Sono molti i lavori – visivi, poetici, narrativi, filmici – in ordine al Covid, sicché i posteri definiranno questi tempi come era covidale. L’abbondanza di pubblicazioni obbedisce a un bisogno di solidarietà ma, in sottofondo, esorcistico e, talvolta, appare come l’occasione per esibirsi.
CovidNenia di Ariele D’Ambrosio (Diogene Edizioni, 2021), in tandem con l’artista Daniela Pergreffi, è una riflessione sul Covid sia interiore – infezione dell’ansia e necessità di rimodulare la vita se non proprio l’intero vissuto – che esteriore in quanto si osservano i comportamenti delle persone in varie situazioni. Si indaga, cioè, il campo delle rappresentazioni mentali, personali e pubbliche, durante la pandemia, generate da un sentimento che deriva da profondità arcaiche, da Fine del mondo (De Martino), e che origina un modo diverso, e sospettoso, di stare insieme a distanza, quella che nell’edilizia è codificata come di rispetto.
CovidNenia, altresì, segnala un modo di percepire il tempo dopo un evento catastrofico: la modificazione di uno stato di coscienza (Masullo) per cui, come intuisce Pergreffi, ognuno è un manichino nudo, quasi un automa, da vestire di nuovo e, anzi, da rivestire con abiti non ancora disegnati, basculante su una serie di altalene sospese, diretto verso un dove-quando, forse verso il futuro, forse verso il passato, forse nel quando di una dimensione onirica, di straniamento.
Lo stile è artetecato (irrequieto), ora culto ora popolare, con rime random o studiate: un sistema, in definitiva, che fa riferimento alle forme metriche della tradizione, nostra e di altri paesi, incluso il puro suono vocalico significante o il rap. Quale il risultato finale? Un lavoro perfetto per il teatro, con testi che, con adeguati arrangiamenti, vanno “eseguiti” più che letti: lirici, arringanti, smorfiosi, cabarettistici, logici, folli, conchiusi, aperti, evidenti, nascosti.
L’autore, che ha precedenti teatrali, è stato a lungo medico in prima linea all’ospedale Cardarelli di Napoli e, pertanto, è dotato di vari punti di vista. Il volume reca, per ogni testo, un recipe, una specie di bugiardino in cui, a piè pagina, viene riportata la struttura metrica della pozione di versi. Questo, da un lato; dall’altro, l’insistere sulla forma metrica appare come un bisogno di sicurezza, la “maschera” di un “codice” quando tutti i codici vengono infranti. Portare covidNenia con sé in autobus o nelle sale d’attesa o lungo le vie della città osservando l’atteggiamento purgatoriale delle neo pezzentelle che siamo diventati, ne fa un vademecum (del tipo voi siete qui, la situazione che state vivendo è questa).
CovidNenia implica la presenza-ascolto di una lunga nenia, dunque è un atto d’amore: non si può non vedere l’autore in corsia mentre “canta” o sussurra agli ammalati, mentre sospinge la barca del sonno e del respiro in affanno verso il mare aperto come remedium all’ansia del contagio. E ciò in una città, Napoli, che, per le pandemie, ha il volto pieno di cicatrici.
In altre epoche l’ingegnoso architetto Fuga elaborò un cimitero verticale, al Corso Malta, dove seppellire, uno sull’altro, i morti di colera numerando da 1 a 360 le fosse, più una per gli anni bisestili. Secondo il giorno in cui si moriva, si veniva seppelliti nella fossa corrispondente. Quanto sarebbero profonde oggi le fosse per le vittime del Covid? Le immaginiamo alzarsi e abbassarsi con il ritmo di un respiro tenace, in sintonia con il mare partenopeo.
D’Ambrosio canta talvolta come un pazzeriello, più spesso come il monaco de L’arpa birmana, chiudendo i suoi repentini taciuti (spazi bianchi) in un’armilla, un souvenir di vetro in cui, mentre ci si dondola in squilibrio come i personaggi di Pergreffi, cadono fiocchi di ricordi come neve.
Questo autore da molto tempo si dedica ad approfondire l’oralità; negli ultimi anni ha elaborato in versi la serie numerica di Fibonacci creando i fibosonetti e si ha il sospetto che covidNenia nasconda, nello squarquoio tipografico, una serie numerologica e segreta (forse quella del lotto?).
