Era il 1964 quando un giovane Francesco Guccini, studente della facoltà di Lettere di Bologna, scrisse di un bambino deceduto nel campo di concentramento di Auschwitz, degli orrori della guerra e della ferocia di cui è capace l’istinto umano:
E ancora tuona il cannone
E ancora non è contenta
Di sangue la bestia umana
E ancora ci porta il vento
Io chiedo quando sarà
Che l’uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E il vento si poserà
Questi, alcuni dei versi di una canzone quanto mai attuale. Anni, quelli che stiamo vivendo, caratterizzati da una dose sterminata di odio e violenza che ci riportano indietro facendo rivivere tempi bui della nostra storia più recente.
A nulla sembra sia servita la dura lezione della pandemia, di un’emergenza sanitaria che nonostante tutto faceva sperare in una revisione radicale dei nostri modelli di vita basati su di un individualismo sempre più esasperato, una società sempre meno inclusiva e un aumento esponenziale delle disuguaglianze. Un evento che ha limitato le nostre libertà e che ritenevamo facesse riflettere e agire di conseguenza.
Invece, neanche il tempo di risollevarci e un nuovo conflitto, questa volta nel cuore dell’Europa, ha messo a dura prova le nostre vite; una guerra, a seguito di un’invasione, che ancora fomentiamo con ingenti risorse sottratte alle necessità delle famiglie tuttora provate dagli effetti economici della pandemia. Un attacco terroristico, quello recente per mano di Hamas e una strage firmata Israele –manco a dirlo, smentita e garantita dal Presidente USA – a danno del martoriato popolo palestinese, un odio che ha origini lontane e che la linea Netanyahu al potere dal 2009 ha intensificato con rappresaglie e abusi sulla popolazione civile. Una violenza brutale che il popolo israeliano dovrebbe tenere bene a mente ma, a quanto sembra, la storia non sempre è maestra di vita, contrariamente a quanto sosteneva Cicerone.
La bestia umana ancora non è soddisfatta del sangue versato in ogni parte del mondo, di un’umanità sempre più disumanizzata ormai assuefatta e incapace di reagire o, peggio, volutamente non reattiva per timore di condizionare i propri ambiti, i propri orticelli, i propri interessi, le proprie vite poste sotto fragili campane di vetro.
Un’assuefazione al male da contrastare con il male, violenza con violenza, odio con odio; la parola pace cancellata dal vocabolario della politica e del vivere comune se non per discorsi e dichiarazioni ipocrite, patrimonio di poveri illusi o semplice litania liturgica di gesti ripetitivi domenicali. Poche, troppo poche, le piazze mobilitate per invocare giustizia e pace che richiederebbero invece una mobilitazione generale, un’azione coraggiosa dalla politica a tutti i livelli, demolendo vincoli e accordi di potere utili soltanto a rafforzare le grandi potenze, il traffico di armi e il potenziamento degli arsenali.
Siamo passati dalla conta quotidiana dei morti per Covid a quella delle vittime dei raid di guerra, questa volta suddivisi per categorie. La conta dei bambini con la speranza di raccogliere un briciolo di commozione in più, la conta dei bambini come strumento di propaganda. Un cinismo oltre ogni limite, freddi calcoli come si trattasse di capi di bestiame abbattuti, un mattatoio con numeri dati in pasto a un’informazione faziosa e bugiarda, creature spacciate per decapitate solo per scatenare veleno sui social per poi smentire la notizia il giorno dopo per assenza assoluta di prove.
La stessa cultura dell’odio si è diffusa e sviluppata anche in Italia in tempi molto recenti, divenendo parte integrante di un’ideologia razzista e omofoba, patrimonio di forze politiche che hanno costruito il proprio consenso sulla capacità di estrarre il peggio di parte del Paese prima contro il Sud, poi i migranti, i figli dei migranti nati in Italia, i percettori di un sussidio statale, una vergognosa guerra ai poveri. Un odio di Stato espresso esplicitamente da qualche esponente del governo.
Un mondo sempre più basato sugli egoismi, sulle chiusure, sulle differenze. Il risorgere dei nazionalismi e dell’odio tra popoli ha generato nel tempo violenza, paura e un’indifferenza al cospetto di fatti inaccettabili, un rifiuto alla ribellione, alla partecipazione nella convinzione dell’inutilità della propria azione e del non sentirsi parte di una comunità, della costruzione di un progetto comune. L’individualismo, l’interesse seppur minimo, come unico elemento trainante della propria esistenza. Nel frattempo, i contatori della morte continuano a registrare vite spezzate, sogni distrutti nella assuefazione più totale di notizie che disturbano le nostre cene serali.