Sugli errori delle forze che compongono l’attuale governo, partendo dal Premier sino a vari neo-Ministri, ne abbiamo dette tante. Che l’esecutivo sia nato principalmente per farci dimenticare i precedenti quattordici mesi a trazione leghista pure. Dopo anni di attesa, però, giovedì arriverà in Commissione Affari Costituzionali la proposta di legge sullo Ius Culturae, certamente un importante segno dei tempi e dell’impronta di apertura che il Conte 2.0 vuole dare al nuovo ciclo. Una cosa, tuttavia, vogliamo chiarirla subito: quella in discussione non va vista come una misura di sinistra, centrosinistra o chicchessia, né deve essere intesa come una gentile concessione. Tutt’al più, è arrivato il momento di ammettere che si tratterebbe di un provvedimento civile e umano, che darebbe ai legittimi titolari di tale diritto ciò che spetta loro.
Andando per ordine, spieghiamo che il principio in questione consiste nell’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di minori stranieri nati o entrati in Italia entro il dodicesimo anno d’età e che abbiano frequentato, per almeno cinque anni, uno o più cicli di scuola o che abbiano intrapreso percorsi di formazione professionale – della durata di tre o quattro anni – per ottenere una qualifica. Il senso del provvedimento, dunque, starebbe nel rendere cittadino a tutti gli effetti chi frequenta per un periodo congruo gli studi in Italia anche se i genitori hanno provenienza straniera, visto che non si capirebbe per quale motivo il luogo di nascita proprio o di mamma e papà debba essere considerato un discrimine quando l’educazione scolastica è la stessa di chi è nato nel Bel Paese.
Dunque, se lo Ius Soli prevede che la cittadinanza sia riconosciuta a chiunque venga alla luce sul suolo italiano – e su questo ci sarebbe da aprire un dibattito per capire se e quanto si possa essere danneggiati, come affermano i sovranisti, da una legge di questo tipo – dubbi non dovrebbero essercene, in cambio, nel considerarsi concittadini di chi occupa gli stessi banchi di scuola dei nostri figli, studia le loro stesse materie e ne intraprende i medesimi percorsi formativi. A tal proposito, non sorprendono le prese di posizione della destra italica che, per inciso, il fu leader Berlusconi ha dichiarato essere composta da leghisti e fascisti da lui legittimati e costituzionalizzati venticinque anni fa. Proprio costoro, infatti, hanno approfittato ancora una volta per parlare di dinamiche che evidentemente non conoscono o – ci auguriamo – fanno finta di non conoscere, blaterando di cittadinanza facile e rifiutando ogni forma distorta dello Ius Soli, nonché facendo confusione tra i due principi che, come ricordato, sono diversi. Ma, ça va sans dire, ormai siamo abituati alle loro uscite inconcludenti.
Ci chiediamo, invece, cosa passi per la testa di Anna Ascani, esponente del PD, mentre sostiene che non sia questo il momento per mettere in atto la riforma avanzata dall’attuale maggioranza, come se non si fosse perso già troppo tempo. Ora, anche qui lo stupore c’è ma fino a un certo punto: ricordiamo, infatti, che il Viceministro dell’Istruzione è stata una delle punte di diamante dell’era renziana, la stessa epoca in cui il fondatore di Italia Viva emulava il suo omonimo con lo slogan Aiutiamoli a casa loro e la Legge Minniti regolava gli accordi con la Libia dei lager travestiti da centri di detenzione. Il dubbio che ci assale, tuttavia, resta: per quale motivo non sarebbe questo il momento per lo Ius Culturae? O, meglio, esiste un istante preciso in cui poterne discutere in Parlamento e metterlo ai voti? Per rispondere a queste domande, basta andare indietro di qualche anno e tornare agli sgoccioli della legislatura targata Partito Democratico, quando c’erano i numeri per approvare lo Ius Soli ma i dem pensarono bene di fare melina, evitando di approvare la legge per paura di perdere consensi e di consegnarne ancora di più agli avversari.
A parte che quella strategia ha fallito miseramente, dato il tracollo del 4 marzo 2018, come ha potuto il principale partito di centrosinistra – troppo centro e poca sinistra – evitare di discutere l’introduzione di una norma che rappresenta la piena attuazione del principio di uguaglianza sostanziale solo per non aizzare la destra? Era suo dovere morale, infatti, approvare il provvedimento e poi andare nelle piazze per spiegarne la portata, per farne il proprio fiore all’occhiello, quello di un partito che si definisce progressista, e per sconfiggere gli estremismi con una battaglia culturale prima ancora che politica. Certo, forse stiamo sconfinando nel campo dell’utopia, ma restiamo dell’idea che non si possa fronteggiare lo spavento – alimentato dagli Orbán nostrani – di una fetta del Paese con altrettanto panico di chi ai timori della popolazione dovrebbe trovare una soluzione e non scappare.
In ogni caso, vogliamo sottolinearlo, lo Ius Culturae non sarà l’occasione per il MoVimento 5 Stelle e il Partito del Nazareno per redimersi da tutti gli sbagli passati. Potrebbe, però, rivelarsi un’ulteriore chance per garantire un diritto a chi spetta di dovere. E adesso non vogliamo più scuse.
