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La Russa al Senato, la Camera alla Lega: la destra sdoganata

Antonio Salzano di Antonio Salzano
21 Gennaio 2024
in AZETA di Antonio Salzano
Tempo di lettura: 4 minuti
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«In questo ottobre nel quale cade il centenario della Marcia su Roma che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio a una come me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica» – Liliana Segre

… e toccherà proprio a me proclamare un fascista purosangue seconda carica dello Stato. – Antonio Salzano

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Il prosieguo allo stralcio del nobile intervento della senatrice a vita Liliana Segre è quanto, d’impulso, ho pronunciato seguendo la diretta televisiva dell’apertura dei lavori a Palazzo Madama per l’elezione del Presidente del Senato. La conclusione era ampiamente prevista, a eccezione di quella che è stata soltanto un’anticipazione dei contrasti nella coalizione uscita vittoriosa dalle urne e del salvataggio in extremis a opera presumibilmente di quella che abbiamo più volte indicato come stampella del governo. Il duo dalla percentuale a una cifra – contrariamente alle illusorie aspettative – con il supporto di qualche altro senatore chiamato in soccorso e facilmente reperibile, che di certo non tarderà a dimostrare di contare, di essere determinante al momento opportuno. Un duo che, ribadiamo, non starà alla finestra, qualsiasi sia la forma, ma protagonista.

Nella maggioranza dei commentatori da tastiera della giornata è prevalsa l’ipotesi dello zampino di una manciata di parlamentari del PD, probabile ma alquanto ovvia in un comprensibile tiro al bersaglio nei riguardi di chi abilmente è stato capace di tagliare il ramo sul quale era seduto e che ancora non appare sufficientemente sazio di farsi del male. Altra ipotesi da non escludere del tutto quella che propende da parte grillina, possibile ma maggiormente in era pre-Conte, dove i malumori e una gestione a briglie sciolte hanno provocato i risultati ben noti e gli abbandoni del MoVimento.

Seppur prevedibile, quanto accaduto, con Ignazio Benito Maria La Russa assurto a seconda carica dello Stato con le modalità tipiche della lotta intestina all’interno della stessa coalizione, certamente non resterà un caso isolato, un incidente di percorso che qualcuno è riuscito a trasformare in un messaggio chiaro e inequivocabile all’ex Cavaliere ed ex padrone del centrodestra. Una parte di quella politica che abilmente ha dimostrato negli anni recenti di saper sferrare colpi giusti al momento giusto, capace di mandare all’aria partiti e governi.

Prevedibile e difficilmente digeribile quanto deciso in Senato, e l’articolo della collega Flavia Fedele ha abilmente messo a fuoco la figura, la personalità del politico che non ha fatto mai mistero del suo passato, del legame viscerale con il periodo buio della nostra storia più recente e della vicinanza a quelle organizzazioni che ne incarnano a pieno ideologia e metodi. E, certamente, non saranno le citazioni di Pertini e Violante a ridargli la verginità perduta. Una riflessione, però, credo vada fatta sulla tenuta, nonostante tutto, del livello di democrazia almeno delle massime istituzioni.

Il Parlamento ha visto nei decenni recenti il progressivo sdoganamento di una destra di certo non di tipo anglosassone, rappresentata da esponenti dal discutibile passato e dall’attiva presenza non sempre pacifica nelle piazze del Paese, destinatari di incarichi di governo fino alla responsabilità della Difesa, come nel caso di Ignazio Benito Maria La Russa, o alla presenza alla Camera dei Deputati per ben tre legislature e una al Senato della parlamentare nipote del duce. Un nome ingombrante possibile nella democrazia del nostro Paese nonostante tutti i difetti possibili e immaginabili da poterle imputare.

C’è da chiedersi se tutto questo e, particolarmente, questa nuova fase che apre le porte delle maggiori istituzioni, se pur legittimamente, sia da leggere unicamente come un ulteriore segnale di decadimento della politica o come momento di esaltazione dell’apparato democratico, della sua tenuta, di una prova alta di maturità sul piano almeno istituzionale: è davvero una testimonianza di solidità della nostra democrazia nel rispetto della Costituzione oppure la mancanza di chiarezza, di ammissione, di rinuncia di un passato che, al contrario, ci consegna una falsa democrazia? Giurare da Presidente del Senato, della Camera o da Presidente del Consiglio avrà pure un senso. Significa l’accettazione di principi irrinunciabili che in pratica abbiamo purtroppo visto spesso tradire e non solo da quanti parlamentari e uomini e donne delle istituzioni dal discutibile passato.

Il numero uno di Palazzo Madama, nel discorso di insediamento, ha fatto sue le sollecitazioni della senatrice Segre sulle date importanti come il 25 aprile, quella data che né il neo Presidente del Senato né la futura Premier hanno voluto mai festeggiare e riconoscere. Per un incarico prestigioso val la pena negare almeno parte del passato.

Quale la prova di lealtà alla Costituzione repubblicana, se non la fedele applicazione della stessa, in particolare da quanti hanno avuto e avranno responsabilità di governo, controllo – come normale che sia – dell’opposizione chiamata a vigilare e, anche, di chi, come il Capo dello Stato, ne ha il compito di difesa e, quindi, di tutela della sua applicazione e rispetto?

Intanto, la Presidenza della Camera, come concordato, sarà affidata a un uomo della Lega. Anche qui, con tutte le riserve possibili, vale quanto detto per la destra riconoscibile, ufficiale. E il Carroccio, prove alla mano, di riconoscibile sul piano del rispetto della Costituzione ha tanto da farsi perdonare. Anche qui lo sdoganamento della forza politica da parte dell’ex Cavaliere, da oggi messo in un angolo e sconfitto proprio in occasione del suo ritorno in Aula, dopo nove anni di comodo esilio. E non è escluso che da subito dia segnali di vendetta mandando Forza Italia da sola alle consultazioni con il Capo dello Stato, con tutto ciò che potrà significare nella composizione del nuovo governo.

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