Non male l’inizio di questa elezione del Capo dello Stato. Una procedura certamente anomala per la pandemia in atto, ma alquanto singolare per quanto è avvenuto ed è ancora in corso all’esterno dell’aula di Montecitorio. Una vera e propria campagna elettorale a opera degli stessi possibili candidati nel mentre alla Camera erano in pieno svolgimento le operazioni di spoglio durante le quali echeggiavano i nomi – oltre che del candidato ufficiale della Meloni Nordio – di Amadeus, Signorini, Vespa e Angela. Una conferma, ove mai ce ne fosse bisogno, della qualità di parte della classe dirigente del Paese. Non è bastata l’irricevibile candidatura del condannato Silvio Berlusconi a squalificare ulteriormente la classe politica.
Le cronache riferiscono di un giro di telefonate del Presidente del Consiglio Mario Draghi ai leader dei partiti – altra anomalia nell’anomalia – evidentemente per rassicurarli sulla sua completa disponibilità nei confronti di tutti e, poi, anche di un redivivo Pierferdinando Casini, divorziato, risposato, sposato nuovamente e con figli di madri diverse, ma strenuo difensore della famiglia tradizionale – sia chiaro, in buona compagnia dei tanti esponenti della destra custodi dei “valori” del Family Day – comparso all’improvviso su Instagram con la frase La passione politica è la mia vita per tranquillizzare gli schieramenti con i quali è stato eletto più volte parlamentare sulla sua incondizionata disponibilità trasversale. Non c’è che dire, una carriera studiata nei particolari pensando al futuro. Meglio non fidarsi di intermediari e agire in via diretta, sono troppi i nomi che girano.
Da una parte, il banchiere, che già nei giorni scorsi non ha mancato di lanciare messaggi sul suo gradimento per l’eventuale passaggio di ruolo che farebbe comodo ai partiti per sbarazzarsi di un tecnico a Palazzo Chigi e dei suoi fidati ministri – anche se per un periodo limitato in quanto prossime le elezioni politiche – e, non ultimo, poter gestire con maggiore libertà le risorse europee e le rispettive destinazioni.
L’eventuale trasferimento di Mario Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale se da una parte potrebbe mettere fine all’esperienza consociativa restituendo maggior potere alla politica, presupporrebbe ridiscutere il ruolo dei tecnici e difficilmente trovare un accordo tra tutte le forze per un nuovo assetto di governo che rischierebbe di portare in anticipo alle elezioni ponendo seri problemi ai rapporti con l’Europa relativamente alle scadenze dei fondi del PNRR.
Un’elezione, quella del Presidente della Repubblica, con un occhio, anzi due, alle possibili ricadute sul governo, un esecutivo particolarmente importante sia per il lavoro avviato per l’impiego delle risorse europee e le relative riforme sia per l’aggravarsi della situazione ucraina, ma con un’attenzione alle elezioni del prossimo anno che la leader di opposizione avrebbe tutto l’interesse ad anticipare tenuto conto dei sondaggi che da tempo la vedono in netto vantaggio.
Un’elezione condizionata, subordinata alla composizione di un governo possibile e un suo capo, cui partecipa l’attuale responsabile dell’esecutivo che ha la fiducia di tutti i partiti di destra, sinistra e centro, con la sola esclusione di FdI, fiducia che non parrebbe avere gli stessi favori come Capo dello Stato. L’interessato sembra voler far capire che i compiti, anche quelli più difficili, li ha fatti tutti, tanto che potrebbe non essere necessaria la sua permanenza a Palazzo Chigi e che potrebbe completare il lavoro anche un altro.
Davvero un quadro desolante, mai registrato dal dopoguerra a oggi, ma perfettamente coerente alla degenerazione della politica che non smette di sorprenderci, capace sempre più di ampliare il baratro tra cittadini e istituzioni.
Varrà la pena avere memoria – esercizio difficile e quasi impossibile per la nostra comunità nazionale – quando i dati dell’astensione continueranno a crescere in maniera determinante, della sfiducia nella classe politica che decide di non decidere per le prime tre votazioni in attesa di un accordo per l’individuazione di un candidato super partes e bla, bla, bla, dando sfogo a mediocri parlamentari di giocare nell’anonimato in barba a un elettorato che continua a essere preso per i fondelli.
Trattative, vertici, super vertici tra i soliti noti per trovarci a dover discutere di Casini, Frattini, Casellati, Letta, Pera, Moratti, Nordio. Questi ultimi che Letta nipote ha definito nomi sicuramente di qualità e altri discutibili esponenti della disastrosa politica degli ultimi trent’anni per poi prendere atto che forse il super banchiere, il non politico, potrebbe rappresentare il male minore per non perdere la faccia sul piano internazionale.
Una dichiarazione esplicita del fallimento di un sistema che fa acqua da tutte le parti, cui hanno contribuito vecchie e nuove forze che oggi hanno la responsabilità di questa nazione incapaci di individuare una figura autorevole. E questo è un segnale davvero preoccupante per il nostro presente e futuro. Un’elezione, quella della massima carica dello Stato, con la testa puntata al governo, allo scacchiere dei posizionamenti e lo sguardo alle prossime politiche.
Buona fortuna, Italia!