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Il diritto all’aborto è davvero in pericolo?

Chiara Barbati di Chiara Barbati
5 Ottobre 2022
in Attualità
Tempo di lettura: 5 minuti
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Di tutte le conquiste che sentiamo barcollare da quando il centrodestra è risultato il favorito alle elezioni, sembra che il diritto all’aborto sia più in pericolo più di tutti. In effetti, il tema dell’interruzione volontaria di gravidanza è stato uno dei più discussi durante l’intera campagna elettorale, sul quale la stessa Giorgia Meloni è stata interpellata più volte. Le sue rassicurazioni in merito all’assoluta assenza di intenzione di eliminare la Legge 194, seguite da una serie di dichiarazioni decisamente poco chiare, non ha però calmato gli animi dei tanti – e delle tante – che vedono una minaccia per l’autodeterminazione delle donne all’orizzonte.

La strategia politica e comunicativa della leader di Fratelli d’Italia in merito è stata questa: dire le cose in maniera talmente confusa e contorta da mistificare tutte le dichiarazioni fasciste o, per lo meno, estremamente conservative che ha fatto in questi mesi. Non è mai stata affermata la volontà di negare l’interruzione volontaria di gravidanza, di impedirla, mettendo così in pericolo il diritto all’aborto. Anzi, è stato esplicitamente sostenuto proprio il contrario, sebbene poi tutte le rassicurazioni siano state smentite da dichiarazioni implicite come la volontà di permettere alle donne di scegliere di non abortire.

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Se un leader politico ci promette, in vista delle elezioni, diritti che in effetti abbiamo già, e poi malauguratamente quel leader vince e diventa – quasi – il nuovo Presidente del Consiglio, c’è decisamente da temere. Non perché sia inesperto o ingenuo e dunque non in grado di guidare un Paese, ma perché è così bravo da negare i diritti senza farlo dichiaratamente o esplicitamente.

Il motivo per cui una fetta di opinione pubblica si è tanto concentrata sul presunto pericolo che corre il diritto all’aborto dipende dal fatto che esso sia diventato, nel corso degli ultimi anni, la più emblematica rappresentazione della facilità con cui si può negare l’autodeterminazione femminile e si possono incastrare le donne in una società in cui, pur non avendone, non c’è la necessità di cancellare formalmente i diritti.

L’interruzione volontaria di gravidanza non è solo fondamentale per la parità di genere, perché permette alle donne di liberarsi del controllo del corpo da parte della società e del ruolo di madre imposto come unico possibile scegliendo per se stesse se e quando esserlo. Essa è il baluardo di una società oppressiva e patriarcale che un modo per negare i diritti alle donne lo trova anche quando, sulla carta, nella Costituzione e nei trattati internazionali, essi sono teoricamente riconosciuti.

In Italia, il diritto all’aborto non è garantito dalla legge. Esiste una legge che lo tutela, ma è chiaro ormai da un po’ che la 194 non basta. Non tutte le donne dello Stivale hanno accesso all’IVG allo stesso modo. E il problema non è solo l’obiezione di coscienza. Essa è in effetti uno dei problemi maggiori, che rendono alcune zone prive di luoghi in cui poter accedere all’aborto in modo sicuro. Ciò significa che solo le donne con disponibilità economica e indipendenza possono decidere di spostarsi alla ricerca di una struttura e di un professionista che permetta di usufruire di un diritto che dovrebbe essere garantito ovunque e a chiunque. Ma c’è di più.

Nelle Marche, regione governata da Fratelli d’Italia – guarda un po’ –, l’interruzione volontaria di gravidanza è costantemente ostacolata in moltissimi modi. L’aborto farmacologico, per esempio, non è permesso nei consultori e senza ricovero, come in realtà prevedrebbero le indicazioni nazionali. In Umbria, invece, la somministrazione della pillola abortiva RU486, che nel resto d’Italia implica un day hospital e una procedura poco invasiva, richiede tre giorni di ricovero. Che non sembri eccesso di prudenza: è solo un modo perfettamente legale per impedire un diritto garantito dalla legge attraverso la giustificazione della salute.

Queste pratiche problematiche hanno inevitabilmente risvolti anche sulla costruzione stessa della società. La presenza di associazioni pro vita nei consultori, la narrazione tragica e spaventosa dell’aborto, il suo impedimento costante non fanno che renderlo ancora più immorale agli occhi della società, che inevitabilmente ne renderà ancora più difficile l’accesso attraverso il giudizio morale. Insomma, quello che la destra ha fatto nel corso degli ultimi anni, e che senza dubbio continuerà a fare adesso che al suo apice risiede una leader conservatrice e fascista, è stato negare i diritti delle donne senza cancellare le leggi che dovrebbero tutelarli.

Non è passato neanche un giorno dalle elezioni e già all’indomani del 25 settembre le forze vincitrici delle elezioni hanno dimostrato che ogni timore, ogni sospetto, ogni preoccupazione relativa alla sicurezza del diritto all’aborto era fondata. Meloni, Salvini e Berlusconi hanno dichiarato il loro appoggio alla Carta dei Principi redatta da Pro Vita e Famiglia in Liguria, ideata proprio in occasione delle elezioni.

Con parole che non lasciano spazio ai dubbi, con giudizi morali sulle vite privati dei cittadini e con poche frasi rapprese di odio e ostinazione, il centrodestra – e chiamarlo centro diventa sempre più ridicolo – ha di fatto accordato il suo impegno a tutelare l’obiezione di coscienza, sostenere unicamente le famiglie formate da un uomo e una donna, ovviamente legate all’interno del matrimonio, e di contrastare tutto ciò che in qualche modo tutela l’autodeterminazione femminile, l’identità sessuale o la fluidità di genere. Niente di nuovo, in effetti, dato che la maggior parte delle dichiarazioni sostenute dalla Carta era già presente nei programmi elettorali di questi partiti.

Allora, mentre il 28 settembre le piazze si riempivano di persone pronte a difendere il diritto all’aborto sicuro e le proteste per quello che già accade e che presto peggiorerà, gli esponenti più in vista del prossimo governo firmavano per la condanna a morte dei diritti delle donne, che non saranno più tutelate dalla legge nel loro faticosissimo e ostacolatissimo esercizio di autodeterminazione.

In un Paese in cui sette ginecologi su dieci sono obiettori di coscienza, in cui i consultori pubblici sono il covo delle associazioni pro-vita che tentano il lavaggio del cervello alle donne che intendono abortire, in cui si dà sostegno a un dittatore straniero che opprime la libertà delle persone, non dovrebbe far altro che spaventare che, una a una, si renderanno le regioni, e infine l’Italia, luoghi inospitali per le donne che richiedono diritti, libertà e autodeterminazione.

Nessuno cancellerà la Legge 194. A quel tentativo di abrogarla con un fallimentare referendum, roba vecchia che non ha mai funzionato, si sostituisce qualcosa di molto più efficace. Ostacolarne l’applicazione, rendere la moralità la nuova legge, impedire la scelta, ecco, questo funzionerà. Sta già funzionando, lo stanno già facendo. La negazione dei diritti alle donne è già in corso da un pezzo. Non ha senso chiedersi se il diritto all’aborto sia davvero in pericolo. La risposta mi sembra inequivocabile.

Prec.

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