Nell’immaginario italiano, la Somalia è il vago ricordo dell’omicidio – mai chiarito – di Ilaria Alpi, ma dimentichiamo che è, anche, il Paese della Folgore, degli stupri, delle torture fotografate eppure rinnegate. È il Paese che, ancora oggi, muore per uno stupido raffreddore, dove una mamma deve scegliere se e quali figli sacrificare o vederli morire tra le proprie braccia perché non hanno di che mangiare. È il Paese delle mutilazioni genitali femminili (ne detiene il record mondiale), della crisi umanitaria, ambientale e politica che si mischia al disinteresse del mondo cosiddetto civilizzato.
Ancora oggi, la Somalia è una delle zone più colpite dalla siccità. Nessuno sembra accorgersene, ma proprio in queste settimane, nel Corno d’Africa, sedici milioni di persone stanno affrontando la quinta stagione delle piogge che fallisce. Muoiono gli animali, la terra si inaridisce, muoiono uomini, donne e bambini. Giovani e anziani, passato, presente e futuro. Muoiono di sete. Muoiono di fame. Muoiono perché il mondo immaginato da John Lennon è ancora, e resterà, il motivetto di qualche pacifista.
Soltanto negli ultimi mesi, un milione di somali è stato costretto a lasciare le zone rurali. Tantissimi sono quelli ancora in viaggio. Camminano per giorni, a volte per intere settimane, camminano per avvicinarsi alla città, lì dove improvvisano gli accampamenti, si riuniscono, costruiscono campi di legno e terra, tende arrangiate. Erano pastori e hanno perso tutto. Erano pastori e adesso non sono più. Hanno fame e paura. Chi arriva a destinazione è malato, a volte sopravvive ai propri figli, altre li condanna a morte. Le donne, denutrite, non producono latte. Senza latte, i più piccoli non arrivano all’indomani. Persino la più banale delle influenze può rivelarsi fatale.
Ascoltare la Somalia è, dunque, innanzitutto un dovere morale, il primo per impedire che finisca nel dimenticatoio, che la fame diventi normale, che lo siano le guerre e la siccità, che un bambino – che potremmo salvare con pochissimi centesimi – muoia perché non ha diritto alla vita. Impedire che una madre debba scegliere tra i suoi figli, vederli consumarsi tra le sue braccia, che debba dannarsi per sempre. Ascoltare la Somalia e farle da megafono, portare la sua storia nelle nostre. Perché è stata proprio la nostra, con la S maiuscola, a riscrivere e condannare la gente somala e ancora non abbiamo chiesto scusa.
Se solo provassimo ad ascoltarlo, questo Paese, diventeremmo persone migliori. E forse, solo allora, al di là della nostra indifferenza occidentale, ci accorgeremmo che c’è dell’altro. E tanto a unirci. Non solo perché l’abbiamo colonizzato, vandalizzato, violentato. Ma, anche, per le tradizioni familiari, per le donne riunite in cucina a tramandarsi ricette, per la loro capacità di sopportazione e rivoluzione che smuove il mondo, per le storie che si tramandano di generazione in generazione e oggi rischiano di andare perdute.
Una di queste, una storia nella Storia, è quella di Shugri Said Salh: una vicenda piena di tenerezza, amore, resilienza, riscatto, del legame indissolubile che ci lega alle nostre ayeyoo, le nonne, capaci come nessuno di insegnarci come stare al mondo. A raccontarla è proprio lei, Shugri Said Salh, nel suo romanzo d’esordio. L’ultima nomade (Mar dei Sargassi Edizioni) copre la distanza tra due continenti e un arco temporale di circa quarant’anni: dall’infanzia e l’adolescenza in Somalia, la sua terra natia, alla travagliata fuga dal Paese in seguito allo scoppio della guerra civile sul finire degli anni Ottanta, fino all’arrivo in Nord America con un visto da rifugiata.
In una società basata su un rigido sistema di clan patrilineare e in cui troppe figlie femmine sono quasi considerate un fardello, a soli sei anni Shugri viene affidata all’amatissima nonna materna nomade, la quale le infonde un’incancellabile resilienza nel periodo di quotidianità condivisa nel deserto somalo. Ultima del suo albero genealogico a confrontarsi con tale stile di vita un tempo comune, Shugri si ritrova a inseguire facoceri, scalare termitai e pascolare capre, in costante movimento con i parenti del suo clan, alla ricerca di acqua e bestiame.
Il deserto somalo rappresenta quindi una cornice spazio-temporale di esistenza e formazione a cui l’autrice guarda tutt’oggi con nostalgia dalla prospettiva della sua attuale vita suburbana in California. Ciò non negando la cruda asperità dell’esistenza nomade né evitando di criticare gli aspetti tradizionali più problematici di una cultura (quella somala pre-guerra civile) di cui Salh tenta simultaneamente di celebrare la ricchezza, mantenere vivo il ricordo e promuovere la conoscenza.
È, infatti, con franchezza coinvolgente e un fiero femminismo che l’autrice narra dei tentativi di emanciparsi dai dettami patriarcali della propria cultura, della mutilazione genitale forzata, della perdita della madre e di un crescente desiderio di indipendenza. Diretta, poetica e spiritosa al contempo, Shugri Said Sahl attraverserà l’Italia per raccontare la storia della sua vita e quella della Somalia, oggi a un passo dalla carestia.
Gli appuntamenti sono:
– 27 gennaio, ore 18, presso la Libreria Malìa (via Vincenzo Gemito 89, Caserta), con Eliana Riva (editrice) e Gabriella Vitiello (attrice);
– 28 gennaio, ore 17, presso A’ Mbasciata (via Benedetto Croce 19, Napoli), con Angelica de Vito (delegata ONU) e Gennaro Marco Duello (Fanpage);
– 29 gennaio, ore 11, presso Mondadori Point (viale Melina 3, Portici), con Deborah D’Addetta (Critica Letteraria);
– 30 gennaio, ore 18, presso il Centro Giorgio la Pira (via Felice Terracciano 240, Pomigliano d’Arco), con Paquito Catanzaro (scrittore) e in collaborazione con la Libreria Wojtek;
– 31 gennaio, ore 18, presso la Libreria e Bistrot Annares (via Pietro Crespi 11, Milano), con Graziano Gala (scrittore);
– 1 febbraio, ore 18, presso La libreria del Golem (via Gioacchino Rossini 21c, Torino), con Sara Benedetti (scrittrice);
– 2 febbraio, ore 17, presso Scuola Holden (piazza Borgo Dora 49, Torino), con Sara Benedetti e Collettivo Sciamu;
– 2 febbraio, ore 19, presso la Libreria Trebisonda (via Sant’Anselmo 22, Torino), con Suad Omar (attivista e referente ADASS) e l’Associazione Renken Onlus;
– 3 febbraio, ore 18, presso la Libreria Errante (ex Todomodo, via Bellagra 46, Roma), con Azzurra Rinaldi (docente di Gender Economics);
– 4 febbraio, ore 18, presso la Libreria GRIOT (via Santa Cecilia 1a, Roma), con Claudia Putzu (Latimoamericapop).
Ascoltiamo Shugri Said Salh. Ascoltiamo la Somalia.