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La Lega sbrana il MoVimento in Abruzzo e apparecchia la tavola per le Europee

Alessandro Campaiola di Alessandro Campaiola
12 Febbraio 2019
in Il Fatto
Tempo di lettura: 3 minuti
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Ai sovranisti d’occasione, la gente d’Abruzzo ha scelto gli originali. Potrebbe bastare questa semplice frase a spiegare l’esito delle Elezioni Regionali andate in scena lo scorso weekend. Il centrodestra, con il candidato Marco Marsilio, fa il pieno di voti (48.03%) e anticipa la cancellazione del MoVimento 5 Stelle dal panorama politico nazionale. La coalizione che ha visto la Lega tornare con i vecchi alleati alle urne – Forza Italia e Fratelli d’Italia – conferma la tendenza che imperversa nel Paese, il ritorno alla destra, meglio ancora se estrema.

Perché per un MoVimento 5 Stelle che lascia lungo la strada circa il 20% delle preferenze rispetto alle Politiche dello scorso marzo – o quantomeno l’1.3% (22.865 voti) in confronto alle stesse Regionali di ben cinque anni prima, quindi crescita zero –, spicca una Lega cannibale, capace di sbranare voti a chiunque, che si attesta a un incredibile e mai raggiunto 27.5% (nel 2014 non era neppure in corsa e alle nazionali prese il 13.87%). Lascia circa cinque punti percentuali anche il partito di Berlusconi, quasi raggiunto dall’incredibile balzo in avanti degli estremisti di FdI, a cui Marsilio, tra l’altro, appartiene.

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Resta, poi, da guardare amaramente all’implosione del centrosinistra, sì in recupero rispetto alla tornata nazionale, ma in netto calo per ciò che riguarda la competizione locale. Dal 46.3% del 2014, infatti, PD e compagni scendono al 30.6, con i dem in caduta libera, mentre – dato da non sottovalutare – i gruppi autonomi della coalizione hanno abbracciato la delusione dell’elettorato grillino che è tornato a votare a sinistra. Il partito che sarà di Zingaretti, al momento, non riesce a recuperare fiducia nei confronti dei suoi elettori che, non convergendo più nei 5 Stelle, o si affidano alle nuove forze socialiste o optano per l’astensione.

Il dato su cui, però, occorre riflettere – e, al contrario di quanto sbandierato alla stampa, ha messo in allarme il MoVimento – è il crollo dei pentastellati, incapaci di reagire alle continue e mirate imboscate che il Ministro dell’Interno ha teso loro in questi mesi di impasto improbabile al governo del Paese, risucchiando una larghissima fetta delle X poi apposte sulle schede elettorali. Quando Di Maio, Dibba e compagni non possono aggrapparsi alla propaganda, ai loro cavalli di battaglia, alle promesse assistenzialistiche come il Reddito di Cittadinanza, non riscuotono lo stesso successo sui territori che invece abbracciano a livello nazionale, segno che la presenza sulle singole regioni è ancora impalpabile e non si lega a proposte concrete di rilancio.

Inutile attaccarsi, come Sara Marcozzi ha fatto, alla mancanza di democrazia del sistema, alla composizione delle alleanze contro la corsa singola del MoVimento. Anche alla guida dello Stivale, infatti, i pentastellati corsero singolarmente alle Camere e, in quel caso, la presenza di forti alleanze sia a destra che a sinistra non minò alla loro affermazione come primo partito. «Spostarsi a destra non paga. Abbiamo lasciato troppo spazio a Salvini, alle sue modalità comunicative. E gli elettori hanno scelto l’originale»: Elena Fattori ben fotografa la vera natura della débâcle e il collega di compagine, il deputato Giorgio Trizzino, va ancora più a fondo sferrando un duro attacco ai vertici 5 Stelle: «La Lega di Salvini, forte del consenso imprenditoriale del Nord e di vaste fasce di popolazione del Centro e del Sud e della propria struttura organizzativa, ha puntato scientificamente fin dal primo momento a indebolire ideologicamente e politicamente il M5S, con il chiaro obiettivo di usarlo fino in fondo prima di gettarlo via. Con l’imposizione dei temi razziali e della sicurezza, si è compromessa l’identità plurale, sociale e tollerante del MoVimento».

La deriva sovranista, dunque, il voltafaccia rispetto ai temi caratterizzanti la propria affermazione – no alleanze, no alla casta, no TAP, ecc. – ha depresso quella larga fetta di cittadini che negli uomini di Beppe Grillo aveva visto l’occasione di rompere con i dettami della vecchia politica. Dei votanti pentastellati, infatti, solo una media del 35% ha confermato la fiducia al MoVimento, mentre il 28% ha preferito manifestare il proprio disincanto attraverso l’astensione. Il resto se lo sono spartiti, probabilmente secondo gli ideali degli elettori, centrodestra e centrosinistra (dati Repubblica.it).

Il campanello d’allarme per i grillini suona feroce, come una deadline pericolosa, da non sottovalutare. Il punto di non ritorno saranno le prossime Elezioni Europee del 26 maggio, quando il M5S potrebbe vedersi doppiare dall’attuale alleato di governo, che solo un anno fa godeva del 17% delle preferenze e oggi viaggia in quell’autonomia che Di Maio e soci hanno sempre sognato ma mai completamente raggiunto. Qualora le intenzioni di voto degli italiani trovassero conferma, in linea con i risultati delle Regionali, la crisi a livello nazionale sarebbe inevitabile e aprirebbe a uno scenario poco rassicurante, ossia l’affermazione del centrodestra, con la Lega in testa, principale forza politica del Paese in grado di governare entrambe le Camere senza scomodi alleati.

Ai sovranisti d’occasione, la gente d’Abruzzo ha scelto gli originali. Presto li seguirà anche il resto degli italiani.

 

*foto TGCOM24

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