Contributo a cura di Martina Missano
Qui è sempre tutto rose e fiori: con questa frase una bambina sigilla il suo disegno dopo avere partecipato a un Gruppo di Parola con altri infanti, figli di genitori separati, presso il Consultorio Familiare dell’Istituto G. Toniolo di Napoli.
La struttura, inaugurata da Giovanni Paolo II in occasione della sua visita pastorale nel 1990, nacque per volontà congiunta dell’Istituto Toniolo e dell’Archidiocesi di Napoli che vollero offrire alla cittadinanza partenopea un servizio con le stesse prerogative dell’analogo consultorio operante all’interno dell’Università Cattolica di Roma sin dal 1976. Al suo interno sono presenti diverse figure professionali, dall’ambito psico-sociale (psicologi, psicoterapeuti, mediatori familiari, assistenti sociali ed educatori) all’area sanitaria (psichiatra, pediatra, endocrinologo, genetista), quasi tutti professionisti provenienti dal Policlinico Gemelli. Da circa otto anni, inoltre, presso i suoi locali sono attivi i cosiddetti Gruppi di Parola.
Un’intervista alla dottoressa Valeria Longo, psicologa, responsabile del consultorio e figura determinante nel portare l’esperienza del Gdp da Milano a Roma e successivamente a Napoli, ci permetterà di approfondire la conoscenza di questo strumento e ci guiderà nel suo percorso fino all’approdo nel capoluogo campano. Le domande non possono che cominciare da quella più semplice e ovvia:
Dottoressa, può raccontarci cosa sono i Gruppi di Parola?
«Si tratta di una risorsa messa a disposizione dei bambini e delle loro famiglie, in particolare dei genitori, per aiutarli ad affrontare al meglio la transizione legata al difficile evento rappresentato dalla separazione coniugale. Il Gruppo di Parola, rivolto a figli di genitori separati, è un intervento breve in cui i partecipanti, bambini o adolescenti, possono, attraverso il gioco, il disegno e altre attività, condividere pensieri ed emozioni con l’aiuto di professionisti specializzati. La finalità che si propone ogni Gruppo di Parola consiste nell’evitare l’interruzione dei rapporti o, peggio, la rottura dei legami tipici del nucleo familiare. Per raggiungere tale obiettivo è necessario tenere vivo il dialogo e favorire la comunicazione tra le parti anche nei momenti più difficili della vicenda separativa. Occorre infatti che padri e madri, anche nelle fasi più aspre del conflitto che li contrappone, restino sensibili ai bisogni dei loro figli e attenti alle loro domande anche se, a volte, non esplicitate.»
Come nasce il nome Gruppi di Parola?
«Nel nome sono già espliciti i punti di forza su cui tale attività si fonda: la parola e il gruppo. I Gruppi di Parola nascono infatti dall’esperienza di professionisti della relazione di aiuto – psicologi, assistenti sociali, mediatori familiari – che, nel trattare bambini sofferenti presi in mezzo dal conflitto tra i genitori, hanno pensato a uno strumento che permettesse loro di mettere parola, ossia esprimere i sentimenti contrastanti, le emozioni, le paure e le speranze che inquietano le loro piccole vite durante la separazione dei genitori. Spesso i figli tenuti all’oscuro della decisione di separarsi vivono con ansia questa fase della loro vita, sentendosi in molti casi responsabili della rottura dell’unità familiare, e tendono a isolarsi sperimentando nell’incertezza per il proprio futuro la paura dell’abbandono. D’altra parte, i genitori, in questa fase critica, il più delle volte vissuta come fallimento dei loro progetti, tendono a concentrarsi di più sui loro bisogni e a trascurare quelli della prole, dimenticando che i bambini fanno parte di un dramma familiare di cui sono anche essi protagonisti. L’altro punto di forza dei Gruppi di Parola, invece, va ricercato nella potenzialità del gruppo che può essere considerato un potente generatore di energia e creatività, in grado di trasformare e dare nuovo senso ai cambiamenti. Grazie al confronto tra pari – tutti bambini che vivono la stessa esperienza di frattura dell’unità familiare –, i piccoli partecipanti riescono a uscire dall’isolamento e a trovare modi inediti per dialogare con i genitori.»
Ci racconti come sono nati i Gruppi di Parola. Si tratta di storia recente?
