Fedi e femminismi in Italia: la profezia delle donne. Questa antologia curata da Paola Cavallari, edita da Effatà, riunisce i contributi di alcune teologhe, laiche e credenti di diverse fedi che lavorano e collaborano all’interno dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne (OIVD), che coinvolge le comunità di vari culti presenti in Italia.
Paola Cavallari, Paola Morini, Cettina Militello, Carla Galetto, Shulamit Levi, Alessandra Trotta, Rukmini Devi, Minoo Mirshahvalad, Cecilia WaldeKranz, Monica Lanfranco raccontano dal loro punto di vista il ruolo problematico delle donne nelle loro religioni. Cristiane, cattoliche, protestanti, ebree, induiste, buddiste, islamiche narrano a partire da se stesse il cammino di autocoscienza femminile, consapevoli tutte che la produzione del sapere è stata storicamente patrimonio maschile, cancellando spesso drammaticamente menti, corpi ed emozioni delle donne.
L’OIVD è stato fondato da Paola Cavallari, docente di storia e filosofia e pubblicista, e diffonde la voce di coloro che vogliono confrontarsi e pensare il divino con uno sguardo sessuato. L’Osservatorio è aperto all’adesione maschile e promuove una società basata su nuove relazioni tra uomini e donne, nelle religioni e nella comunità. Denuncia la complicità di figure interne alle chiese su casi non certo minori di prevaricazione negli spazi pubblici del culto, delle assemblee liturgiche, della predicazione, assegnando alle donne sempre ruoli ancillari. Non è un caso che questa antologia, nata all’interno di questo dibattito, venga dedicata alla filosofa Elena Pulcini. Nell’interessante introduzione si ricorda il suo invito:
a incrementare la propria potenza di esistere […] il desiderio funziona come energia positiva e trasformatrice solo se siamo capaci di riconoscerne le oscurità e le insidie […] Da qui può scaturire un senso aurorale: la rivelazione di potenzialità inespresse e di percorsi inesplorati, che si aprono solo se si accetta di esporsi al rischio di disidentificarsi.
Il lavoro interiore, lo sforzo di mettere profondamente in discussione le credenze di genere a cui si è aderito nel proprio percorso di formazione esistenziale, cercando di proteggere la fede dalle manipolazioni maschiliste, misogine e sessiste è necessità primaria per una crescita personale e politica, sociale e spirituale. Bisogna saper affrontare le contraddizioni e le dissonanze, far parlare le diverse voci, senza tentativi verticali di colonizzazione culturale, rischio presente anche tra donne provenienti da culture diverse.
Ogni tradizione religiosa disegna un particolare rapporto tra gli uomini e le donne. Il paradigma della complementarietà è l’architrave che regge la convivenza civile delle comunità religiose. Capire profondamente i limiti e le rigidità di questa relazione è fondamentale per recuperare un reale equilibro di genere, uscendo fuori dal silenzio e da una inopportuna ormai compiacenza. Confrontarsi non è trasgredire ma crescere.
Da troppo tempo ogni tentativo di scambio paritario in questo campo è considerato un atto eretico. La primazia maschile in ambito religioso non è stata ancora scardinata e resiste contro ogni emancipazione femminile. La gerarchia ecclesiastica, soprattutto quella cattolica, è spesso declinata al maschile e questo dato non aiuta certo a dare pari dignità alle donne che militano nelle varie chiese. Bisogna scalfire questa rigida e sclerotica divisione di compiti, dove gli uomini religiosi pensano e decidono, si affermano, mentre le donne che li affiancano sono mortificate in ruoli organizzativi ed esecutivi, scotomizzando la loro intelligenza, la loro capacità decisionale e il loro dono profetico. Questo indica un maltrattamento psicologico, perché considera le donne inferiori e mina la stima e la fiducia nelle loro capacità intellettuali e speculative.
