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L’aiuto medico al suicidio non è più un reato

Mina Welby di Mina Welby
5 Dicembre 2019
in L'opinione
Tempo di lettura: 3 minuti
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In breve la storia sul lavoro per la tutela di libertà di cura fino alla fine. Sei anni fa, nel 2013, l’Associazione Luca Coscioni insieme a Radicali Italiani, Exit, UAAR, Amici di Eleonora aveva avviato la campagna Eutanasia Legale e depositato alla Camera dei Deputati la proposta di legge di iniziativa popolare Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia, corredata da oltre 67mila firme di cittadini italiani. Nel 2015 con Marco Cappato e Gustavo Fraticelli abbiamo fondato l’associazione di soccorso civile per l’eutanasia, come disobbedienza civile, in nome del diritto alla libertà di scelta.

Nel 2016 la pdl di iniziativa popolare è stata depositata nelle Commissioni congiunte Giustizia e Affari Sociali, ma mai se ne è parlato. Il Parlamento ha discusso negli anni consecutivi e approvato il 14 dicembre 2017 la Legge 219/17 in materia di Consenso informato e Disposizioni Anticipate di Trattamento. Mancano ancora le firme del Ministro della Salute ai Decreti applicativi per la Banca Dati, dove le DAT dei cittadini, consegnate ai Comuni, potranno confluire e saranno accessibili per qualsiasi equipe di cura. Chi lo avesse fatto presso il notaio, invece, può stare tranquillo: le sue DAT sono già nella banca dati del notariato.

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Con Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni, abbiamo ricordato al Ministro Speranza del nostro ricorso al TAR del Lazio che si riunirà il 16 dicembre per la discussione. Firmerà il Ministro, come aveva promesso entro il 15? Me lo auguro.

Sono pochi i cittadini che depositano le loro DAT. Sappiate però che l’espressione delle volontà in questioni di libertà di scelta delle cure tutela il cittadino in condizioni di incapacità. Ovviamente possono essere cambiate in ogni momento.

Ma veniamo alla sentenza 242/19 della Corte Costituzionale: il suicidio medicalmente assistito non è più un reato nel nostro Paese. Questa, in sintesi, l’importante decisione. Grazie a Fabiano Antoniani e a Marco Cappato con la sua disobbedienza civile è stato modificato l’articolo 580 del Codice Penale. La Corte Costituzionale ha riconosciuto l’articolo non più adeguato ai tempi: il suicidio non era mai stato reato, ma l’aiuto e il rafforzamento da parte di terzi era colpa grave in quanto provocava la morte di una persona, forza lavoro o difesa per lo Stato. Questo valeva quando è nato il Codice Penale nel 1930. Secondo la nostra Costituzione, entrata in vigore il 1 gennaio 1948, invece, la persona non appartiene allo Stato, ma è libero cittadino, con diritti e doveri, tutelato dagli articoli 2, 3, 13 e 32 nella sua dignità umana e  nella sua libertà di scelta di cure fino alla fine. La sentenza 242/19 della Corte Costituzionale è stata pubblicata il 27 novembre scorso.

Sono quattro le condizioni previste dalla Consulta per accedere al suicidio assistito: la persona deve formulare la richiesta in piena lucidità, deve essere affetta da una patologia irreversibile, causa di intollerabili sofferenze fisiche o psichicologiche e deve dipendere da trattamenti di sostegno vitale. La nostra campagna, però, non finisce qui. La sentenza, infatti, non riguarda i pazienti che non sopravvivono grazie a trattamenti di sostegno vitale. Il percorso avviato assieme a Piergiorgio Welby deve dunque proseguire.

Il prossimo passo è da fare insieme al Parlamento che deve discutere e approvare una legge che tuteli tutti i cittadini, anche quelli che non sono in trattamenti di sostegno vitale e rientrano per la gravità della loro situazione nei parametri della sentenza 242/19.

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