La libertà personale è condizione di una vera parità e la parità è la sola leva che può far crescere la società in modo accettabile e sostenibile. Vi sono lezioni del passato su cui è opportuno meditare. Sessantuno anni fa, una legge dello Stato, promossa da una senatrice partigiana e costituente, dichiarò fuori legge lo sfruttamento della prostituzione. Dovette lottare in Parlamento e fuori contro pregiudizi e stereotipi inaccettabili duri a morire. Vi erano parlamentari che sostenevano che alcune donne nascessero prostitute e pertanto non sarebbero mai cambiate. Quella legge fu una tappa importante nel cammino di liberazione della donna. Oggi, quella senatrice, Lina Merlin, sarebbe in prima linea contro la tratta di questo nostro tempo.
Non ha usato mezzi termini il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Intervenuto al Quirinale lo scorso 8 marzo in occasione della Festa Internazionale della Donna, con la sua tradizionale ma autorevole pacatezza, il Capo dello Stato ha mandato un chiaro messaggio all’attuale esecutivo, in particolare alla compagine di matrice leghista: no alla riapertura delle case chiuse.
Le donne, italiane e di ogni parte del mondo, ci hanno insegnato molto, ha aggiunto Mattarella. Per questo bisogna andare coerentemente avanti, contro tutte le forme di sfruttamento e violenza nei confronti delle donne, in qualsiasi campo e settore della vita familiare e sociale. Superare gli squilibri e le condizioni di sfruttamento, liberare la società da barriere e pregiudizi, fermare le violenze sulle donne sono la premessa per progettare insieme un mondo più giusto di donne e di uomini liberi.
Non la pensano così, invece, Matteo Salvini e gli altri camerati – si ringrazia il Maestro Andrea Camilleri per l’assist – che, con occhio sempre rivolto al passato, hanno riportato al centro del dibattito politico il tema della prostituzione. Da quando il Carroccio è tornato al governo, infatti, stavolta pubblicamente emancipatosi dall’ombra di Silvio, se n’è spesso discusso, ovviamente non senza scatenare polemiche. In particolare, a suscitare reazioni contrastanti è la messa in discussione della Legge Merlin che nel 1958 impose la chiusura delle cosiddette case di tolleranza e introdusse i reati di sfruttamento, induzione e favoreggiamento della prostituzione. Una messa in discussione avanzata già qualche anno fa, quando la Lega raccolse le firme utili a presentare un referendum popolare che potesse abrogare la norma, adesso libera di essere portata avanti.
E, infatti, per mano di Gianfranco Rufa, senatore e segretario della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, il 7 febbraio scorso è stato presentato a Palazzo Madama un disegno di legge che mira alla liberalizzazione del fenomeno di compravendita del piacere e a combattere l’esercizio della professione secondo le modalità vigenti, dunque vietandone la pratica nei luoghi pubblici. Un ddl che, di fatto, invaliderebbe i primi due articoli della Legge 20 febbraio 1958 n. 75, riaprendo le porte delle abitazioni private, quindi delle case chiuse. «È un gesto di civiltà nei confronti delle prostitute che si trovano per strada – ha dichiarato il leghista ai colleghi dell’Adnkronos – per il decoro e l’immagine delle stesse strade. È l’ennesima volta che presentiamo questa legge: questo significa che ci crediamo».
La proposta prevede anche l’introduzione di un registro ufficiale dei professionisti del sesso, un elenco il cui obiettivo è garantire tanto i clienti che coloro che, in questo modo, svolgerebbero la professione in maniera sicura, secondo le norme. Stando al testo, infatti, chiunque eserciti la prostituzione è tenuto a sottoporsi ad accertamenti sanitari ogni sei mesi, a esibire, su richiesta dell’autorità sanitaria o di polizia, l’ultima certificazione ottenuta e, se necessario, a interrompere l’esercizio nell’ipotesi di accertamento positivo di patologie a trasmissione sessuale. Un vero e proprio albo al quale iscriversi per dichiarare allo Stato e all’Agenzia delle Entrate la personale condizione lavorativa. Ma la mercificazione del corpo può considerarsi tale? È un lavoro vendere piacere? L’intera discussione, da sempre, ruota rigorosamente intorno a questo punto, con molti detrattori della Legge Merlin che si rifanno alla Costituzione, più precisamente alla libertà sessuale da essa sancita. Giustappunto quanto successo nei giorni scorsi, quando la Corte Costituzionale ha dovuto esprimersi in merito – a tutela della norma – dopo le questioni sollevate dalla Corte d’Appello di Bari con riferimento all’attività di prostituzione liberamente e consapevolmente esercitata dalle escort nell’ambito del processo che vede coinvolti Gianpaolo Tarantini e Massimiliano Verdoscia, entrambi accusati di aver presentato le Olgettine all’ex Premier Silvio Berlusconi.
Nella riflessione sul provvedimento avanzato da Rufa, inoltre, da non sottovalutare è la volontà di normare un fenomeno che, se effettivamente regolarizzato, porterebbe allo Stato introiti cospicui attualmente evasi. Basti pensare che, secondo uno studio pubblicato nel 2018 dalla CGIA di Mestre, l’Associazione Artigiani Piccole Imprese, gli italiani spenderebbero in media circa 19 miliardi di euro all’anno in attività illegali da intendersi, secondo definizione dell’ISTAT, come tutte quelle transizioni illecite in cui c’è un accordo volontario tra le parti. Nello specifico, 14.3 miliardi in sostanze stupefacenti, 4 in servizi di prostituzione e 600 milioni in sigarette di contrabbando. Cifre che comunque restano piuttosto aleatorie poiché aleatorio è il totale di chi vende e di chi compra reati.
