Invisible Monster è il titolo di un libro dello scrittore Chuck Palahniuk, un romanzo narrante la storia di una modella che, in cerca di attenzioni, complica la sua vita in maniera irreparabile. Tuttavia, è anche un titolo che, forse, si potrebbe utilizzare per descrivere una delle malattie più terribili e diffuse dei nostri tempi, un male che, seppur certe volte è ben manifesto attraverso stati catatonici, altre è latente e convive con persone apparentemente sane. Un disagio che in molti casi impedisce persino di vivere normalmente la propria vita: la depressione.
Nel Rapporto sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione Europea, ideato da ISTAT in collaborazione con Eurostat, i dati parlano chiaro: il PHQ (Patient of Health), lo strumento psicometrico usato per l’inchiesta con lo scopo di misurare la presenza di disturbi psichici e la loro entità nei soggetti sotto esame, dimostra che in Italia l’1.8% della popolazione soffre di depressione maggiore – quella per cui si provano frequenti stati di insoddisfazione e tristezza e risultano prive di qualsiasi piacere le attività quotidiane –, mentre il 4.3% soffre o ha sofferto di almeno un disturbo depressivo nel corso della vita. Le statistiche informano, inoltre, che il genere incide sulla diffusione della malattia: le donne ne soffrirebbero maggiormente rispetto agli uomini. Altra discriminante, poi, è l’età: il mostro invisibile colpisce il 6.5% delle persone tra i 65 e i 75 anni e il 13.1% delle persone sopra i 75. Ciò non esclude che anche i più giovani possano essere travolti dal demone: non a caso, l’1.9% degli individui tra i 15 e i 34 anni ne ha avuto esperienza.
L’Italia, comunque, non è il Paese europeo con il più alto tasso di sintomi riconducibili a tale malattia: è l’Islanda, infatti, a essere la nazione in cui il disturbo affligge il più alto numero di soggetti, tanto che il 14.8% della popolazione è vittima di depressione cronica, seguita dall’Irlanda con un tasso del 12.1%, e il Portogallo con un’incidenza dell’11.95%. In media, nell’UE, il 29% della popolazione soffre di disturbi depressivi maggiori, mentre il 6.7% è affetto da almeno uno più lieve.
Se nell’Ottocento a definirsi mal du siècle era l’ennui, dunque, oggigiorno lo è certamente quel mostro invisibile che pian piano incatena le persone a un letto, che impedisce loro di gioire e di cogliere qualsiasi spiraglio di luce nell’oscurità. Probabilmente, la verità è che se da un lato questo demone è il frutto di fattori fisici e mentali, dall’altro è generato dall’epoca in cui viviamo. Lo stato di precarietà nel quale la società odierna ci costringe con l’impossibilità di trovare lavoro e, di conseguenza, dell’andare avanti in maniera dignitosa contribuiscono sicuramente a far cadere in uno stato depressivo individui naturalmente predisposti, talvolta anche per motivi ereditari, alla malattia. A rincarare la dose, inoltre, l’uso ormai maniacale che si fa dei social.
Attraverso queste piattaforme, infatti, è possibile mostrare ogni aspetto della propria giornata, informando chiunque su cosa si fa a questa o a quell’ora della giornata. Se da un lato tale meccanismo può essere un modo per unire le persone, quindi, dall’altro è anche la fonte di una pressione sociale che afferma che l’unica vita degna di essere vissuta sia quella in cui si prende parti a eventi meritevoli di essere condivisi sul proprio account Instagram, Facebook o Twitter. Per di più, la tecnologia, se ha contribuito a connettere le persone costantemente, le ha in realtà portate anche a essere più sconnesse che mai da se stesse e da chi è al loro fianco, contribuendo a propagare un senso di solitudine che può dimostrarsi determinante nell’emergere dei disturbi.
Ciò che fa più paura della depressione, però, è che ancora oggi, soprattutto in Italia, c’è una stigmatizzazione nei confronti di tutte quelle malattie che non si manifestano apertamente e che non debilitano percettibilmente il corpo del malato: se non vuoi alzarti dal letto perché in quel momento la mente ti dice che qualsiasi tuo gesto è inutile, sei un perdente che non riesce ad affrontare gli imprevisti della vita e che non fa altro che piangersi addosso. Se, invece, sei a letto perché hai una gamba rotta, hai tutta la dignità di una persona in difficoltà. Chi soffre di tali disturbi, quindi, si sente talvolta obbligato a ignorare ciò che sta provando per non sentirsi additato come debole o pazzoide. Per queste ragioni, allora, evita spesso anche di richiedere l’aiuto che gli servirebbe contribuendo a rendere invisibile il mostro che lo sta logorando.