«I veneti hanno un ceppo diverso da quello italiano. La faccia di Zaia non la trovi in Calabria. […] So che qui a Roma non lo si capisce, ma nel Nord-Est c’è voglia di autonomia regionale. Loro si ritengono una nazione: hanno la loro bandiera, la loro lingua, hanno anche un normotipo veneto che è diverso dal normotipo italiano». Quelle riportate non sono parole dettate dal Salvini-pensiero come facilmente si potrebbe ipotizzare, bensì esternazioni di Piero Senaldi, direttore responsabile del quotidiano Libero fondato dal direttore editoriale Vittorio Feltri che, nonostante una leggera ripresa del 4.9% delle vendite registrate l’anno scorso, nell’ultimo decennio ha visto ridurre le copie del 73% (Data Media Hub).
Comprensibile è la corsa ai titoloni, alle prime pagine provocatorie, talvolta decisamente inaccettabili, per colmare la voragine e scongiurare la definitiva chiusura. Tuttavia, in quest’ultima occasione la geniale provocazione è risultata di quelle davvero ridicole, perciò apprezzate da buona parte del popolo leghista veneto racchiuso nel suo egoismo e incapace di guardare oltre l’orizzonte per uscire dal proprio ghetto culturale.
Senaldi, in parte, afferma un pensiero condivisibile quando dice che uno Zaia è impossibile da trovare in Calabria in quanto appartenente a normotipo euganeo non confrontabile né con i calabresi né con qualsiasi italiano. Non presenterebbe, infatti, i caratteri antropometrici dell’uomo medio, salvo stabilire se sia questione soltanto di tratti esteriori o magari d’altro. A tal proposito, parlando dell’impomatato Presidente della Regione Veneto, mi torna in mente la frase che meriterebbe di passare alla storia, di circa nove anni fa, in merito a quei quattro sassi di Pompei al fine di invocare più fondi da parte dello Stato centrale per i suoi territori, sottraendoli alle pietre patrimonio dell’umanità con 440mila metri quadrati di museo all’aperto, secondo sito più visitato nel 2018 con ben 55504372 visitatori.
Ma le parole restano parole e fotografano chi avventatamente o, peggio, consapevolmente le affida al momento per dar forza a un sentimento localistico molto sentito dal popolo della Lega che, in questi giorni, con il consueto soccorso degli alleati di governo tenterà di dar corpo a quell’autonomia punto cardine da sempre della formazione politica che di fatto gestisce liberamente il Paese. Il sorridente direttore di Libero, quindi, con le sue originali affermazioni ha detto qualcosa che corrisponde a una realtà: «Vogliono l’autonomia e solo la Lega li rappresenta» ma, aggiungerei, vogliono questo a discapito del resto della nazione, fedeli quindi all’ideologia leghista della secessione.
Vorrei ricordare ai due massimi responsabili del giornale in caduta libera che il frequente richiamo alla superiorità della razza veneta, pensiero quanto mai filo-nazista, fa a pugni con i tanti esempi di fallimenti, in particolare in campo finanziario e bancario, in territorio euganeo. Importanti banche fiore all’occhiello del sistema creditizio fino ai primi anni 2000 diventate poi grandi gruppi per finire, successivamente, nel nulla più totale, distruggendo significative realtà per mano di uomini del ceppo diverso, alcuni ancora, nonostante tutto, ai posti di comando. Per non parlare dei fallimenti imprenditoriali e finanziari della Lega e dei salvataggi fatti con la benedizione delle istituzioni bancarie e politiche. Fortunatamente, per loro, tutto viene incanalato in quel corridoio infernale del cervello umano, dove ogni cosa si dimentica, compresa la maxi truffa.
E, ancora, il massacro delle terre a opera di scellerati imprenditori veneti con la complicità della criminalità campana che ha seminato morte e distruzione anche per gli anni futuri o la zona rossa di 21 Comuni nelle province di Vicenza, Verona e Padova, il Bacino dell’Agno, una falda di ricarico degli acquedotti inquinata da agenti tossici, i PFAS, tutto a opera degli uomini del ceppo diverso.
Ma tralasciando la sciocchezza di tale affermazione, concetto del quale immagino lo stesso Seraldi, guardandosi allo specchio, si sarà rimproverato o magari anche esaltato non avendone compreso il peso, che il Veneto abbia una bandiera e una lingua non è nulla di differente dalla Campania o dalla Sicilia, seppur con ben altra storia e cultura. Un’altra occasione per tacere, dunque, è andata persa.
Ma non è e non sarà neanche l’ultima volta per il popolo dei talk show di assistere agli scontati dibattiti con i soliti ospiti ormai simili a impiegati stipendiati pronti a vomitare la sciocchezza del giorno per sperare in un personale riscontro di gradimento o, nel caso dei citati giornalisti, di contenere quanto più possibile la voragine delle vendite.
Giorni fa, un amico di vecchia data, al termine di un nostro confronto su tutto quanto sta travolgendo la società del nostro tempo in tutti i suoi aspetti, mi ha chiesto come immaginassi il futuro degli anni a venire. Gli ho risposto così: «Non devi chiederlo a me ma ai giovani, il cammino è lungo e faticoso ed è bene che siano loro a decidere il futuro evitando gli avventurieri della politica, diffidando da quelli del ceppo diverso convinti che a Pompei vi siano quattro sassi e che con la cultura non si mangi».
