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“The New Mestiza”: l’eterogeneità in un concetto

To live in the Borderlands means you

Are neither hispana india negra espanola

ni gabacha, eres mestiza, mulata, half-breed

caught in the crossfire between camps

while carrying all five races on your back

not knowing which side to turn to, run form. 

Vivere nelle terre di confine significa

che non sei ispanica, indiana, nera, spagnola

o francese, sei meticcia, sei mulatta, mezzosangue

coinvolta nello scontro tra i campi

mentre porti tutte e cinque le razze sulla tua schiena, 

senza sapere verso che lato rivolgerti o correre.

Gloria Evangelina Anzaldúa non si sente statunitense, tanto quanto non riesce a sentirsi ispanica. Sua madre Amalia García l’ha messa al mondo il 26 settembre 1942 a Harlingen (Texas), nella tenuta del marito Urbano Anzaldúa, figlio di un giudice della corte hidalga e discendente di famosi esploratori baschi arrivati in America nei primi anni del diciassettesimo secolo. Ha solo undici anni e vive ad Hargill, in Texas, quando inizia a sentire sulla propria pelle gli effetti della discriminazione razziale, che la colpisce nonostante sia necessario far ritorno alla sesta generazione per trovare traccia di caratteri creoli.

Gloria è di razza messico-americana. È una chicana, un individuo di razza ibrida, una mestiza.

Il marchio le brucia sulla pelle sin da quando, ancora alle prese con gli esami per la sua laurea magistrale in Inglese e Scienze dell’educazione, prende parte nella città texana di Austin alle attività politico-culturali di poeti e drammaturghi come Ricardo Sanchez e Hedwig Gorski. Dopo aver portato sulle spalle il peso di una situazione che le sembra una condanna, quest’ultima diventa per lei una battaglia personale che sfocia, nel 1987, nella pubblicazione di una delle sue opere più celebri, dal titolo Borderlands/La Frontera: The New Mestiza.

Con il termine borderlands, si intende l’area geografica al confine tra il Messico e gli Stati Uniti suscettibile a quella che l’autrice definisce mezcla, ibridità, ma soprattutto una frangia di persone incapaci di definirsi componente dell’una o dell’altra cultura e costrette, perciò, a vivere a cavallo tra due esperienze culturali che proiettano, inevitabilmente, le loro aspettative di comportamento su tali individui.

A guidarla nella stesura di questo volume in lingua inglese e spagnola, che raccoglie in sé elementi che ne impediscono una definitiva catalogazione, è il desiderio esplicitamente espresso di dimostrare quanto necessario sia per la letteratura chicana l’uso di entrambe le lingue, in quanto queste ultime fungono da esteriorizzazione di due identità che non si annullano a vicenda.

Nel lamentare il “terrorismo linguistico” di cui è stata vittima a causa del suo accento ispanico e l’atteggiamento di remissivo abbandono della loro lingua madre degli immigrati negli Stati Uniti da lei incontrati, l’autrice afferma la sua ferma convinzione che lingua e identità siano strettamente connesse e mostra con orgoglio la sua lingua mista, segno ai suoi occhi di forte attaccamento alla sua eredità culturale.

The New Mestiza non è una biografia, non è un memoir, non è un’antologia di storie, ma una creatura ibrida, come colei che l’ha scritto.

Seguendo Gloria Anzaldúa nel suo processo di scrittura, si ha modo di toccare con mano il sovvertimento dell’ideale letteratura “univoca”. A lei e alla sua opera, il mondo accademico statunitense deve l’introduzione del termine mestizaje, una concezione dell’identità che vada oltre il dualismo binario.

Al pari di autori come José David Saldívar, Néstor García Canclini o Walter D. Mignolo, Gloria Anzaldúa analizza l’immaginario interculturale delle zone di confine, a cavallo tra due culture incrociatesi al momento della divisione del suolo nordamericano da parte delle potenze europee. Con un’ottica focalizzata su una conoscenza che affonda le sue radici in luoghi impervi, l’autrice porta avanti una scrittura non contaminata dalle scorie di un potere coloniale ormai transculturalizzato e dal maschilismo che sente bruciarle sulla pelle.

Nell’opera dell’Anzaldúa si fa largo, sgomitando, l’epistemologia del mestizaje, questo new angles of vision tipico di un individuo conscio delle conflittualità interna di un’identità che si forma a scapito delle etichette.

Nel parlare di sé, l’autrice antepone al suo nome parole come chicana, tejana, working-class, dyke-feminist poet, writer theorist, ma le ragioni di cui si serve per giustificare tali scelte sono diverse da quelle adoperate dalla cultura dominante che fronteggia: The Chicana and lesbian and all the other persons in me – afferma l’autrice nella sua opera – don’t get erased, omitted, or killed (La chicana e la lesbica e tutte le altre persone in me non vengono cancellate, omesse o uccise).

Gloria Anzaldúa tenta di riscrivere le sorti di un gruppo di individui tre volte penalizzato, le donne di razza meticcia e dall’orientamento sessuale non tradizionale, al grido di culture is made by those in power-men. Males make the rules and laws; women transmit them (la cultura è fatta dagli uomini di potere. I maschi fanno le regole e le leggi; le donne li trasmettono).

Nell’identità della scrittrice, infatti, non convivono solo tracce di femminilità e mascolinità, in virtù del suo orientamento sessuale non eterodirezionale, ma anche differenti razze e culture, componenti essenziali della sua unicità.

Come mestiza, precisa nel settimo capitolo dell’opera, l’autrice non sente avere una patria, giacché ogni paese è potenzialmente suo e ogni donna che incontra è potenzialmente una sua sorella o una sua potenziale amante: There is the queer of me in all races (C’è la mia “stranezza” in tutte le razze), afferma con orgoglio.

Come femminista, è priva di cultura, perché in opposizione alle credenze di radice maschilista degli indoispanici e degli angli, che hanno impresso il loro marchio religioso e culturale ai saperi. Come creatrice di una nuova cultura, è portatrice di nuovi simboli e nuovi valori, in grado di resistere e conservare le variazioni specifiche di ogni sottocultura che abbraccia e di rispettarle. A rendere un popolo soggiogato, infatti, è l’ignoranza che ne inibisce la determinazione e ne aumenta la debolezza e la vacuità.

Un reticolo di confini – the psychological borderlands, the sexual borderlands and the spiritual borderlands (psicologici, sessuali e spirituali) – fitti di ambivalenze che l’autrice, con la scrittura, tenta di tramutare in qualcos’altro.

Il concetto di new mestiza cela in sé il concetto più profondo di una new higher consciousness, il cui obiettivo è quello di spezzare qualsiasi forma di dualismo binario, filoamericano o amerindo. Ciò che ne scaturisce, inevitabilmente, è una cartografia nuova di luoghi fisici ed emotivi: Gloria Anzalúa – venuta a mancare il 15 maggio 2004 – viveva tra due mondi ancestralmente differenti, ma non incongiungibili. Vien quasi da domandarsi se la scrittrice sia riuscita a farsi ponte, con la sua facultad, la capacità di reagire alla superficie dei fenomeni con analisi più complesse. Di una cosa era certa e con questa certezza morì: nessuna cultura dominante fu mai in grado di assimilarla nel mucchio incerto.

To survive in the Borderlands

you must live sin fronteras

be a crossroads.

Per sopravvivere nelle terre di confine

devi vivere senza frontiere

essere un bivio.

“The New Mestiza”: l’eterogeneità in un concetto
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