Hai notato che l’uomo nero
Spesso ha un debole per i cani
Pubblica foto coi suoi bambini
Vestito in abiti militari
Hai notato che spesso dice
Che noi siamo troppo buoni
E che a esser tolleranti poi
Si passa per coglioni
Eccoli qua, finalmente. Puntuali come il cambio della guardia a Buckingham Palace. Adesso che il Capitano, come lo chiamano loro, ha chiuso i porti d’Italia, possono mostrarsi in tutta la pochezza che li contraddistingue, fieri della loro disumanità. Sono gli italiani frustrati, quelli che la storia non ha saputo dimenticare, quelli che dal 4 marzo – ma, in realtà, già da un bel po’ di tempo addietro – stanno riversando sul web tutto ciò che prima non avevano osato confessare, aizzati dalle folle come toreri nel bel mezzo della corrida. Sono quelli che non provano vergogna alcuna, tanto privi si ritrovano di coscienza e umanità. Vomitano porcate, lasciano che il fegato abbia libero sfogo, #primagliitaliani, a morte tutti gli altri.
Hai notato che gli argomenti
Sono sempre più o meno quelli
Rubano, sporcano, puzzano e allora
Olio di ricino e manganelli
Hai notato che parla ancora
Di razza pura, di razza ariana
Ma poi spesso è un po’ meno ortodosso
Quando si tratta di una puttana
Sono (ahinoi) i connazionali che dinanzi a quasi settecento esseri umani – perché di questo si tratta –, respinti dapprima da casa loro, poi da Malta, poi dall’Italia, hanno trionfato nell’apprendere che il ministro dell’Interno, onorevole Matteo Salvini, in una nota condivisa con il pentastellato ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli, ha deciso di non accogliere i migranti, serrando le porte del Paese e infischiandosene di tutte quelle persone che sono rimaste per giorni – e, mentre scriviamo, ancora vi resistono – nel bel mezzo delle acque che bagnano le nostre coste, a bordo dell’Aquarius, la nave dell’ONG SOS Mediterranée che se n’è presa cura in attesa di qualcuno che volesse accoglierle. Al diavolo la Costituzione, al diavolo gli accordi internazionali, al diavolo la legge del mare, al diavolo l’umanità. L’importante è fare la voce grossa, l’importante è lanciare un nuovo hashtag alla moda.
E tu, tu che pensavi
Che fosse tutta acqua passata
Che questa tragica misera storia
Non si sarebbe più ripetuta
Tu che credevi nel progresso
E nei sorrisi di Mandela
Tu che pensavi che dopo l’inverno
sarebbe arrivata una primavera
E invece no
E invece no
Sia chiaro, che la questione immigrazione vada gestita è fuori di ogni discussione. Che l’Europa debba smettere di disinteressarsene pure, che chi lucra debba pagare – in galera, possibilmente – nemmeno a dirlo. Ma fare campagna elettorale a scapito di chi rischia la vita, proprio no. Non è un gioco che ci piace, non è un gioco al quale vogliamo stare. Non noi, almeno. Soprattutto, non con chi al Parlamento Europeo ha sostato per anni senza mai pretendere ascolto o avanzare proposte finalizzate alla risoluzione di quella che è a tutti gli effetti un’emergenza umanitaria. Non con chi parla di business e di migranti economici ma fonda tutta la propria politica su di essi lucrando e, quindi, traendone enorme vantaggio. Facendone un business, appunto.
Tuttavia, larga parte della popolazione di questo Bel Paese, a differenza nostra, è pronta a schierarsi a sua difesa, a difesa del partito che la prima schifezza in quanto a sbarchi sulle coste dello Stivale l’ha firmata tempo addietro per mano di Umberto Bossi e Gianfranco Fini. I commenti che si sono susseguiti e continuano a rincorrersi in rete sono da brividi, così pregni di odio che ci si chiede come la domenica le chiese italiane non patiscano la solitudine. Ben ammaestrati, infatti, i camerati leoni da tastiera stanno dando voce a sentimenti di intolleranza a lungo taciuti per salvaguardare, almeno apparentemente, la faccia di una nazione che non ha saputo e voluto espiare le colpe di un passato fin troppo recente per il quale continua a non provare abbastanza vergogna. Aiutiamoli a casa loro è ormai soltanto il vecchio ricordo di una premura male espressa.
Hai notato che l’uomo nero
spesso ha un debole per la casa
A casa nostra, a casa loro
Tutta una vita casa e lavoro
Ed è un maniaco della famiglia
Soprattutto quella cristiana
Per cui ama il prossimo tuo
Solo se carne di razza italiana
Basta collegarsi a un qualsiasi account di un social a caso, sia esso il profilo di un giornale, di un personaggio noto, di un politico o di un qualche nostro contatto sconosciuto ai più, per capire di cosa parliamo. La rabbia arriva forte come una tormenta, travolge, diventa difficile uscirne: gli immigrati si scoprono il male più grave, anzi l’unico, incurabile cancro che caratterizza una struttura societaria basata sul nulla più totale. La disoccupazione, la malavita, la micro e la macro criminalità, la corruzione, le morti sul lavoro, la precarietà, la violenza sulle donne, l’abbandono scolastico, la malasanità: tutto, tutto, tutto è da imputare a questi ragazzacci muscolosi che arrivano in Italia per alloggiare negli alberghi di lusso, a trentacinque euro al giorno in compagnia dell’ultimo modello di smartphone. Che poi non si sa perché non arrivino in aereo. Poco importa che negli hotel nessuno li abbia mai visti, che la questione soldi non sia proprio come ce la raccontano e che i guai in Italia ci fossero già da tempo immemore. L’unica cosa che conta è che quei seicento e oltre non siano arrivati perché Salvini ha fatto l’uomo. Finalmente. La pacchia è finita, ora stiamo bene, niente più buonismo comunista, niente più carità, niente più umanità, che l’Africa qua non ce la possiamo portare mica tutta.
Ed hai notato che l’uomo nero
Semina anche nel mio cervello
Quando piuttosto che aprire la porta
La chiudo a chiave col chiavistello
Quando ho temuto per la mia vita
Seduto su un autobus di Milano
Solo perché un ragazzino arabo
Si è messo a pregare dicendo il Corano
Ed è vero, eh, l’Africa qua non ce la possiamo portare tutta, anzi meglio che inizino a sfollare pure gli altri, che di uomini neri, in questo Paese, ce ne sono pure abbastanza e, adesso, iniziano a farsi riconoscere fieri. I social sono il loro nuovo ritrovo, la zona franca dove potersi prendere la libertà di scrivere ogni cosa, anche la più atroce, la più meschina, la più spaventosa. Sono lo spazio in cui sperare in navi che affondano, in bambini che non crescono per non diventare come quei grandi di cui avere paura e ribrezzo al tempo stesso. Sono la curva dove i tifosi si organizzano e provano i cori beceri mai sanzionati. Il luogo in cui la morte è solo una tendenza. Allora, ditemi, #chiudiamoiporti o #chiudiamoisocial?
E tu, tu che pensavi
Che fosse tutta acqua passata
Che questa tragica lurida storia
Non si sarebbe più ripetuta
Tu che credevi nel progresso
E nei sorrisi di Mandela
Tu che pensavi che dopo l’inverno
sarebbe arrivata la primavera
E invece no
E invece no
E io, io che pensavo
Che fosse tutto una passeggiata
Che bastasse cantare canzoni
Per dare al mondo una sistemata
Io che sorseggio l’ennesimo amaro
Seduto a un tavolo sui Navigli
Pensando in fondo va tutto bene
Mi basta solo non fare figli
E invece no
E invece no