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L’Italia vince in Europa: ora tocca vincere in casa

Alessandro Campaiola di Alessandro Campaiola
4 Luglio 2019
in Il Fatto
Tempo di lettura: 4 minuti
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L’Italia vince in Europa: basterebbe questa notizia – alla luce delle cronache degli ultimi mesi – a risollevare gli umori fiacchi e sempre arcigni di politici e cittadini italiani. Soprattutto, a salutare con gioia le notizie provenienti da Bruxelles nella giornata di ieri, sono i soliti politicanti, già in azione per riportare i fatti alle loro folle attraverso il filtro della propria versione. 

Le novità sono di quelle risolutive e riguardano gli aspetti più dibattuti di questi tempi, ossia la nomina del Presidente del Parlamento Europeo e la temutissima procedura d’infrazione che la UE avrebbe potuto muovere nei confronti del nostro Paese per ciò che riguarda finanza e deficit. 

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Una doppia vittoria – come annunciato in apertura – che regala all’Italia la guida dei parlamentari comunitari attraverso l’incarico conferito a David Sassoli, eurodeputato democratico in forza al PD, volto conosciuto ai più per i tanti anni trascorsi dietro le scrivanie dei TG di casa RAI, e scongiura il veto della Commissione sull’economia e le relative manovre finanziarie che, da qui al prossimo anno, il governo giallo-verde potrà mettere in campo per rilanciare la crescita. 

Uscito vincitore dal secondo scrutinio, David Sassoli è stato sostenuto da democratici, socialisti e Ppe, un voto in parte inaspettato e straordinariamente importante, soprattutto alla luce del fatto che la maggioranza della delegazione tricolore è, invece, composta dagli euroscettici della Lega e i voltabandiera a seconda della direzione del vento dei 5 Stelle, tutti non soddisfatti – come da copione – per l’investitura del giornalista. Ma la nomina di Sassoli, al contrario delle reazioni negative della maggioranza retta da Di Maio e Salvini, regala all’Italia la possibilità di discutere da protagonista le regole di Dublino in materia di immigrazione, di imporre agli Stati membri di riconoscere la centralità del problema e dichiarare, finalmente, il drammatico fenomeno come una responsabilità di chiunque condivida la bandiera blu-stellata.

«L’Unione Europea non è un incidente della storia, siamo i figli e i nipoti di coloro che sono riusciti a trovare l’antidoto a quella degenerazione nazionalista che ha avvelenato la nostra storia». Ha dichiarato il Neopresidente, mentre il disappunto dei suoi antagonisti non fa altro che sottolineare, ancora una volta, quanto il tema immigrazione sia necessario alla sopravvivenza della loro propaganda e, quindi, del loro stesso esecutivo. «Il nazionalismo ideologico produce virus». Un’impresa ardua, quella del nuovo Presidente e di chiunque ancora crede in questa Unione che, di fatto, ha prodotto diseguaglianze sociali sempre più ampie e nazioni, anziché compatte nell’affrontare problematiche e soluzioni d’avanguardia, succubi di grandi opere e trattati relativi ai mercati imposti dalle super potenze mondiali, dunque tutto ciò di cui i sovranismi si sono cibati e di cui hanno sfamato le proprie masse insoddisfatte. La sfida più grande, per Sassoli e la maggioranza dell’Europarlamento, sarà proprio il confronto con lo scetticismo e l’egoismo dilaganti nel Vecchio Continente. Sarà dare forma al sogno che è stato tale solo per le multinazionali. 

L’annuncio che, al contrario, è stato salutato con gioia dai Vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini è lo stop da parte della Commissione alla procedura d’infrazione ai danni dell’Italia, la tanto temuta letterina che il leader del Carroccio sfidava Bruxelles a recapitargli e che, invece, pesava sulla testa sua e di tutto l’esecutivo come la prova del nove, l’atto che avrebbe potuto porre la parola fine alla legislatura vigente, sprofondando il Bel Paese in un disastroso pantano di tagli ai servizi e rincari alle tasse.

Così non sarà, o quantomeno non nella linea che ci si attendeva, e i tweet entusiastici dei due Ministri – seppur opportunamente filtrati a uso e consumo del popolo del web che dei cinguettii del Capitano riempie le proprie giornate – non hanno tardato a testimoniarlo. Certo è stantio – e persino incomprensibile – il ripetuto attacco a chi li ha preceduti tra i tavoli di Montecitorio, attribuendo l’eventuale sconfitta della trattativa finanziaria adoperata dal Premier Giuseppe Conte al Partito Democratico, assumendosi, viceversa, i meriti della buona riuscita delle operazioni, tant’è che così è andata anche stavolta: È stata evitata una procedura di infrazione che sarebbe potuta ricadere sul Paese, per colpa del Pd. L’Italia non la meritava e l’annuncio di oggi rende giustizia all’Italia e a questo governo. Luigi Di Maio.

Niente più scuse, quindi, per la strana coppia. A meno di nuove navi ONG che approderanno sulle banchine italiane a distrarre l’elettorato, Salvini e Di Maio dovranno fare i conti con crescita e manovre atte a ridurre il deficit. Per il leader della Lega – e per buona pace delle già disastrate aree del Sud – il tutto si tradurrà in autonomia delle regioni e, soprattutto, nell’approvazione della Flat Tax al 15%. Entrambi i Vicepresidenti del Consiglio rassicurano sulle coperture e c’è da augurarsi che almeno stavolta la ragione sia dalla loro, altrimenti una nuova impennata dei costi a carico del cittadino dei servizi essenziali – scuola, sanità, trasporti – e, soprattutto, un incremento dell’IVA saranno difficilmente scongiurabili. 

Prec.

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