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Se la pandemia diventa endemia ma noi non siamo pronti

Chiara Barbati di Chiara Barbati
27 Gennaio 2022
in Attualità
Tempo di lettura: 6 minuti
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Una cosa ormai è certa: del Covid non ci libereremo mai. Non si tratta di una previsione pessimistica né di una tragedia annunciata, ma della semplice natura di questo virus. Malattie ben più gravi e con letalità ben più alta del Sars-Cov-2 sono state isolate e lentamente eliminate perché la loro bassa contagiosità lo permetteva. Al Covid-19, invece, dovremmo pensare come a un virus con la trasmissibilità simile a quella dell’influenza stagionale, che mai ci sogneremmo di voler debellare. Ecco, con virus di questo tipo, si può solo lavorare perché diventino meno dannosi, controllabili, ma non eliminabili. Endemici si direbbe in gergo cioè tipici di un determinato luogo, diffusi, ma non tragici. Ciò che si dovrebbe fare, insomma, è lasciare lentamente la strada della pandemia per raggiungere quella dell’endemia.

Che la direzione verso cui puntiamo sia questa lo afferma, ormai, gran parte della comunità scientifica. Poche settimane fa, l’EMA ha dichiarato che la variante Omicron sta accelerando il processo verso l’endemia, ma la più importante presa di posizione è quella di un recente articolo della rivista The Lancet. Christopher Murray, direttore dell’Institute for Health Metrics and Evaluation di Seattle ha infatti sostenuto che gli ultimi dati raccolti confermano che con Omicron la pandemia finirà. Questo non significa, ovviamente, che il Covid sparirà, ma che smetterà di avere l’aspetto emergenziale che ha avuto per due anni e assumerà le sembianze di un’endemia.

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Per giungere a quel punto, teoricamente auspicabile, c’è però una serie di criteri che andrebbero rispettati. Senza di essi, la prospettiva meno tragica in merito alla gestione del virus potrebbe semplicemente diventare un’aggravante della già ingestibile situazione pandemica. Perché significherebbe non avere gli strumenti per gestire il Covid né piani concreti per tenerlo a bada a lungo termine e, allo stesso tempo, rendere normale l’emergenza sanitaria e le sue conseguenze.

Prima di tutto, se un virus diventa endemico significa che bisogna saperlo gestire. In verità, anche dopo due anni di pandemia ci si aspetterebbe una preparazione maggiore di quella che il nostro governo sta dimostrando. Si pensi, per esempio, all’istruzione, uno dei diritti da garantire ai cittadini, lo strumento più importante che si può donare a una persona e, soprattutto, uno di quei diritti che, superata la crisi iniziale, dovrebbe poter convivere con il diritto alla salute. Non si può certo dire, però, che due anni di pandemia siano bastati a sviluppare un piano decente per garantire che il diritto allo studio non sia minacciato dal Covid.

Per esempio, a differenza di ciò che credevamo a inizio pandemia, in quei terribili mesi del 2020 quando disinfettavamo spasmodicamente la spesa prima di riporla in dispensa, oggi sappiamo che non sono oggetti e superfici i principali vettori del virus. Sappiamo anche che il Covid può restare sospeso nell’aria per qualche minuto negli ambienti chiusi e dunque l’areazione è lo strumento principale di cui ci dobbiamo armare per gestire i contagi. In Italia ci sono oltre 53mila scuole. Di queste, solo 200 si sono potute procurare, nell’ultimo anno, un sistema di aerazione, un esempio estremamente rappresentativo dell’incapacità di prevenire. Per questo persistiamo in uno stato d’emergenza anche se il Covid è con noi da due anni, per questo non siamo pronti all’endemia, perché non siamo pronti a contenere, ad anticipare e a prevedere prima di curare. Se poi vogliamo spingere il coltello ancora più in fondo a questa piaga profondissima, dobbiamo affrontare il discorso vaccini.

Dei vaccini, dell’obbligo vaccinale, del green pass, dei no vax e delle varianti potremmo parlare per ore. Ma ci sono due questioni, relative al tema, che non possono essere ignorate. Innanzitutto, per un virus che non si può sradicare ma di cui si possono prevenire le forme gravi, il vaccino è la soluzione. Gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità confermano che per la popolazione vaccinata la letalità del Covid è assimilabile a quella dell’influenza. Per i non vaccinati, invece, va da cinque a sette volte in più. Dunque, il primo passo per passare da pandemia a endemia è vaccinare tutta la popolazione, in modo che una maggiore circolazione del virus non spaventi più di quanto spaventano quelli stagionali – che comunque comportano la morte di circa 2000 persone l’anno. Ma quello della copertura vaccinale è un tasto dolente.

