Il Fatto

La Terra dei Cuori… che non battono più

La Terra dei Cuori. L’hanno rinominata così quella porzione di mondo che si estende tra il napoletano e il casertano nota alle cronache per affari illeciti e odori acri. L’hanno rinominata perché non se ne poteva più di leggere, ogni giorno, da troppi anni, di fuochi che ardono e spengono vite, perché quel riverbero di camorra e spazzatura fa paura, rimbomba nella polvere di terreni coltivati con i rifiuti, di ettari abbandonati dai quali fiorisce morte. L’hanno rinominata perché, detta in questo modo, non venga alla mente che quell’area, quella vasta area di una Campania infelice, non è null’altro che un luogo di marcio e malattia, un luogo di sospensione dello Stato e dell’umanità.

A darle questo nuovo nome è stato il Vicepresidente del Consiglio a Cinque Stelle che, giunto a Caserta appena un paio di giorni fa, ha incontrato Aurora, una bambina-simbolo della bruttura di cui siamo capaci. Come tanti, troppi da quelle parti, è malata di cancro ma ha fondato, come si legge sul profilo Facebook del Ministro del Lavoro, un’associazione chiamata proprio Terra dei Cuori, con l’intento di aiutare altre possibili vittime di una strage che non fa abbastanza rumore. A fare eco a Di Maio, invece, anche il Primo Ministro Giuseppe Conte, quel signore in doppiopetto che spesso, ma non con eccessiva o sufficiente frequenza, vediamo in tv a parlare a nome dell’Italia degli italiani o per voce, rauca, dei suoi vice. Lo ha detto mentre quel suolo lo calpestava, ignorando quanto le scarpe sempre lucide ne riflettessero i fantasmi, sporcandosi con quel fetido puzzo che ne invadeva i polmoni, regolandone il respiro e i passi, persino i battiti. Lo ha già fatto, in effetti, e continua a farlo, perché se c’è un motivo per il quale quella terra può essere definita dei cuori sta proprio in questo, nella sua maledetta ambizione di fermarli quei muscoli, di impedirne il regolare ritmo, addirittura stoppandone la crescita, immortalandoli nella loro fanciullezza. Non guarda in faccia a nessuno, quella terra, nemmeno ai suoi figli, i primi che se ne sono dimenticati vendendola al peggior offerente, a un assassino vestito come il Presidente del Consiglio che intende riscattarla, quantomeno nel nome. Insieme ai suoi ministri più fidati, capeggiati da Di Maio e Salvini, seguiti da Sergio Costa che si occupa dell’ambiente, il Premier ha firmato un protocollo, il tutto mentre ancora si discute degli inceneritori che, almeno per adesso, sembrano un’ipotesi valida più per la frangia leghista che per i suoi alleati. In particolare, a puntare i piedi sulla questione è stato il Ministro dell’Interno, presumibilmente coinvolto, come titolava il quotidiano di Marco Travaglio in un pezzo a cura di Vincenzo Iurillo, in un piccolo conflitto di interesse. Il leader della Lega, infatti, parrebbe detenere 3500 azioni ordinarie di A2a, la multi-utility lombarda dell’energia che gestisce, tra gli altri, il termovalorizzatore di Acerra, unico della regione meridionale. Un investimento che Salvini non avrebbe mai nascosto, rendendolo noto nella sua ultima dichiarazione patrimoniale, documento che tutti i ministri sono tenuti a pubblicare sul sito del governo.

Droni, militari, carabinieri, un’azione sinergica con le ASL e i medici di base per controllare l’aria e il territorio attraverso la presenza anomala di malattie più o meno gravi legate all’inquinamento da rifiuti. Nulla di nuovo. Insomma, parole e soluzioni già abbondantemente reiterate negli anni a partire da quel tale chiamato Silvio Berlusconi, una delle più grandi sciagure che abbiano mai colpito questo Paese. Parole e soluzioni che non hanno impedito, nel tempo, l’aggravarsi delle condizioni fisiche e psicologiche di chi vive i territori incriminati, con il terrore di vedersi ammalare o, peggio, di vedere i propri cari addormentarsi per sempre. Parole e soluzioni che si concentrano sul cosa e non sul chi, che non fanno nomi e cognomi, che parlano di rifiuti e illegalità come se si formassero e crescessero da soli. Non basta citare la camorra, quella la conosciamo, dovete dirci chi, in doppiopetto, ci sta ammazzando. E andarlo a prendere.

Stando ai dati riportati nell’indagine conoscitiva su Inquinamento ambientale ed effetti sull’incidenza dei tumori, delle malformazioni feto-neonatali ed epigenetica, discussa e approvata dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato nel 2017, nella Terra dei Fuochi ci si ammala di più di tumore rispetto al resto del Sud e si muore di più rispetto a tutta Italia. Il tasso complessivo di incidenza dei carcinomi maligni nella zona, inoltre, arriva a essere più alto del 46% per gli uomini e del 21% per le donne. Dalla stessa ricerca emerge anche che l’area metropolitana del capoluogo campano ha perso e sta perdendo in modo rapido e progressivo le caratteristiche di zona con fattori protettivi che, invece, hanno sempre in qualche modo tutelato i suoi abitanti dalle neoplasie. Stesso discorso per il casertano, dove in appena tre anni, i nuovi casi di tumore sono stati 11.940 e i decessi 6.071, con una percentuale di mortalità inferiore rispetto al Settentrione soltanto per le donne. Infine, sebbene i bambini e gli adolescenti colpiti siano oltre 720mila, l’incidenza e la più estrema conseguenza risultano numericamente in media con il resto dello Stivale, a eccezione del cancro alla tiroide il cui rischio vede un aumento del 50%. Numeri da brividi, frutto di un lavoro lungo ma certamente non del tutto esaustivo, che potrebbero essere variati, se non addirittura peggiorati in questo ultimo anno.

Dunque, mentre il nuovo governo ancora una volta promuove il vecchio, quaggiù non si sta meglio, anzi, si continua a soffrire quella condizione di scacchiere di Italia, di banco di scambio tra politica e malavita, di terra di connubi tra affaristi, ruolo a cui al Sud, nel tempo, ci siamo parecchio abituati ma che non deve più starci comodo. In Campania, non soltanto ci si ammala e si muore, ma si pagano anche le tasse sui rifiuti più alte del Paese, come se queste fossero direttamente proporzionali alla beffa che è, da almeno trent’anni, la casa che non abbiamo saputo difendere, da noi stessi e da chi l’ha invasa, da chi ancora continua a farlo.

Di passerelle, quaggiù, se ne sono viste tante, se ne vedono tante un po’ ovunque, in Italia. Il rischio che quel protocollo che ha scomodato mezzo governo per raggiungere Caserta ne sia soltanto un’altra è molto alto. Le domande inevase pure non sono poche. Quanto a lungo si potrà ancora resistere? La Terra dei Cuori. Non chiamatela così, per favore. Con tutti quelli che tra le sue vie hanno smesso di battere sa quasi di presa in giro. Lasciateci i fuochi, però, non i roghi, bensì le fiamme della speranza che il fumo nero ha contaminato per poi spegnerle, a poco a poco, sempre più spesso. Riaccendeteli con noi, quei focolari, con la gente di questi luoghi. Non vogliamo morire e voi non potete lasciarcelo fare.

La Terra dei Cuori… che non battono più
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