Non abbiamo molte certezze nella vita ma su una cosa alziamo le mani: la serie tv The Last of Us è senza dubbio la migliore trasposizione mai fatta di un videogioco. Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, The Last of Us è un action-adventure per PlayStation sviluppato dallo studio Naughty Dog nel 2013 e ritenuto oggi una sorta di masterpiece del genere da tutti gli estimatori di questo tipo di intrattenimento. Impossibile quantificare, difatti, l’emozione dei fan quando HBO ha annunciato che sarebbe diventato una serie tv.
Con la firma di Neil Druckmann, sceneggiatore nonché creatore del gioco, e Craig Mazin, regista il quale aveva già fatto faville con la miniserie Chernobyl, questo attesissimo adattamento televisivo si è concluso la settimana scorsa dopo un rilascio settimanale di nove episodi trasmessi in esclusiva su Sky e in streaming su Now. E dopo un episodio pilota che aveva semplicemente fatto accapponare la pelle.
La trama è nel complesso piuttosto semplice: in un futuro post-apocalittico, il mondo è spezzato dallo scoppio di una violenta pandemia da Cordyceps, fungo realmente esistente e in grado di soggiogare le proprie vittime, in questo caso gli esseri umani, trasformandoli in creature mostruose. Le zone di quarantena vengono sorvegliate dalla FEDRA, un’organizzazione militarizzata addetta al controllo delle ultime comunità umane ancora sane, mentre di contro si trovano le Luci, ribelli che tentano di sottrarre il potere all’esercito e gestire le aree di quarantena secondo i propri principi. È qui, in questa lotta alla sopravvivenza, che seguiamo le vicende di Joel, contrabbandiere incaricato dalla leader delle Luci Marlene di portare a “destinazione” Ellie, quattordici anni e una peculiarità che la rende estremamente preziosa.
Adattare televisivamente un videogioco non è certo impresa facile – lo testimoniano i numerosi buchi nell’acqua come Resident Evil o Street Fighter. Bisogna tener conto che ciò che funziona su carta o in un gioco non necessariamente funziona anche sul grande e piccolo schermo e cadere nelle trappole delle trasposizioni è un rischio piuttosto alto: troppo uguale è inutile ma troppo diversa fa chiedere allora perché farla? Serve una via di mezzo, quella che sono riusciti a trovare Druckmann e Mazin, dando letteralmente una svolta al modo in cui vengono trasposti i prodotti videoludici.
Gli showrunner sono rimasti fedeli all’opera originale, inserendo dettagli per arricchirla senza stravolgerla. In questo modo hanno permesso ai neofiti di conoscere una splendida storia e appagato e sorpreso i fan, ampliando certi eventi e caratterizzando personaggi che nel gioco erano solo accennati. Primi fra tutti Bill e Frank, ai quali è stato dedicato un intero episodio. E preparatevi, perché assisterete a una delle cose più belle, vere, toccanti, impeccabilmente messe in scena che abbiate mai visto nella vita.
Non troverete, inoltre, le spore, sostituite da filamenti sotterranei che permettono ai vari gruppi di infetti di comunicare tra loro anche a distanza di chilometri. Altra novità, i flashback. Proprio l’episodio pilota comincia con un talkshow di fine anni Sessanta, dove il conduttore è intento a intervistare due scienziati riguardo le possibili pandemie future. Il Cordyceps, ad esempio, è un fungo che attacca piccoli insetti prendendone il controllo, proliferando solo in organismi con una temperatura superiore ai 34°. Ma che succederebbe se, anche in vista dei cambiamenti climatici nel mondo, il fungo mutasse il proprio codice genetico e fosse in grado di infettare l’uomo? Qualcosa che terrorizza, considerata l’enorme attualità dell’argomento pandemia.
Per quanto The Last of Us sia splendida, però, non è esente da piccoli difetti. Salta all’occhio un livello un tantino più alto dei primi episodi rispetto alla parte finale, dove la fretta di concludere e la necessità di inserire tanti eventi in poco tempo si fanno sentire. Per i fan, nota dolente della serie è la scarsa presenza degli infetti. I creatori hanno però spiegato che la storia non voleva parlare dell’infezione, quello è solo un pretesto. Il fulcro di tutto sono le reazioni e relazioni umane che ne conseguono. Il maggior pericolo, viene detto nei dialoghi, non sono gli infetti ma le persone. Uomini contro uomini, un’umanità alla deriva che tira fuori il peggio di sé.
