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Libri al rogo: il potere autoritario contro la libertà della conoscenza

Vincenzo Villarosa di Vincenzo Villarosa
9 Novembre 2021
in Attualità
Tempo di lettura: 4 minuti
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Quando nella città di Koszalin, che si trova nel nord della Polonia, un gruppo di preti cattolici ha organizzato un rogo di libri e oggetti, come una maschera africana e un ombrello di Hello Kitty, descrivendo l’azione quale diffusione di un messaggio arrivato da Dio, la notizia è corsa veloce sulla rete dell’informazione globale. In molti hanno pensato a uno scherzo ideato da qualche gruppo social oppure a un pesce d’aprile. Nessuna satira sull’integralismo cristiano divenuta virale per la sua espressione grottesca, invece, ma un evento reale, documentato da immagini diffuse su Facebook dalla fondazione evangelica cattolica Sms from Heaven, diretto in particolare contro i libri basati sul personaggio del piccolo mago Harry Potter scritti da J. K. Rowling e anche quelli della serie Twilight di Stephenie Meyer, letteratura ritenuta opera del demonio.

Diversi commentatori del mondo sociale e della cultura hanno ricordato le grandi distopie saggistiche e/o letterarie che hanno descritto un mondo in cui i libri e la cultura sono ritenuti un pericolo sociale o addirittura una manifestazione del male. In particolare, è stato più di altri citato Fahrenheit 451, il famoso romanzo di fantascienza di Ray Bradbury (1920-2012), pubblicato nel 1953. Il titolo si riferisce alla temperatura in cui prende fuoco la carta e la storia, ambientata in un futuro non precisato, racconta della vita in una società totalitaria dove il possesso dei libri costituisce un reato. 

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I volumi vengono bruciati, in effetti, da uno speciale corpo di pompieri, la Milizia del fuoco, di cui fa parte il protagonista Guy Montag, che un giorno si domanda perché la lettura sia così pericolosa e soprattutto come sia possibile che molti uomini e donne preferiscano perdere la loro abitazione tra le fiamme e la libertà personale pur di continuare a leggere. L’uomo si ribellerà, in seguito, al regime che impedisce la conoscenza e l’immaginazione e fuggirà per unirsi agli oppositori del potere dittatoriale. Soltanto quando sulla sua città verrà sganciato un ordigno atomico, tornerà con i suoi compagni a cercare di riedificare una comunità che sta per essere distrutta. 

Nel 1966, il romanzo di Bradbury fu rappresentato in un film di François Truffaut, che viene ricordato anche per i due magnifici interpreti, Oskar Werner e Julie Christie, e l’uso del colore, in una produzione cinematografica dalla risonanza internazionale.

Le immagini delle azioni e delle esternazioni dell’integralismo cristiano, inoltre, hanno evocato altre aberranti visioni del passato quale quella dei roghi di libri (Bücherverbrennungen) organizzati in Germania dai nazisti nel 1933, per eliminare volumi di letteratura e saggistica, come le opere di Karl Marx e di Bertolt Brecht, Franz Werfel, Ernest Hemingway, Jack London, Arthur Schnitzler, Stefan Zweig e altri scrittori definiti corrotti e contrari allo spirito tedesco. La storia terribile di un passato che non passa – perché forse non ne sono stati compresi i motivi psicologici ed economico-sociali di fondo che lo hanno prodotto e che persistono nel tempo al di là dei diversi contesti storici – finisce per riemergere nei passaggi epocali dominati dalla crisi dei mondi vitali, dove l’utopia, come ha scritto Zygmunt Bauman in un’opera uscita postuma, cambia rotta e si trasforma in Retrotopia (Laterza, 2017): il futuro è percepito non più come una meta a cui approdare ma come una minaccia da cui fuggire. Si ritorna a pensare e a guardare al passato, come forse non è mai stato.

Tornando alle cronache dei nostri giorni, invece, i personaggi e gli intrecci narrativi, ma soprattutto i contenuti dei libri dati alle fiamme in Polonia, sono stati definiti blasfemi e contrari alla parola di Dio, che gli autori del gesto cercano di diffondere tramite i social come Facebook e le nuove tecnologie massmediatiche. Quest’ultimo dato sembra essere l’unico elemento appartenente alla contemporaneità nella quale viviamo e, come da qualche tempo succede – per esempio nel nostro Paese e dopo gli sviluppi del recente Congresso Mondiale delle famiglie svoltosi a Verona –, molti parlano di un assurdo ritorno al Medioevo. Ne siamo proprio sicuri? Oppure è più probabile che accanto alle meraviglie del progresso materiale non ci sia stato, nel corso della modernità, un adeguato sviluppo del progresso etico delle società umane e della loro organizzazione politico-amministrativa, al fine di instaurare una giusta e pacifica convivenza tra gli esseri umani e tra le loro diverse concezioni del mondo all’insegna del rispetto reciproco?

Le persone non fondamentaliste hanno una loro percezione dell’universo in cui credono fortemente, ma anche i fondamentalisti – religiosi o atei, politici o antipolitici, e così via –  ne hanno una propria. La differenza sostanziale è che i primi – vivendo nella cultura del limite e accettando la pluralità delle visioni della realtà – rispettano le altre prospettive e propongono la loro, mentre i secondi intendono la personale visione dell’esistenza e del mondo come la Verità, che come tale non va discussa. Di conseguenza, essi pensano di avere il diritto, anzi il dovere di imporla, con le buone ma, a volte, con le cattive maniere, a quelli che non la condividono e che vivono, secondo la tale intollerante percezione della vita, nelle tenebre dell’errore.

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