Mentre la nuova straordinaria ondata di contagi dovuti alla pandemia da Covid-19 monopolizzava tutti gli spazi di informazione dei giorni prenatalizi, l’emendamento governativo, tanto atteso da sindacati e lavoratori in termini di delocalizzazioni, è stato votato al Senato assumendo la forma dell’ennesima farsa. Il regalo richiesto da Confindustria è giunto puntuale, con il Premier Draghi di rosso vestito per l’occasione e l’elfo Giorgetti a confezionare l’ennesimo dono a discapito degli operai d’Italia.
Nessun pegno in caso di delocalizzazioni, nessuna restituzione di fondi pubblici incassati negli ultimi anni di produzione sul suolo italiano – come proposto dagli operai di GKN –, soltanto un aggravio del 50% per ciò che riguarda il ticket licenziamento dovuto agli operai degli stabilimenti con oltre 250 impiegati e l’obbligo di operare il bon ton in caso di benservito. Niente più e-mail o whatsapp per comunicare il licenziamento: vietato pugnalare alle spalle dunque, ma se il colpo è inferto al petto, nulla da eccepire, purché venga scagliato entro novanta giorni dal togli le tende.
Questo (riassunto) è il pacco arrivato a guastare le feste di lavoratori e sindacati il giorno successivo allo sciopero generale indetto da Cgil e Uil, con i voti favorevoli non solo del centrodestra, ma anche del PD – che farebbe bene a smetterla di rivolgersi alle parti sociali ogni volta che cerca di convincerle dell’ennesimo tentativo del centrosinistra di ricostruire la propria identità popolare – e del MoVimento 5 Stelle, dimostratosi ormai completamente a suo agio in quel sistema che prometteva di aprire come una scatoletta di tonno a suon di rottamazioni e vaffanculo.
È proprio al partito di Beppe Grillo che si rivolge la delusione più cocente delle parti impegnate nella trattativa risolta a favore dei padroni. Riavvolgere il nastro fino ai tempi dei vaffa, del no all’euro e all’Europa forse neanche ha più senso – nonostante quest’ultima assuma una parte fondamentale nella vicenda –, il MoVimento ha ormai sposato la linea europeista della parte democratica del Parlamento da tempo, tuttavia è difficile non tornare indietro solo di qualche anno e ripensare al Ministro Di Maio e alla sua trattativa con la Whirlpool di Napoli (andata fallita nonostante un roboante annuncio di successo), oppure al Senatore Mantero, ex grillino, ora sconfessato nonostante le sue proposte in linea con quanto il M5S affermava di voler tutelare.
Già, perché l’emendamento votato al Senato e sostenuto anche dai pentastellati non solo non scoraggia le delocalizzazioni – come si riprometteva in origine – ma addirittura non tiene minimamente conto di aziende come quella napoletana. Luigi Di Maio, memore del proprio insuccesso, avrebbe potuto quantomeno tutelare i lavoratori del quartiere Gianturco includendo industrie come la Whirlpool tra quelle che, secondo la norma, saranno costrette a pagare il doppio del ticket licenziamento ai lavoratori, una volta deciso di spostare oltre confine la produzione. Invece, impattando soltanto su realtà con oltre 250 dipendenti, le imprese come la GKN resteranno completamente all’asciutto.
Va detto, inoltre, che il Senatore Matteo Mantero (ora in Potere al Popolo) aveva provato a indicare una direzione dignitosa all’intero Parlamento e ai suoi ex colleghi, ma le sue proposte non hanno trovato il favore della maggioranza, nonostante fossero state stilate in collaborazione con i sindacati e gli operai di GKN, ossia le parti interessante dall’emendamento. Salta, così, la possibilità di sanzionare le imprese che stanno già licenziando – la norma approvata non avrà effetto su chi ha già avviato le procedure di licenziamento –, l’obbligo, da parte dell’azienda, di prevedere il mantenimento del tessuto produttivo e relativi livello occupazionali, e l’obbligo di fornire la situazione patrimoniale della società. Allo stesso modo, non sono state comminate le more richieste, pari alla restituzione dei fondi pubblici incassati nel corso degli ultimi cinque anni di produzione.
A rendere ancora più acuta la sensazione di impotenza di fronte al potere delle multinazionali è la politica promossa proprio in quel di Bruxelles che, di fatto, incentiva le delocalizzazioni e la concorrenza al ribasso, la libertà di movimento di capitali e merci verso quei paradisi fiscali che un’Unione equa e solidale verso tutti gli Stati che la compongono non dovrebbe assolutamente consentire, figuriamoci incoraggiare. Invece, il neoliberismo comunitario continua a mietere le sue vittime alla base della piramide sociale, ormai sempre più ampia, e trova i propri aguzzini nei leader democratici al vertice dei grandi Paesi, come Macron o lo stesso Mario Draghi.
Altro che nonno d’Italia, quello che tutti i giornali – uniti nell’evangelizzazione del Premier, imbavagliati dall’unità delle forze governative – insistono a dipingere come l’uomo che tutto può (dal guarirci dalla pandemia al salvarci dal pericolo della destra), altro non è che il garante dei grandi mercati, l’usciere alle porte di un’Europa libera e aperta ormai solo ai pacchi di Amazon.
Il Natale e le code per i tamponi distraggono, la crescita dei contagi spaventa. Intanto, il decreto anti-delocalizzazioni viene smontato dei suoi pezzi portanti, rimodellato come richiesto dal padrone che detta l’agenda, impacchettato a dovere e consegnato sotto a un albero che non fa più luce. I lavoratori, ancora una volta, sono lasciati al buio.