Se la polemica sugli infetti possiamo comprenderla, specie se mossa da videogiocatori abituati a orde di mostri da uccidere, assurdo pensare al review bombing di vari utenti in riferimento a diversi personaggi LGBTQIA+. Ironico come una serie sulla fine del mondo generi ben altri allarmismi (per di più non c’è nessuna aggiunta, si tratta di personaggi già esistenti nel gioco del 2013). Facciamo dunque finta di niente per dignità umana e passiamo alla controversia più nota, prima ancora dell’uscita della serie: Ellie.
A interpretarla è Bella Ramsey, da subito bistrattata a causa della poca somiglianza con la protagonista del gioco. È vero, Bella Ramsey non assomiglia per niente a Ellie. Eppure, attualmente, non immaginiamo altra attrice che meglio avrebbe saputo recitarne la parte. Nota per il ruolo di Lyanna Mormont in Game of Thrones, la Ramsey ha fatto ricredere chiunque nonostante la giovane età, conferendo al personaggio tutto ciò che doveva avere: carisma, tenerezza, tostaggine e un’intensità espressiva fuori dagli schemi.
Carta vincente di The Last of Us è proprio la caratterizzazione dei personaggi, motivo per cui, a troneggiare nella serie è l’altro grandioso protagonista, Joel, il cui volto è quello di Pedro Pascal (già acclamato in Game of Thrones, Narcos e The Mandalorian). Joel è un antieroe, un uomo sopraffatto dalla vita. Indossa la maschera dei silenzi, della rabbia, dell’orgoglio, per celare l’ansia e il terrore delle responsabilità, della morte. Ha difficoltà a fidarsi, il che lo accomuna a Ellie assieme a un passato difficile, alla solitudine e, se all’apparenza può sembrare il classico stereotipo di macho stoico e impassibile, si rivelerà nient’altro che un uomo con le sue vulnerabilità.
Dal viaggio con Ellie comprenderà cosa vuol dire la condivisione del dolore, l’uscita da quella presunzione per cui lui ha sofferto e gli altri, specie una ragazzina, non possono capire. La presa di coscienza che tanti individui hanno vissuto e/o stanno vivendo qualcosa di simile. Una rappresentazione della fragilità maschile non facile da trovare. Gli uomini, in particolare in questo tipo di prodotti, sono di solito infallibili, coraggiosi, forti, caratteristiche che Joel possiede ma fino a un certo punto. Resta comunque fallibile, esattamente come qualsiasi essere umano. È il rapporto tra lui ed Ellie – e il suo passaggio dall’essere cargo a baby girl – a muovere le cose, un’altalena di emozioni e di ruoli spesso ribaltati. Basti pensare alle volte in cui è lei a salvargli la vita o a mettersi di guardia la notte poiché Joel, stremato, ha finito per addormentarsi.
The Last of Us, complice un videogioco già di alto livello, è una serie che non lascia scampo, toccante e cruda al punto giusto, dove l’ottimo lavoro di sceneggiatura, di regia e delle interpretazioni da Emmy e Golden Globe fanno da padrone. Si affrontano temi quali il lutto e la sua elaborazione, la famiglia, l’istinto di sopravvivenza, l’amore in tutte le sue sfaccettature, alternando abilmente il ritmo tra trepidazione, lacrime e sorrisi.
In attesa della seconda stagione, già in produzione e annunciata dallo stesso Druckmann tramite una locandina sul suo profilo Instagram, non possiamo far altro che consigliarvi di recuperare questa emozione, possibilmente in lingua originale. Di partire in questo viaggio della vita assieme a Joel ed Ellie, correndo a cavallo per lande sconfinate, in auto tra gli edifici scheletrizzati della città distrutta, in mezzo a fitti boschi. E chissà ancora per dove.