«I primi Gruppi di Parola nascono in Canada, preceduti da alcune analoghe esperienze negli Stati Uniti. In Canada, negli anni Novanta, Lorraine Filion, un’esperta assistente sociale in servizio presso il Tribunale per i Minorenni di Montreal, introduce con successo questa attività rivolta ai bambini, figli di genitori separati, per sostenerli e aiutarli a uscire dalla tristezza e dall’isolamento. Da lì le sue esperienze verranno importate in Europa, in particolare in Francia, dove vengono replicate da Marie Simon, psicologa ed educatrice. Grazie all’equipe del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, poi, i Gruppi di Parola vengono introdotti in Lombardia e, via via, nelle altre regioni settentrionali. Frequentando il Centro Famiglia di Milano ho avuto modo di conoscere questa risorsa già alla fine degli anni Novanta – allora ero Direttore del Consultorio Familiare dell’Istituto Toniolo di Roma – e, intuendone le potenzialità, mi sono subito molto impegnata ad affidare la formazione del personale psicosocioeducativo del Consultorio di Roma e di quello di Napoli all’equipe del Centro Famiglia. Il risultato è stato quello di potere in poco tempo disporre di una squadra di psicologi/psicologhe, assistenti sociali, educatori/educatrici specializzati nella conduzione di quei Gruppi di Parola che entrambe le strutture avrebbero presto lanciato sul territorio. Nei primi anni le difficoltà a vedere riconosciuta la validità dei gruppi sia da parte delle famiglie che degli operatori psicosociali è stata notevole. Ora però possiamo affermare che proprio il passaparola tra genitori soddisfatti dei risultati ottenuti dai loro bambini nelle capacità di esprimere i propri bisogni e le proprie emozioni abbia aperto la strada alla diffusione di queste attività. D’altra parte, anche il pregiudizio di molti operatori che diffidavano dell’efficacia di tale strumento per la sua brevità si va smontando davanti ai buoni risultati che si vanno profilando soprattutto in termini di prevenzione.»
La scelta di puntare su una buona formazione di base può essere sicuramente vincente. Che motivazione vi siete dati?
«Abbiamo, da sempre, investito molte risorse nella formazione e/o qualificazione degli operatori che con professionalità diverse lavorano in Consultorio offrendo sia percorsi che possano rafforzare le competenze di base di ciascuna professionalità sia facilitare il lavoro di equipe tra professionisti di varie discipline. Nel caso della formazione rivolta ai conduttori di Gruppi di Parola – stiamo in questi giorni promuovendo il IV corso a Napoli –, oltre alle sezioni dedicate all’apprendimento di tecniche e metodologie specifiche del GdP, il modulo introduttivo tratta delle caratteristiche del gruppo, delle sue potenzialità, mettendo a fuoco le competenze sia tecniche che umane di cui il conduttore deve disporre perché i bambini possano trovarsi a proprio agio, in una situazione comoda nella quale mettere parola.»
Come si è inserita questa esperienza nel tessuto culturale e sociale della città di Napoli?
«Napoli si è rivelata, come sempre, accogliente e pronta a sperimentare le novità. Dopo le prime inevitabili risposte diffidenti, il gruppo di lavoro sui GdP è oggi costituito da tre straordinarie professioniste che non posso trascurare di citare per il loro impegno appassionato: Anna Maria Cirillo, psicologa e psicoterapeuta, Patrizia Ciotola, assistente sociale e mediatore familiare, e Marta Meglio, psicologa e mediatrice familiare, non hanno trovato difficoltà a proporre gruppi per bambini e adolescenti, superando in molti casi anche l’ostacolo rappresentato dal consenso da parte di entrambi i genitori. Grazie alla loro tenace passione, sono state sperimentate applicazioni diverse e inedite dei GdP come quella destinata ai fratelli e sorelle di bambini con disabilità (22 novembre 2018). Vorrei inoltre segnalare come il nostro Consultorio abbia partecipato, lo scorso anno, alla realizzazione di un progetto promosso dall’Autorità nazionale Garante per l’Infanzia e Adolescenza (AGIA) che ha scelto il nostro servizio, insieme all’analogo servizio di Roma e al Centro di Ateneo Studi e Ricerche per la Famiglia di Milano, per la promozione e diffusione dei GdP sul territorio nazionale. Da alcuni anni, d’altronde, sia negli interventi della magistratura che nella programmazione dei servizi sociali di alcuni Comuni, tra cui in primis Napoli, ricorre il suggerimento alle coppie che si stanno separando di facilitare l’accesso ai GdP ai loro figli, sia bambini che adolescenti.»