di offrire agli occhi di chi sa emozionarsi. Dalla piccola spiaggia, il Vesuvio appare lì di fronte, la Penisola sorrentina si estende come a voler toccare l’orizzonte occupato dall’incantevole isola di Capri: quanta meraviglia è racchiusa in un solo sguardo!

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Alcuni documenti del passato dimostrano come l’etimologia del luogo sia attribuibile al periodo svevo, quindi al Regno di Sicilia – esistito dal 1130 al 1816 – quando, per la caratteristica di quelle acque calme, la zona fu chiamata mare planum, tradotto poi in napoletano mare chianu, appunto, Marechiaro. Anni addietro, invece, l’area aveva preso in prestito il nome della chiesa di Santa Maria del Faro, situata dove termina la strada che da via Posillipo porta alla celebre spiaggia, un vicolo di antichi vigneti dai quali, ai tempi dei Romani, veniva prodotto un vino di pregevole fattura.

Eppure, ciò che ha contribuito in maniera fondamentale alla notorietà del luogo, è stata la piccola finestrella risalente probabilmente all’ottavo secolo, musa dell’indimenticato poeta Salvatore Di Giacomo che, ispirato dalla magia del posto e dal profumo di quella atmosfera senza tempo, compose un’ode d’amore che continua a essere considerata una delle più belle poesie della tradizione della città.

Messa in musica dal compositore Francesco Paolo Tosti, Marechiare è stata interpretata, negli anni, dai più grandi artisti napoletani come Roberto Murolo, fino a Massimo Ranieri, la cui versione è una delle più famose e ascoltate tra vicoli di Napoli.

I versi di Di Giacomo risultano ancora oggi potenti, evocativi, talmente da riportare chiunque si sia mai lasciato cullare dalla quiete del posto, e ammaliare dal panorama, ai piedi della fenesta, con la luna alta nel cielo, quando anche i pesci fanno l’amore. Carolì è nascosta dietro quel palchetto ornato dal profumato garofano, forse dorme. Scétate, Carulí’, ca ll’aria è doce…

Tutto, a Marechiaro, come nelle parole del poeta, profuma d’amore, la musa si adorna delle meraviglie della natura, del chiarore e la luce delle stelle, chi dice ca li stelle so’ lucente nun sape l’uocchie ca tu tiene ‘nfronte.

Oggi, sulla facciata di quel piccolo palazzo, sorge una lapide celebrativa in marmo bianco che riproduce le sembianze di una pergamena sulla quale sono incisi le strofe e lo spartito della canzone. 

A Marechiaro il tempo sembra essersi fermato e il caos della città a pochi passi viene presto dimenticato. Resta il suono delle onde che si mischia alle note del brano, il profumo di garofano, lì dove passa ll’acqua pe’ sotto e murmuléa, in un’atmosfera che invita alla primavera, a lasciarsi rapire e sconvolgere dall’unicità del posto: un borgo nascosto, teatro di storie affascinanti che sono tutti gli amori sbocciati quanno spónta la luna a Marechiaro.

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