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Tutto cambia, e poi non cambia mai

Alessandro Campaiola di Alessandro Campaiola
6 Giugno 2021
in Il Fatto
Tempo di lettura: 3 minuti
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Diciamoci la verità: anche appena accennare un ghigno sul volto, inarcando le labbra, mentre si è intenti a proferire l’acida frase Te l’avevo detto!, provoca sempre un pizzico di elettricità nell’orgoglio di chi non aspettava altro che quel momento per gustarsi la propria vittoria.

Tuttavia, questa volta, avremmo preferito dichiararci felici e sconfitti, dare ragione a chi promulgava in ogni dove – come il più preciso e fedele degli uffici stampa della Casaleggio Associati – il verbo del MoVimento più chiacchierato d’Italia, i 5 Stelle.

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Purtroppo non sarà così, e le elezioni dei Presidenti di Camera e Senato, andate in scena sabato scorso nei palazzi di Montecitorio e Piazza Madama, hanno – finalmente – fatto cadere la maschera indossata da Di Maio e compagni per i lunghi anni di perpetua campagna elettorale che li hanno visti protagonisti a suon di Vaffanculo, Onestà e slogan di basso profilo nei confronti dei precedenti inquilini del Parlamento italiano, oltre che dei giornalisti non graditi al capitano Beppe Grillo.

Prende forma, di fatto, l’asse Lega-M5S, che ben hanno saputo interpretare il risultato delle urne, formando l’unica coalizione in grado di offrire un governo al Paese, cancellando, però, i principi che li hanno portati a garantirsi un tale plebiscito da parte dell’elettorato di casa nostra, ossia, diversità rispetto alle politiche tradizionali degli ultimi vent’anni e, soprattutto, il “no” alle alleanze, tema che entrambi avevano cavalcato per l’intera durata della scorsa legislatura, massacrando il PD renziano per l’accordo con il centrodestra prima di Berlusconi, poi del gruppo dei fuoriusciti Alfano e Verdini.

Il capolavoro grillino è, di fatto, riuscito – tramite un accordo che ha consegnato al napoletano Roberto Fico lo scranno più alto della Camera dei Deputati – dove l’Europa era intervenuta, nel 2011, a gamba tesa per scongiurarlo: l’affermazione di Silvio Berlusconi.

Con l’elezione della senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati di Forza Italia, quella meravigliosa favola della nuova politica raccontataci, fino alla nausea, dagli adepti del MoVimento, si è, dunque, tramutata in un’opera drammatica che non solo rafforza la linea di continuità con il fare successivo alla Prima Repubblica, ma addirittura ne mette in luce gli aspetti più bui, e il curriculum della Presidente ben lo fotografa.

Fedelissima dell’ex Cavaliere, tanto da gridare al golpe all’indomani della condanna che inibiva Berlusconi da qualunque carica pubblica, l’attuale seconda carica dello Stato ha già fatto parlare di sé per la figlia assunta al Ministero della Salute nel 2005, per la battaglia contro le unioni civili e la sua collaborazione a favore delle cosiddette leggi ad personam che favorirono indovinate chi?

«Che m’interessa». Non è riuscito a commentare altro, Alessandro Di Battista, poche ore dopo la proclamazione dei Presidenti, sfuggente come nel più classico video de Le Iene, inseguito, però, non dalle domande degli uomini in nero di Italia 1 ma dai microfoni notoriamente amici de Il Fatto Quotidiano. «È uno schiaffo a Renzusconi», ha solamente aggiunto. Il perché, però, evidentemente chiaro soltanto a lui e ai suoi, non è riuscito a spiegarlo.

In mancanza di un chiarimento rispetto a tale virata, un’idea proviamo a farcela noi, com’è d’obbligo per questo mestiere. Chissà, forse, almeno stavolta, il ghigno proprio del te l’avevo detto vestirà i loro volti oggi felici per il risultato raggiunto. Al momento, però, a noi resta solo la forza dell’immaginazione, l’onere dell’interpretazione: Stellusconi suona più figo!

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