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“La parola ai giovani” di Galimberti e il nichilismo attivo

Vincenzo Villarosa di Vincenzo Villarosa
9 Novembre 2021
in Billy
Tempo di lettura: 3 minuti
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Esiste un nichilismo passivo di chi si rassegna e un nichilismo attivo di coloro che ripartono dalla consapevolezza di tale scenario esistenziale alla ricerca di differenti modi possibili di essere al mondo insieme agli altri, nel tentativo molto determinato di non spegnere i propri sogni. È questa la tesi di fondo de La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo, il saggio di Umberto Galimberti (Feltrinelli, 2018) da poco uscito nelle librerie.

Il filosofo e psicologo già autore della preziosa opera L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani (2007), ritorna al tema del disagio giovanile, riaffermando che il problema non è legato soltanto alla crisi psicologica ed esistenziale dell’età adolescenziale, poiché l’ospite inquietante, il nichilismo, si genera in quel macrocosmo culturale esterno ai singoli individui, dove mancano le condizioni materiali per la realizzazione dei loro desideri e di un progetto di vita.

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Ma cos’è il nichilismo? Il grande filosofo Friedrich Nietzsche ne rintracciava l’inquietante presenza in un’assenza: quando manca la risposta al “perché?” e quando, nell’orizzonte culturale e sociale di riferimento, i valori supremi perdono ogni valore. Quei valori che sono creati e condivisi, aggiunge Galimberti, in un certo tempo storico e fanno da “collante” sociale perché ritenuti idonei a ridurre i conflitti e a garantire un’ordinata convivenza.

In una società come quella in cui viviamo, le agenzie di socializzazione costituite dalla famiglia e dalla scuola – con sofferte e articolate eccezioni – sono quasi sempre in conflitto tra loro, ambedue ossessionate dall’aspetto performativo sia dell’essere “figlio” sia del comportarsi da “studente”. Là fuori nell’arena sociale, e nel mondo del lavoro che non c’è, va anche peggio, perché nell’età della tecnica e dell’economia globalizzata, ci ricorda l’autore, l’uomo non è più il soggetto del suo operare, ma il semplice esecutore di azioni descritte e prescritte dall’apparato tecnico, regolati dai soli criteri dell’efficienza e della produttività.

Come reagiscono i giovani di oggi a questo scenario caratterizzato dall’individualismo e dalla mancanza di relazioni societarie che possano fornire basi concrete alla progettualità personale e collettiva? Alcuni si rifugiano ai margini della vita comunitaria, sperimentando, in maniera vitale quanto confusa, modelli esistenziali alternativi. Molti altri, invece, vivono in una sorta di “vita parallela” sui social, affidandosi all’anonima condivisione tecnologica, affettivamente anestetizzante più che rassicurante, dove i pensieri e le emozioni non riescono a diventare stili di vita, perché mancano i luoghi, gli ambienti, le strutture per la loro materializzazione fisica e sociale.

Non resta che affidarsi, ci suggerisce Galimberti, a quei giovani che cercano di uscire dalla rassegnazione, triste “eredità” del mondo degli adulti rinchiusi nel loro egoismo da “realisti”, da generazione dei “sogni infranti” e delle “promesse ideologiche tradite”. Sono i giovani del nichilismo attivo, che lo studioso osserva da anni e ci chiede di seguire con attenzione, poiché cercano di trasformare la crisi del mondo vitale, nel quale siamo tutti immersi, in una nuova opportunità di ridisegnare i rapporti umani, rimettendo in discussione le mappe – fisiche, mentali e sociali – trasmesse dalle precedenti generazioni.

I nichilisti attivi ridiscutono, in maniera critica e assieme agli altri, le basi dell’identità, troppo legata ai ruoli sociali e alle appartenenze geopolitiche. Ripensano al valore e alle possibilità dell’eros e delle relazioni sentimentali in un mondo che cerca di controllarli e mercificarli anche quando li rappresenta in una versione falsamente libertaria.

I risultati di questa riflessione su sé stessi e sul mondo sociale, tra mille difficoltà e molte comprensibili contraddizioni, li portano a incamminarsi per le strade delle metropoli e a oltrepassare i confini – non naturali ma codificati dalle divisioni e dalle violenze della storia – per contrastare le discriminazioni sociali, sessuali ed economico-politiche.

Un’altra vita è possibile, forse, ci dicono questi ragazzi, ma qui e ora e non ripensando ai valori persi per sempre oppure progettando un futuro utopico troppo distante nel tempo. Per realizzarla, c’è bisogno di una maggiore consapevolezza intorno alla reificazione dell’essere umano e del suo sentimento del mondo, diventati merci tra le merci da produrre, commercializzare e vendere sul mercato, fisico o digitale, della rete globale.

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