Indifferenza, paternalismo, banalizzazione sono atteggiamenti retrogradi e offensivi. Il modello del sacrificio, della rassegnazione e della passività è il paradigma che costringe le donne al silenzio, abituandole alle umiliazioni e alla scarsa considerazione della loro voce e del loro progetto di vita. Il Vangelo viene da sempre interpretato nella sua forma androcentrica ma questo risponde solo alla cultura patriarcale ancora imperante. Anche le donne musulmane denunciano l’interpretazione patriarcale del Corano. Questa realtà è in contraddizione con un principio di giustizia, è un inganno e un furto ai danni delle donne.
Come dice Luce Irigaray, a noi manca un Dio da condividere. Sono innegabili le responsabilità culturali e educative delle religioni in merito alle stereotipie di genere. Il misconoscimento del femminile è un tema spesso considerato una rivendicazione femminista contraria alle fedi. Alle donne che aderiscono alla religione si chiede di sottostare a una logica patriarcale che non ha nessun fondamento accettabile.
Bisogna conoscere la teologia femminista, che vuole un dialogo con le istituzioni atto a promuovere pari dignità a entrambi i sessi. Si tratta di sostenere un nuovo umanesimo fatto di donne e di uomini capaci di recuperare un dialogo religioso che non avvilisca le donne e le consideri partecipi nell’interpretare le scritture e nel governare gli istituti religiosi. La violenza contro le donne va scardinata prima di tutto culturalmente, mettendo in crisi una pedagogia tradizionalista che vede il femminile al servizio del maschile e mai sulla stessa linea di partenza. Il sistema di oppressione legato alla logica patriarcale si incarna in comportamenti violenti e maltrattanti soprattutto in campo domestico, ma ha le sue giustificazioni in un modello educativo largamente accettato e che va smontato e ricostruito su altri parametri.
Esiste una patologia socioculturale fondata sulla disparità di potere e sul controllo di un genere sull’altro che crea violenza e dipendenza psicologica all’interno delle famiglie, a qualsiasi classe appartengono. E in questo le istituzioni religiose amplificano tale disparità non permettendo alle donne di partecipare attivamente ai ministeri, facendo sentire la loro voce e il loro pensiero. La religione rischia di sostenere e legittimare la violenza di genere, con atteggiamenti misogini non espressamente prescritti dai testi sacri. Nelle culture religiose si rafforza l’immagine della donna sottomessa e paziente, votata al sacrificio per la famiglia, donna angelicata e santa contro il modello opposto negativizzato. Una donna assertiva e autorevole non può officiare i riti, non può diventare un capo religioso, non può guidare i fedeli. Sono funzioni religiose che spettano solo agli uomini, ingiustamente.
Ricordiamo nel tempo quante ingiustizie si sono fatte ai danni delle donne: la monacazione forzata delle figlie per non ereditare i beni paterni, l’olocausto delle cosiddette streghe, le punizioni corporali e le lapidazioni verso le mogli considerate cattive, l’impossibilità di divorziare da un marito violento, l’opposizione alla libertà riproduttiva delle donne (contraccezione, aborto), il matrimonio delle bambine, le mutilazioni genitali femminili come rituali religiosi irrinunciabili. Violenze ancora attuali, purtroppo.
Credere in una società libera dalla violenza vuol dire sostenere una prospettiva femminista generale e diffusa, perché vuol dire semplicemente far rispettare ovunque i diritti delle donne in quanto persone. E questo passaggio deve considerare la cultura religiosa di qualsiasi confessione sia. La manipolazione dei testi sacri, la crescita del potere patriarcale, la cultura maschilista imperante è corresponsabile della violenza contro le donne. Ricordiamo che le donne nel cristianesimo nascente erano soggetto attivo. Non erano sottomesse e in silenzio, erano diaconesse, profetesse e predicatrici. La radice di tale esclusione è legata all’esercizio spirituale che viene tolto loro a vantaggio dei soli uomini, che possono narrare le vicende evangeliche.
