Terra d’ulivi è una giovane casa editrice di Lecce. Fondata da Emanuele Scarciglia, è dotata di un catalogo sobrio e puntuale, e dedica adeguato spazio – evento raro e importante – alla poesia declinata al femminile. Varie poete campane sono state “reclutate” da Scarciglia e si confrontano periodicamente sulla rivista Menabò. Una di queste è Cinzia Caputo, che ci propone due piccoli, preziosi ed eleganti lavori: Il labirinto delle parole e La porta sulla luna.
In verità, di tratta di un unico lavoro o, meglio, di due lavori di cui l’uno è allegato dell’altro, strutturati, cioè, come teoria e pratica. La formula è interessante: l’approccio teorico, se affrontato per primo, illumina quello pratico (la scrittura poetica); se si inizia con l’approccio pratico, in quello teorico si rintracciano le spinte, le pulsioni, gli apparati che hanno generato il primo. Ma vediamo in dettaglio.
Il labirinto delle parole è incentrato sul tema del labor-intus, del fare anima (Hillmann) e sui miti che, a partire dal momento in cui Adamo cominciò a nominare le cose, si presentano sotto varie spoglie nei nostri sogni. Cos’è un mito? Forse lo stesso sogno sognato e narrato da molte generazioni. Caputo, dunque, psicoanalista, verifica nel labirinto le costanti del sogno. Viene, altresì, osservata l’analogia tra ciò che accade nel setting analitico tra terapeuta e paziente, entrambi vissuti come coautori di mondo diurno e notturno, vale a dire che entrambi assumono, teatralmente, il ruolo di testo narrato e testo vissuto.
Il labirinto delle parole (e basterebbe già la sola aura storica e semantica di esse per smarrirsi) è, pertanto, un vademecum per chi vuole capire cos’è, a che serve, come funziona la poesia e di quali strumenti essenziali occorre dotarsi per comprenderla. La poesia, insieme con la danza, è la più antica e strutturata forma espressiva umana; praticarla significa comprehendersi, essere messi in grado di superare le dissonanze cognitive quotidiane riequilibrando, con altri rapporti, i dati dell’esperienza per cui, grazie alla polarità della mente, un segno negativo diventa positivo, il dolore viene superato e diventa invito all’azione, al fare, allo scambio.
Con questi presupposti è chiaro che il secondo volume doveva necessariamente chiamarsi La porta sulla luna, con sottotitolo Dove si portano i sogni, nel senso sia di “dove i sogni vanno” sia di “dove si auto-trasferiscono i sogni” ed è immediato immaginare una lunga fila di dormienti che reggono in braccio i loro sogni-ex voto. Luna è qui intesa con i suoi allegati simbolici, storici, mitici ed è una porta terza rispetto a quelle di corno e d’oro (citate dall’autrice) cui fa riferimento Virgilio, indicanti la realtà e l’immaginazione. È una luna sibillina e ogni testo ha l’aspetto di un oracolo.
Il critico attento osserva che i componimenti appartengono ad anni diversi: quelli in cui la vocazione per il mito è dichiarata, aperta (i più antichi), e quelli dove la poetica è severa, attenta alle callidae juncturae del fare poetico, con immediati dietrofront rispetto alle attese del lettore, producendo lo straniamento che è l’obiettivo principale del poeta. Vediamo qualche esempio:
Giungi con la valigia/ zeppa di stelle./ Spargi polvere di silicio sopra il letto.// Lascio la luce accesa/ dietro la porta chiusa.
Chi giunge con la valigia zeppa di stelle? Il sogno? Un’altra persona? La luna? Si tratta certamente di un essere marino visto che sparge polvere di silicio (sabbia) sul letto. Il doppio spazio usato dopo “letto” ci informa che si è trattato di un’illusione, ma si spera che questo qualcuno o qualcosa realmente giunga ed è per questo che si chiude la porta (timore) lasciando la luce accesa (speranza).
I luoghi consueti (ricordiamoci che stiamo parlando di luoghi psichici) diventano improvvisamente murati; la familiarità con il profondo, la moscacieca con la Natura (che, anche in Caputo, ama nascondersi – Eraclito) diventa un gioco crudele quando ci si accorge che il pozzo chiuso, scavato con le unghie, è inaccessibile perché qualcuno ha cambiato la serratura. Ci sono, su questa luna-(a)luna, momenti di bellezza idilliaca, in senso greco-epigrammatico:
L’incertezza ha le rughe. Una ragazza/ mi cammina al fianco saltellando./ Ne sento il corpo pieno di domande.
Chi può saltellare al nostro fianco se non l’Ombra? Annotiamo che l’Ombra, invecchiata e piena di rughe, rinvia alla Sibilla di Petronio. Questa presenza appare come una Kore in un testo che si titola Il corpo. Altrove, diventata Angelo, essa raccoglie le vocali,/ prende il peso dei volti,/ lascia l’impronta della mano. Va da sé che “angelo” è “messaggero” e prende forma nell’oscurità, laddove l’ombra nasce nella luce. Ecco: è su questi elementi polari, esaminati ne Il labirinto delle parole, che si fonda il vissuto della Caputo, capace di contagiarci emotivamente. Apprezziamo, altresì, la cura dell’autrice per gli schemi metrici, segnale di impulsi neuromotori, di una danza istintiva, laddove la maggior parte della produzione poetica contemporanea è composta da prosa, di pseudoversi senza misura (ritmo). In sostanza, di pensieri messi in verticale.
La raccolta non è cospicua ma essenziale e dà luogo a permutazioni, nel senso che i testi hanno un valore in sé e, nel contempo, correlati fra loro, ne creano altri. Vediamo:
L’incertezza ha le rughe./ Una ragazza/ mi cammina al fianco saltellando./ Ne sento il corpo pieno di domande. Ed è questa stessa ragazza che Passa tra la gente come angelo del lontano, che raccoglie le vocali, /prende il peso dei volti/ lascia l’impronta nella mano.
I vari personaggi mitici accolti dalla Caputo, ambigui come tutti i simboli, convergono verso l’icona silenziosa di una Cassandra oracolare impietrita dalla polivalenza dei segni: l’essere dice ciò che non dice/ e non dicendo dice./ Cassandra è interdetta, mai creduta/ anche se dice che il sole tramonta.