Un aspetto di certo ben analizzato dal Carroccio, che adesso più che mai punta i piedi sull’argomento, tanto a livello nazionale quanto a livello locale. Anche in Veneto, infatti – ironia della sorte, terra natia di Lina Merlin –, è stato presentato un progetto di legge simile a quello statale a firma del Consigliere Regionale Antonio Guadagnini (Siamo Veneto). Il pdl intende regolamentare l’offerta di prestazioni sessuali a scopo di lucro, con obbligo di regolare fattura, di riserbo sull’identità dei clienti e di costanti accertamenti di idoneità sanitaria, nonché la possibilità di esercitare anche in forme associate ma senza turbare la quiete, la sicurezza, e l’ordine pubblico. In aggiunta, i quindici articoli del testo, spiega il firmatario, prevedono anche delle modifiche al codice penale inasprendo le norme esistenti, tra cui l’ergastolo, per chi sfrutta la prostituzione minorile con multe fino a 500mila euro e 15 anni di reclusione e fino a 100mila euro di multa per chi istiga e costringe alla prostituzione.
A fare eco ai suoi adepti, ovviamente, anche il Vicepremier Salvini, dichiaratosi più volte favorevole alla riapertura delle case chiuse – significherebbe togliere alle mafie, alle strade e al degrado questo business –, ma contrario alla legalizzazione delle droghe leggere perché, a suo dire, l’amore fa bene, drogarsi no. Peccato che un corpo venduto e comprato sappia più di necessità che di sentimento. La prostituzione, inoltre, al pari della droga è un sistema d’affari perfetto per le organizzazioni criminali che nell’illegalità incassano e muovono soldi da investire, poi, in altre attività. Ecco che allora il discorso leghista, se sviscerato in quest’ottica, risulta lacunoso e poco credibile.
Anche l’operazione matematica prostituzione più casa di tolleranza uguale meno mafia appare un sillogismo alquanto riduttivo. Laddove si parla di criminalità organizzata, infatti, non si può non riflettere sulla condizione di schiavitù a cui sono costretti le donne e gli uomini trasformati in merce di scambio. In Italia, ad esempio, la compagine femminile che si prostituisce supera più delle 70mila unità, con una percentuale elevatissima di migranti o di poverissime che, illuse dalla promessa di un futuro diverso e di un lavoro dignitoso, ormai proprietà dei papponi, di chi le mette in strada, si ritrovano in una condizione dalla quale non riescono mai o quasi mai a riscattarsi da vive. Non diversa è la situazione degli uomini. Individui che, per la maggiore, sono spesso sprovvisti di documenti o di regolari permessi. Dunque, partendo dal presupposto che la legge vieta già lo sfruttamento, il favoreggiamento e l’induzione alla prostituzione, cosa cambierebbe con la reintroduzione delle case chiuse? Le camorre si metterebbero in regola o continuerebbero a sfruttare giovani da ogni parte del mondo, trasformati in macchine da sesso a basso costo pur di non morire? E chi di loro si ribellerebbe a un padrone che ne tiene il filo della vita tra le mani? In fondo, i clan si muovono nell’illegalità da sempre.
A conti fatti, allora, la proposta della Lega sembra rivolgersi a chi già sbarca il lunario offrendo il proprio corpo volontariamente. Una categoria che, tuttavia, sebbene ci sia molta confusione in merito e in tanti non lo sappiano, è riconosciuta dall’ordinamento giuridico. La Merlin, infatti, così come nessuna norma successiva, non vieta la libera e consapevole mercificazione di sé. Addirittura, stando alla legge n. 537 del 1993 che si occupa di finanza pubblica, alle accompagnatrici spetta il pagamento delle tasse poiché la loro professione è ufficialmente riconosciuta, alla voce altri servizi alla persona, nell’elenco degli impieghi soggetti a imposizione del codice Ateco (classificazione delle attività economiche).Basterebbero, dunque, partita IVA e ricevute fiscali. Ma perché, nei fatti, lo Stato consente l’evasione? E perché il Carroccio non avanza un inasprimento dei controlli e delle pene? Forse, come suggerito da Laura Boldrini, sostenere la riapertura delle case chiuse è un’arma di distrazione di massa, l’ennesima bufera politica, un altro boato difficile da ignorare. Forse, come rimarcato ancora dall’ex Presidente della Camera, poiché in Italia solo il 49% delle donne lavora e le nostre figlie fanno fatica a trovare un’occupazione pur studiando e facendo grossi sacrifici, l’esecutivo pensa – e spera – di fare cassa sul corpo delle donne.
A non cambiare le cose, per il momento, è il contratto di governo, quell’inciucio firmato dalla Lega e dal MoVimento 5 Stelle, che non prevede l’abrogazione o la modifica della Legge Merlin. Un’ipotesi che, tuttavia, gli stessi pentastellati formularono già nel 2016 sulla loro piattaforma, e che oggi stanno rivalutando pur, come sempre, con molte spaccature interne. La prostituzione non può essere utilizzata come uno slogan politico, è tema drammatico che necessita di rispetto, cautela e approfondimento, sostengono tanti grillini.
Ancora una volta, però, a essere trascurate e mai interrogate risultano le vittime di questo fenomeno che non è il mestiere più antico del mondo, ma la forma di asservimento più annosa, una sospensione di dignità che vede l’uomo farsi materia e denaro, schiavo e schiavista, venditore, merce e cliente. Nessun rispetto, nessuna tutela, nessun approfondimento. Solo gambe senza volto, piacere senza nome. Lucciole, squillo, prostitute, escort, gigolò, accompagnatrici. Soldi per le mafie e soldi per lo Stato. Corpi, niente di più. Porti aperti chiusi e case chiuse aperte. È l’Italia che va a puttane.