La prima Lettera di Timoteo viene utilizzata dai Padri della Chiesa per stabilire il potere maschile intra-ecclesiastico e il sistema patriarcale. Dopo questo momento, le donne perdono il diritto di parlare pubblicamente, perdono le funzioni sacerdotali attive. La teologa Adriana Valerio nel suo ultimo saggio, dal titolo efficace e sostanzioso, Eretiche. Donne che riflettono, osano, resistono, esamina la storia delle donne escluse dalle chiese. Ogni gesto di ribellione e di sovversione all’ordine culturale e religioso dominante è stato rimosso. Gli storici maschi hanno deciso di silenziare ogni fiera disobbedienza e di ignorare le presenze femminili che volevano far sentire la loro voce.
Adriana Valerio, da sempre, raccoglie questi racconti esemplari per testimoniare la tenacia e il coraggio delle donne che hanno avuto la forza e la determinazione di combattere in Italia e in Europa il patriarcato religioso, affrontando una persecuzione tremenda, fino al sacrificio della loro stessa vita. Resistere al processo di colonizzazione e di addomesticamento non è stato facile. Bisogna riscrivere la storia a partire da queste cancellazioni, completare una ricerca storiografica giusta ed esaustiva.
L’ortodossia religiosa maschilista e sessista ha mietuto vittime da sempre. Eppure le donne nella vita di Gesù parlano e discutono. Sono discepole, apostole e profete. Hanno accompagnato il Maestro nei suoi pellegrinaggi, hanno ascoltato e parlato con lui, hanno testimoniato la sua parola. Ma la gerarchizzazione della monarchia cattolica ha chiuso la bocca alle donne, costrette obbligatoriamente a essere ancelle silenziose del maschio/sacerdote. La struttura patriarcale viene da secoli rigidamente protetta da ogni eresia. La scelta del modello piramidale dove solo gli uomini possono riflettere pubblicamente sulla pagina della Bibbia è una scelta politica che determina una radicale prepotenza di un sesso sull’altro, sottolineando un atteggiamento violento e prevaricatore inconcepibile per un messaggio basato sull’amore, sulla tenerezza e sulla reciprocità.
Oggi riflettiamo sul coraggio di Anne Soupa, candidatasi a vescova di Lione. Educazione di genere vuol dire quindi partire da queste ingiustizie, renderle note. Bisogna essere consapevoli come scrittrici, letterate e poetesse, della necessità di dare altri insegnamenti alle nuove generazioni, rinforzare comportamenti paritari di reciprocità e di rispetto. Le pastore battiste Adriana Cavina ed Elizabeth Green stanno organizzando seminari per formare donne leader nelle chiese. Bisogna studiare le donne del Primo e del Secondo Testamento, i testi controversi delle lettere pastorali, la vita delle donne all’interno delle comunità e il loro ruolo durante la Riforma protestante. La memoria sovversiva delle nostre antenate va rinnovata per dare forza e luce alla genealogia femminile contro ogni politica del silenzio e dell’esclusione.
Le vittime di violenza hanno il diritto di sapere che molte affermazioni bibliche sono nate dentro comunità androcentriche e vanno decostruite, allargando la prospettiva culturale e politica verso una reale inclusione delle donne in ogni aspetto della vita sociale, pubblica e privata. Le chiese sono responsabili di quello che hanno fatto ma anche di quello che non hanno fatto. Bisogna fare una pubblica ammissione di colpa, perché significa essere consapevoli che una certa interpretazione del Vangelo ha contribuito a salvaguardare per secoli la relazione tra i sessi dominata dalla violenza sulle donne e sulle bambine. Il dolo androcentrico va denunciato in tutte le sue forme.
Mulieres taceant in ecclesia, ecco l’affermazione paolina che indica l’ordine al silenzio e l’ingiunzione a non esistere per le donne credenti. Non potevano essere protagoniste della parola e della predicazione. Una giustificazione teologica che per secoli ha rafforzato il sistema patriarcale religioso e che coincide purtroppo anche con le altre religioni monoteiste. La storia ecclesiale ha estromesso le donne dalla possibilità di rendere pubblica la loro riflessione spirituale sulla scrittura. E in quest’ottica far sentire il punto di vista, condividere ogni ricerca storica vuol dire esserci e quindi spingere verso una radicale trasformazione.
Contributo a cura di Floriana Coppola