Se La cronologia dell’acqua segue il caotico e non lineare movimento delle onde, se mette insieme i ricordi di una vita nel logico disordine del mare o seguendo a tentoni una scia già nuotata, esattamente come l’acqua di uno tsunami questo libro si infrange sulla coscienza di chi lo legge. Sconvolge, desta, terrorizza e, in qualche modo, crea empatia. Non c’è edulcorante nella scrittura di Lidia Yuknavitch, non c’è artificio letterario, non c’è addolcente nello stile e nella forma: quella che è la storia, la storia di un vissuto duro e difficile, inonda prepotente la mente del lettore con la forza e la durezza che solo una vita vera può manifestare.
Il memoir della scrittrice statunitense, edito da nottetempo e tradotto da Alessandra Castellazzi, è vero, è sincero, è crudo, ma mai in modo disturbante. Può sembrare una scelta tosta iniziare un libro a partire da un aborto, dalla morte spontanea di una bambina nata senza vita. Può sembrare folle parlare di feci e di sangue, di urina e di viscere mentre una donna elabora il lutto di una creatura desiderata e perduta, attesa e poi, inavvertitamente, distrutta. Ma è proprio quella durezza a rendere realistico il racconto, e a convincere il lettore sin dalle prime righe che vale la pena leggerlo.
La vita di Lidia, la protagonista – in che misura coincida con l’autrice non è dato saperlo – inizia infelice e procede traumatica e, per motivi diversi, infelice e traumatico inizia anche il libro. Bambina abusata da padre violento, Lidia è fragile e non sopporta le angherie dei genitori – uno cattivo, l’altra impassibile – con lo stesso stoicismo della sorella, che invidia e ammira e poi odia quando va via, quando scappa prima di lei da quel mondo di sofferenza. Deve nuotare, nuotare per oltre un decennio, diventare una promessa del nuoto, per avere le spalle – fisicamente e non – abbastanza grandi per smettere di sopportare e affrontare il suo vessatore.
Ma se la prima parte della sua vita è fatta di modi per fuggire fisicamente via dalla casa dell’orrore della sua infanzia, quando finalmente il college la porta lontano, Lidia continua a correre, a cercare modi di eludere, di scappare da quel ruolo di figlia che non è mai stato come avrebbe voluto. La sua è una vita di sofferenza, a cui dà la forma della scelleratezza per scrollarsi di dosso un passato che, evidentemente, la segna per sempre. Ma non è solo questo. Se di un’esistenza spezzata vediamo solo ciò che non funziona, solo ciò che identifichiamo come folle o sbagliato, nei ricordi disordinati ma in qualche modo connessi se ne intravedono tutti gli aspetti, anche quelli belli, anche quelli importanti.
La cronologia dell’acqua parla di tante cose, di argomenti ingombranti e di avvenimenti difficili da mandare giù, parla di comportamenti disfunzionali alla vita e alla felicità per sommergere ricordi pesanti. Eppure, un occhio attento è in grado di intravedere tra le righe i temi più importanti. Il ruolo della sorellanza è il primo che si incontra, quello di un rapporto frastagliato ma necessario tra due bambine e poi due donne che condividono le disgrazie del vivere. Ancora prima di parlare degli abusi, ancora prima di descrivere sua sorella come il faro senza il quale non sarebbe sopravvissuta a suo padre, prima di descrivere la sensazione di abbandono in seguito alla sua assenza, Lidia mette in chiaro l’importanza stessa che può avere una sorella. La introduce per la prima volta nel racconto di un momento triste e traumatico, durante il quale nessuno ha saputo darle l’aiuto che meritava come ha fatto lei, dimostrando quanto la connessione che intreccia due persone così legate permetta loro di capirsi e di capire i bisogni dell’altra anche dopo anni di assenza.
La cronologia dell’acqua non è una storia di abuso, eppure l’abuso ne è una parte importante. Ancora più importanti sono però le strategie di sopravvivenza alla violenza, anche quelle più squilibrate e malsane. E, se nella dissolutezza di Lidia, nell’abuso di alcol e di droga e nei comportamenti sessuali non convenzionali non si può che identificare la reazione disfunzionale alle violenze subite, io ci ho visto anche qualcos’altro, qualcosa di simile alla libertà. Nelle sue storie di abuso, per Lidia la sessualità è uno strumento di autodeterminazione, è il suo modo di affermare se stessa e la propria volontà. Nei momenti peggiori, dopo o addirittura durante le violenze, è la sua libertà sessuale che la salva e che le permette di riaffermare quell’identità che la rabbia di suo padre tenta costantemente di annientare. Qualcosa di suo e solo suo da contrapporre alle sistematiche vessazioni pensate per distruggerla. Mi sembrava ci fosse un muscolo tra di noi. Quel muscolo era la mia sessualità. Non la sua.
Questo libro, con la sua narrazione cronologicamente confusa, con i ricordi messi insieme seguendo un ordine mai temporale eppure mai casuale, scava nel profondo di un’esistenza danneggiata. Nel ripercorrere tutte le fasi di una vita intera, non fa che parlare di un’infanzia abusata e delle conseguenze che ci si porta dietro. Ma va anche oltre perché una vita distrutta, segnata, disperata, non è solo distrutta, segnata e disperata. È anche tanto altro.
La cronologia dell’acqua è un libro che parla di questo, che spiega l’annientamento di sé, che descrive le tragedie con la naturalezza e la durezza del vivere. È crudo, ma è vero e, come la vita reale, non è fatto soltanto di dolore. Nell’imprevedibile e cieca roulette che viviamo, non tutti ce la fanno, ma l’esistenza non è solo sofferenza, è anche normalità ed è in questa che, talvolta, si trova la felicità, persino dopo – o forse soprattutto dopo – una vita vissuta all’estremo, sull’orlo del baratro. È ciò che in fondo ci insegna questo libro, la normalità della vita, anche in vite che di ordinario non hanno nulla, e come proprio quella normalità a volte sia in grado di salvarci.