Gran parte della popolazione vaccinabile è vaccinata, è vero. Ma perché quel 10% di popolazione non vaccinata è un problema anche per gli altri? Prima di tutto perché i non vaccinati occupano il 70% dei posti in terapia intensiva. E terapie intensive occupate significano meno posti disponibili per qualunque altro tipo di malato. Interventi salvavita, malati oncologici, incidenti, tanti interventi e tante cure sono rimandati ogni giorno perché gli ospedali non riescono a sostenere il peso dei Covid gravi. Se un numero come il 10% della popolazione corrisponde ai due terzi delle forme gravi che finiscono in terapia intensiva occupando troppi posti per lasciare che la sanità riesca a fare il suo dovere anche con gli altri malati, qualche domanda dovrebbero pur farsela. Dovrebbero farsela i non vaccinati, che con le loro scelte scellerate hanno sulla coscienza migliaia di vite, e il governo, che non è stato in grado di imporre l’obbligo vaccinale con i giochetti su super mega iper giga green pass e simili, e che non è stato in grado di garantire alle strutture sanitarie un vero e proprio miglioramento.

In effetti, sono aumentati i posti in terapia intensiva – anche se sono aumentati solo per il favore delle singole regioni che tentano in tutti i modi di restare in zona bianca. Ma non è aumentato il personale degli ospedali, e dunque posti in più non significano servizi in più, attenzioni in più, cure in più. Anzi, quello delle assunzioni all’interno del sistema sanitario è un vero problema in Italia perché manca personale, mancano i fondi e soprattutto non si riesce a sopperire alla mancanza di medici stranieri. Sono centinaia i medici e gli infermieri qualificati che sono stati esclusi dalle assunzioni per il Covid perché avere un permesso di soggiorno non basta. Serve la cittadinanza italiana per curare gli italiani e quando i medici nostrani finiscono, gli italiani muoiono.

I problemi nostrani sui vaccini, però, sono nulla in confronto con il problema che il mondo intero ha con questi farmaci. Mentre noi facciamo la terza dose, Israele sperimenta la quarta ed è probabile che la popolazione occidentale arriverà a fare decine di booster, nei Paesi in via di sviluppo non si è neanche vicini al termine della prima dose per tutta la popolazione. Nella maggior parte dei Paesi poveri, la copertura vaccinale si aggira intorno al 15%, una percentuale bassissima che non solo non permette l’arresto della circolazione del virus, ma diventa il motivo dello sviluppo di nuove varianti. Lasciare che il virus circoli, infatti, non ne aumenta solo la mortalità tra la popolazione fragile dei Paesi in via di sviluppo che non hanno avuto gli aiuti promessi in favore della quindicesima dose booster occidentale, ma favorisce lo sviluppo delle varianti. E se il virus si rafforza, non ci sarà immunizzazione che tenga. Non basta vaccinarsi, perché l’alta riproduzione del virus gli permetterà di trovare scappatoie, modi di insinuarsi nei nostri organismi e di eludere la protezione dei vaccini.

Se poi c’è un effetto che la pandemia sta avendo a livello globale, oltre ai milioni di morti e anche alle vittime indirette del sistema sanitario al collasso, è acuire le differenze. Con il Covid, i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri sono diventati più poveri. Chi prima non aveva accesso a beni e servizi, oggi ce l’ha ancora di meno. Le persone che non riuscivano a ottenere le cure, ora sono ancora più marginalizzate. La concentrazione della ricchezza e dei mezzi di produzione in alcune aree geografiche è andata peggiorando e i Paesi poveri oggi lo sono più di prima. E cosa accadrebbe se il Covid fosse dichiarato endemico? Cosa accadrebbe se quello che ha causato diventasse normale senza prima provare a porre fine a quel divario vaccinale che sta mietendo così tante vittime? Ripresa estremamente più lenta delle aree del mondo maggiormente colpite, esclusione dai mercati – nonché dagli aiuti – di chi è già stato escluso dal processo di immunizzazione, discriminazione di interi Paesi che avranno ancora meno accesso al benessere occidentale.

Non siamo pronti a vedere il Covid diventare un’endemia, e dopo due anni di pandemia non siamo autorizzati a non esserlo. Non lo siamo perché non esiste prevenzione. Non lo siamo perché non esiste obbligo vaccinale. Non lo siamo perché trattiamo il vaccino come un bene e non come un diritto perché non vengono sbloccati i brevetti e gli strumenti che permetterebbero ai Paesi in via di sviluppo di diventare autonomi nella produzione. Non siamo pronti all’endemia perché tutto ciò che era necessario fare per rendere la convivenza con il virus meno problematica non è stato fatto. Ed eliminare l’emergenza dalle definizioni senza risolverla davvero sarebbe l’inizio di un mondo in cui non è bello vivere.

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