Sono denominati nativi digitali e appartengono alle generazioni nate e cresciute nella cultura digitale. Producono contenuti e forme culturali usando le protesi tecnologiche, come iPad, smartphone e tablet, che utilizzano fin da bambini, e poi li condividono, comunicando attraverso i nuovi media e i social network come Facebook e Twitter. Sono gli Homo Sapiens 2.0: una specie in via d’apparizione, come li ha chiamati, alcuni anni fa, lo studioso Paolo Ferri (Nativi digitali, Bruno Mondadori, 2011). Gli immigrati digitali, invece, provengono dall’antica cultura gutenberghiana e con grandi difficoltà cercano di adeguarsi ai nuovi modi di produrre dati e informazioni e alla comunicazione via internet, collegandosi alla Rete Telematica Globale.
Erano gli anni Novanta del secolo appena passato quando Nicholas Negroponte, con il suo libro Beeing Digital (Essere digitali), annunciò la nascita del nuovo sistema-mondo, dominato dall’informazione e dalla cultura digitale. Gli esseri umani avrebbero acquisito, in breve tempo, la capacità sincronica di scambiare informazioni con gli altri loro simili, collegati in tutti gli angoli del pianeta Terra, con la presenza di microchip negli oggetti impiegati nelle più svariate attività dell’esistenza quotidiana. In anni recenti, questo mutamento epocale, che cambia gli uomini non solo nel loro agire sociale, ma anche e soprattutto nella loro concezione dell’essere al mondo, è stato analizzato da diversi studiosi che ne hanno sottolineato le notevoli possibilità di emancipazione unitamente alle preoccupanti, e spesso non visibili, regressioni a livello psicologico e sociale. Il filosofo tedesco di origine coreana Byung-Chul Han, per esempio, nel suo testo Nello sciame. Visioni del digitale (Nottetempo, 2015), ci avverte che la capacità di analisi critica delle persone che cercano di comprendere il presente e il futuro collettivo è messa in pericolo dal formarsi di uno sciame digitale formato da individui anonimi, isolati dalla più ampia complessità del contesto societario, che sono intenti, invece di confrontarsi e raccontare il mondo, a contare i like, diventando sempre di più utenti che rappresentano se stessi attraverso i loro profili online e annullano, inconsapevolmente, la loro vita privata e reale.
La società digitale, quindi, ci seduce con la quantità di informazioni che mette a disposizione in tempo reale ma innesca processi di de-realizzazione e di de-socializzazione che non portano, specialmente nella formazione dei soggetti più giovani, a un’articolata e critica conoscenza di qualità, nell’elaborazione della massa dei dati a nostra disposizione. Vi è la possibilità concreta, inoltre, di un maggiore controllo psicopolitico che non opera attraverso le desuete tecniche di costrizione e i divieti, ma usa, in maniera sistematica e sottotraccia, il sentimento di onnipotenza provocato dallo stay tuned: comunicare, condividere ed esprimere le proprie opinioni, impegnati in una continua connessione, nell’ambito di una completa digitalizzazione della realtà quotidiana.
La vita al tempo di internet e della globalizzazione ci mette in condizione – per via virtuale – di conoscere una quantità di persone e di oggetti come non era stato mai possibile nelle epoche precedenti. Il prezzo che stiamo pagando, tuttavia, è la perdita della privacy, con la conseguente trasformazione delle informazioni riguardanti le nostre opinioni, i nostri desideri, i gusti e le scelte di vita in dati che vengono accumulati e usati, spesso senza il nostro permesso, per il controllo politico e sociale. E soprattutto sono a disposizione del mercato globale della produzione, della commercializzazione e del consumo di una grande massa di prodotti e di servizi, che ci vengono offerti a fronte di una domanda che viene costruita, organizzata e propagandata ad arte dall’onnipresenza, manipolatrice e ruffiana, del passaparola pubblicitario. Per difenderci dall’invadenza dei mezzi straordinari del mondo contemporaneo che rischiano di diventare i fini del nostro agire economico e sociale, ed evitare, quindi, di diventarne schiavi, non ci resta che riformulare il modo in cui cerchiamo di comprendere noi stessi e il mondo reale e digitale nel quale siamo immersi. La consapevolezza di ciò che sta accadendo nell’esistenza degli esseri umani, con effetti irreversibili e non sempre prevedibili, va discussa e poi raccontata, per essere in grado di esercitare il diritto all’elaborazione di pensieri e di pratiche eretiche, personali e collettive, che siano alternative al conformismo imperante per la conquista dello spazio vitale di un’autentica, possibile libertà.