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“A Quiet Passion” di Terence Davies: l’inafferabile solitudine di Emily Dickinson

Sarah Brandi di Sarah Brandi
30 Giugno 2021
in Cinema
Tempo di lettura: 3 minuti
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A ben due anni dal suo debutto alla sessantaseiesima edizione della Berlinale e a uno dalla sua proiezione nelle sale inglesi, dal 14 giugno finalmente è stato possibile vedere nei cinema italiani A Quiet Passion. Scritto e diretto da Terence Davies, il biopic racconta la vita della poetessa statunitense Emily Dickinson, interpretata magistralmente da Emma Bell (che ne veste i panni giovanili) e Cynthia Nixon (che la ritrae in abiti maturi). Il regista di Serenata alla luna (1995) riesce così nell’impresa che molti prima di lui hanno fallito: raccontare l’esistenza di una non esistenza, la calma passione, come mette in evidenza il titolo ossimorico, di una donna umbratile che a soli 25 anni decise di ritirarsi a vita privata e non avere contatti con il mondo esterno, se non tramite le poche chiacchiere scambiate con i familiari da dietro le porte e alcune lettere inviate e ricevute da qualche amico.

Girata nella casa paterna della poetessa ad Amherst, nel Massachusetts, la pellicola ripercorre inesorabilmente le tappe fondamentali della vita di Emily. Tutto si apre con la presentazione della ragazza, della sua singolarità, del suo rifiuto di continuare a frequentare la scuola femminile di Mount Holyoke per non dover professare una cristianità in cui non credeva. Passa, poi, per la sua giovinezza vissuta in armonia con la famiglia, per l’avvicinamento alla poesia, per l’innamoramento non ricambiato nei confronti del reverendo Wadsworth, per la decisione di vestire solo di bianco e trascorrere giornate intere rinchiusa nella sua stanza distesa sul letto in contemplazione dell’inafferrabile e scrivendo liriche. Finisce con la sua morte avvenuta a soli 55 anni per una nefrite.

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Sin da subito, l’eccentricità e la contraddittorietà della Dickinson vengono messe in evidenza nel lungometraggio: il suo rifiuto di qualsiasi dogma religioso e l’incapacità di affermare con certezza l’inesistenza di un dio; la paura della morte e la convinzione dell’esistenza dell’eternità; l’animo rivoluzionario che si manifesta in quello schierarsi contro la schiavitù, ma allo stesso tempo la passività che la spinge all’isolamento e la rilega all’inazione; il latente femminismo manifesto nei discorsi contro qualsiasi costrizione impostale in quanto donna, ma contraddetto da quel remissivo permesso di occupare qualche ora della notte componendo poesia chiesto all’autorità paterna; la vivacità e il sarcasmo che saltano fuori soprattutto nelle discussioni con Miss Vryling Buffan (personaggio fittizio che racchiude diverse delle amiche della donna) in netto contrasto con il temperamento schivo.

La ragione che spinge la Dickinson all’isolamento viene taciuta nel film, rimane un mistero, così come lo è stato e lo è nella realtà. Davis non inventa niente: con un ritmo lento e attraverso il graduale restringimento dei luoghi dalla donna abitati e dalla telecamera catturati, il regista sottintende il progressivo allontanamento della poetessa dal mondo. Ciò che viene suggerito attraverso i dialoghi difficili e non sempre agevoli da seguire è che forse la fragile anima di Emily aveva ideali troppo alti per abitare in un sistema così corrotto. I suoi scatti di rabbia, le sue frasi pungenti, il suo criticismo, la scelta di chiudersi in quella solitudine che le teneva compagnia (Sarei più sola senza la mia solitudine) derivarono probabilmente dalle aspettative troppo nobili che aveva nei confronti del prossimo e che non riuscivano a trovare soddisfazione nemmeno in quei familiari che amava con tutta se stessa. Con la sua magistrale interpretazione, Cynthia Nixon riesce a raccontare il tormento di una personalità troppo idealista e spirituale, incapace di rimodellarsi per vivere in un universo frivolo e materialista.

E se da un lato A Quiet Passion si concentra su Emily Dickinson come persona, non si dimentica di raccontarla anche come tutti l’hanno conosciuta: come poetessa. Quei versi brevi, fatti di rime semplici e segni di punteggiatura impiegati in maniera inusuale diventano il metronomo che scandisce inesorabilmente il tempo degli attimi della vita del fantasma che ella fu. La speranza nell’eternità, l’amore, la solitudine, la paura e infine l’accettazione della morte vengono narrati attraverso quei metri che con parole semplici e la descrizione di oggetti concreti e usuali in realtà parlavano di qualcosa di così intelligibile che forse solo chi li compose poteva percepire.

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