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Valogno: il borgo dove l’arte sconfigge il grigio

Benedetta De Rosa di Benedetta De Rosa
9 Novembre 2021
in Viaggi
Tempo di lettura: 4 minuti
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Arrivare a Valogno in un pomeriggio d’autunno è come fare un salto nel tempo: in questa piccola frazione del Comune di Sessa Aurunca, l’ultimo della Campania al confine con la regione Lazio, da cui è separato geograficamente grazie al fiume Garigliano, lontani dall’aria pesante di città si riesce a respirare a pieni polmoni, percependo più nitidamente odori che nel quotidiano perderemmo tra i gas di scarico. Come il profumo di caldarroste, le famose castagne di Roccamonfina, cittadina a duecento metri più a nord, in quello che un tempo era un antico cratere vulcanico e che ora ospita il Parco Regionale di Roccamonfina e della Foce del Garigliano, l’olezzo di frittata di cipolle e di minestra proveniente dalle case del paesino, quasi tutte con le porte aperte, cosa così insolita per chi non abita in un piccolo centro,  o, tra tutti, l’odore dolciastro tipico del mosto in fermentazione, che scandisce l’attesa silenziosa dei frutti dell’ultima vendemmia, vista da sempre come rito di passaggio dalla stagione delle attività all’aperto a quella del lavoro in casa, volto a conservare ciò che si è raccolto. Soprattutto in passato, durante quei giorni era tradizione che tutte le attività familiari si interrompessero, intervallando il lavoro di pigiatura a banchetti a base di carne, cibo costoso non destinato al consumo giornaliero, con la partecipazione attiva di tutta la comunità in un rapporto di mutuo aiuto una famiglia con l’altra.

Sarebbe bello poter tornare indietro nel tempo e osservare da vicino queste giornate festose che sancivano l’inizio dell’autunno e quindi di nuovi ritmi naturali. Ovviamente non si può, ma a Valogno, che non è un luogo come altri, i muri possono aiutarci a lavorare di fantasia. Perché qui i muri parlano: se fosse una favola diremmo che tanto tempo fa, in un paese dove la gente andava via, venne una fata che incominciò a colorare le mura grigie delle case disabitate, riportando l’allegria perduta. Nella realtà, non è andata proprio così ma in un modo abbastanza somigliante, almeno un po’: nella nostra storia contemporanea diremmo che la trasformazione di questo piccolo borgo semidisabitato riguarda in prima persona una famiglia di Roma, composta da Dora Mesolella e Giovanni Casale con i loro tre figli, i quali dopo aver deciso di invertire la rotta, abbandonando un lavoro stabile (lei impiegata nelle risorse umane in una grande azienda di telefonia, lui psicologo) e tornando alla terra dei propri genitori, si sono stabiliti in una torre di avvistamento di origine medievale riadattata a casa contadina.

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Il paese, una piccola frazione con meno di cento anime, senza alcun servizio se non un piccolo tabacchi nella piazzetta principale, aveva una caratteristica comune alquanto discutibile: in seguito a dei restauri, soprattutto dopo il terremoto del 1980, le facciate degli edifici erano state ricoperte di cemento, delle colate grigie gettate selvaggiamente non solo sul manto stradale, coprendo la pavimentazione originale, ma anche e soprattutto sulle pareti delle abitazioni, nascondendo mura di tufo con mattoni a vista. Era pratica comune quella della generazione dei figli dei contadini, ormai residenti altrove, di riadattare le case genitoriali con il cemento, quasi a nascondere lo stile rustico che rappresentava la semplicità delle proprie origini. Dal punto di vista estetico ciò ha imbruttito notevolmente il piccolo borgo tanto da spingere i coniugi a fare una chiamata alle armi di artisti per realizzare murales coorati, su ispirazione di altri piccoli centri come Diamante in Calabria o Dozza in Emilia Romagna.

Inizialmente autofinanziandosi, poi con la stesura di un progetto patrocinato dal Comune di Sessa Aurunca, in poco tempo la visionaria idea di risvegliare Valogno è diventata realtà: dovunque si vada è un tripudio di colori, le mura grigie sono scomparse quasi del tutto. I murales, realizzati da artisti locali e di fama nazionale, seguono principalmente due filoni: quello delle tradizioni, come la già citata vendemmia, la processione di San Michele, scene di lavoro artigiano, o le vicende del Risorgimento che hanno coinvolto in prima persona questa comunità poco distante da Teano, luogo del celebre incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II, e il filone favolistico-fantastico che punta per lo più a meravigliare il visitatore ritrovandosi di nuovo bambino, incantato davanti a scene di cieli stellati, elfi e paesaggi fantastici.

Un grande potenziale, forse ancora sottovalutato dalla comunità locale, nonostante il flusso di turisti in forte aumento: al di là di una pizzeria aperta da persone non originarie di Valogno, non ci sono altri punti di ristoro per chi viene in visita, anche se l’accoglienza di Dora e Giovanni con la loro casa-torretta dalla porta sempre aperta non ce ne fa nemmeno accorgere.

Pensa alla semina, non al raccolto: alla fine di questa passeggiata dai mille stimoli olfattivi e visivi leggiamo questo monito fuori un uscio mentre ci incamminiamo verso l’auto, e ci auguriamo che sia davvero così per questo borghetto, che la sua rivoluzione colorata cresca senza perdere il suo spirito iniziale. Del resto, i frutti, per chi ama e rispetta i processi naturali, per quanto lenti siano, arrivano sempre.

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