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Fair Progress: la sfiga di chi nasce in Italia

Mariaconsiglia Flavia Fedele di Mariaconsiglia Flavia Fedele
7 Settembre 2018
in Attualità
Tempo di lettura: 3 minuti
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Ce vò ‘a ciorta pur’ a nascere, recita un vecchio detto napoletano. A confermarlo, stavolta, sono i dati diramati dal più completo database dedicato alla mobilità sociale nel mondo attraverso il rapporto Fair Progress?, una relazione voluta dalla Banca Mondiale, che cura l’archivio elettronico, con il contributo, tra gli altri, del progetto-partner di Equalchances.org a firma del Dipartimento di Economia e Finanza dell’Università di Bari. Uno studio, quello reso noto, che analizza quanto mediamente il tenore di vita di una generazione sia migliorato rispetto a quello della precedente e in che termini l’individuo sia condizionato, nella sua ascesa alla scala economica, dal background familiare. Quanto, cioè, la ciorta, dunque la fortuna al momento della nascita a cui fa riferimento il proverbio partenopeo, si riveli importante una volta diventati adulti.

Come risulta, infatti, la famiglia o, meglio, il benessere del nucleo parentale nel quale una persona viene al mondo costituisce parte integrante del successo a essa destinato. I due aspetti, Fair Progress? lo ribadisce a chiare lettere, sono generalmente correlati. Non a caso, quando si verifica una notevole o costante crescita economica, tra le varie generazioni è tendenzialmente assicurato un salto di qualità della vita. Inoltre, l’emancipazione dei figli dai genitori risulta decisamente più semplice. Basti pensare a quanto è accaduto negli anni Cinquanta nella gran parte dei Paesi occidentali, quando il boom economico ha concesso una serenità generale palpabile e la possibilità ai giovani di affrancarsi dai propri genitori. Ogni giorno nascono 400 mila bambini. Nessuno di loro sceglie il genere, l’appartenenza etnica, il luogo in cui si è venuti al mondo. Né le condizioni economiche e sociali della famiglia. Il punto di partenza della vita è una lotteria, scrive nella sua introduzione la Banca Mondiale, attenta, però, a sottolineare come il concetto sia da ritenersi mediamente valido ma con le dovute eccezioni. Non è sempre scontato, infatti, che il progresso dei padri e delle madri voglia dire anche avanzamento dello status dei figli. In molti Paesi, dunque, anche in quelli in via di sviluppo, la mobilità sociale resta impossibile tutt’oggi.

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Al tempo stesso, capita inoltre che, se a bloccarsi è la crescita della generazione trainante, si fermi pure l’evoluzione di quella trainata. Esattamente come sta succedendo nelle zone già sviluppate del mondo e, in particolare, in Italia negli ultimi vent’anni, da quando, cioè, l’economia va nettamente a rilento. È lo Stivale, infatti, a detenere il peggior record europeo in termini di immobilità sociale, con un altro dato che lascia piuttosto basiti: i progressi dell’istruzione non vanno di pari passo con i progressi del reddito. In aggiunta, proprio in ambito formativo e lavorativo, sebbene il titolo di studio dei genitori non sia più vincolante quanto in passato, le origini valgono ancora e molto, soprattutto in materia di opportunità dovute all’estratto conto, alle parentele, alle relazioni amicali e al loro peso nei posti che contano. E noi, nel Paese del clientelismo, ne sappiamo sicuramente qualcosa.

Continuando ad analizzare la questione italiana, stando all’indice di mobilità intergenerazionale dei redditi (maggiore è l’indice, minore è la mobilità) pari allo 0.48 appare chiaro come circa la metà del tenore di vita dei figli sia determinata dal livello di quello dei rispettivi mamma e papà. Un numero che in Francia è dello 0.35 e in Germania dello 0.23, in Italia il più alto d’Europa e secondo soltanto agli Stati Uniti nel mondo sviluppato. Questi dati poco rassicuranti, infine, accrescono anche il pessimismo dei nostri connazionali quando si tratta di riflettere sulla propria posizione in società. Nel Vecchio Continente, gli italiani sono infatti al penultimo posto della classifica stilata sulla fiducia nel domani e nella possibilità di una vita migliore per la generazione che ci succederà. Dopo di noi soltanto gli sloveni. Infine, appena 4 su 10 sostengono di stare meglio dei loro genitori. Quanto meglio non ci è svelato affatto.

Come si evince, quella che viene fuori dal rapporto della Banca Mondiale è, senza dubbio, una situazione allarmante e poco incoraggiante. Una negatività che, tuttavia, chi vive questo Paese conosce e ha già fatto, irrimediabilmente, sua. Soprattutto tra i giovani, infatti, lo sconforto è palpabile e amaramente travolgente, lì dove è chiaro che il futuro è una scala della quale non si scorge la fine e l’indipendenza una chimera. Fanno eco, quindi, le parole di Woody Allen per bocca di Chris Wilton: Chi disse “preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde. Tutto quello che dobbiamo fare, però, è non smettere mai di lanciare.

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