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Bisogna sconfiggere, insieme, l’indifferenza a questo stato di cose

Samuele Ciambriello di Samuele Ciambriello
18 Gennaio 2019
in L'opinione
Tempo di lettura: 2 minuti
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Le galere servono a togliere la libertà, non la vita. Si torna, periodicamente, a trattare questo argomento. Di poche ore fa è la notizia della morte di un uomo di 54 anni nel carcere di Fuorni, un detenuto malato, tossicodipendente e costretto alla sedia a rotelle. Le cifre sono allarmanti: lo scorso anno, all’interno degli istituti penitenziari campani, si sono registrati 9 suicidi, a cui vanno drammaticamente ad aggiungersi quelli di 3 di detenuti agli arresti domiciliari, 8 morti per malattie e 5 decessi di cui ancora bisogna accertare cause o eventuali negligenze.

Il carcere in cui è avvenuto il maggior numero di suicidi è stato quello di Poggioreale (5 morti), uno ciascuno a Carinola, Secondigliano, Santa Maria Capua Vetere e Salerno (una donna). Non voglio limitarmi, però, a snocciolare soltanto numeri, anche se, su 67 suicidi totali in Italia, la nostra regione vanta un buon primato negativo.

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La Campania conta in totale 7.660 detenuti, su una capienza massima di 6142 posti, con 380 donne e 1008 immigrati. Tra le cause principali dell’alto tasso di questi tragici episodi vi sono il degrado e il sovraffollamento, ma anche la mancanza di comunicazione, di ascolto e di figure sociali di riferimento. Va rafforzato, a tal proposito, il sistema di prevenzione varato dal Ministero nel 2016 e, contestualmente, bisogna agire con una maggiore formazione specifica per gli agenti di polizia penitenziaria e l’area educativa, al fine di prevenire e intuire il disagio che poi porta al suicidio. È necessario, inoltre, il supporto di figure come psicologi e assistenti sociali, nonostante la cronaca recente abbia dimostrato – con i 140 suicidi sventati dalla polizia penitenziaria o dai compagni di cella negli ultimi due anni – che la solidarietà, tra le mura degli istituti, c’è e che il carcere sa essere meno Caino della società esterna.

L’assistenza sanitaria in alcuni casi è disastrata, va rafforzata la presenza degli educatori nei reparti e nelle sezioni. Per questo chiedo a tutti, ognuno per la sua parte, di assumersi l’impegno di riflettere e intervenire. Dal mio canto, rafforzerò gli uffici del Garante con esperienze di ascolto e sportelli informativi. Bisogna sconfiggere, insieme, l’indifferenza a questo stato di cose, coinvolgendo istituzioni e parti sociali.

Il tema della prevenzione non può essere ristretto alla riflessione e alla responsabilità solo di chi si trova a gestire in carcere, ma richiama all’impegno il mondo della cultura, dell’informazione e dell’amministrazione centrale e locale, perché la perdita di giovani vite – a un ritmo più che settimanale – sia assunta nella sua drammaticità come tema di effettiva elaborazione di una diversa attenzione alle marginalità individuali e sociali che la nostra attuale organizzazione sociale produce.

I principi di certezza della pena e della sua funzione rieducativa possono considerarsi davvero effettivi solo se per le pene detentive nelle carceri – ma lo stesso vale per le misure cautelari – sono garantite condizioni di dignità e umanità, principi costituzionali imprescindibili.

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